Ciò che state per vedere costituisce un’impossibilità apparente, come gli eventi fuori dal contesto del telefilm LOST, o la descrizione tematica di un complesso indovinello situazionale: ecco un piccolo aeroplano, o per essere precisi un esemplare quasi-integro del popolare monomotore Cirrus SR22, che ha compiuto un evidente atterraggio di emergenza. Ma non in mezzo a un campo, lungo una strada asfaltata o quanto meno, tra le lievi asperità di una collina erbosa. Bensì nel bel mezzo di una foresta in Ontario, totalmente tappezzata d’alberi, al punto che il suo muso poggia contro la corteccia di un tronco, mentre le ali e la coda, seriamente ammaccate pur restando relativamente integre, ne toccano almeno un’altra mezza dozzina. La benzina esce copiosa, pur non essendoci alcun principio d’incendio. Un ramo, nel frattempo, si protende a trafiggere lo sportello sinistro, che risulta spaccato perfettamente a metà “Per mia fortuna!” Esclama con tono chiaramente su di giri, il pilota statunitense rimasto perfettamente incolume Matt Lehtinen, “Altrimenti, come avrei fatto ad uscire?”
Il velivolo in questione non si è frantumato in mille pezzi per una singola, notevole ragione: esso è atterrato in maniera perfettamente verticale, dopo la perdita di pressione dell’olio e il conseguente spegnimento del motore, un po’ come avrebbe potuto fare un elicottero andato in autorotazione ed affidato alle manovre di un esperto salvatore della sua stessa vita. Grazie, tuttavia, ad un diverso tipo di prontezza e l’unico strumento che avrebbe mai potuto permettergli di compiere l’impresa: il paracadute ad apertura balistica CAPS (Cirrus Airframe Parachute System) installato di serie su svariati modelli di piccoli aeroplani prodotti dalla compagnia del Minnesota, per una serie di coincidenze fortunate che potrebbero, secondo recenti analisi statistiche, aver salvato la vita di almeno 170 persone a partire dal suo primo utilizzo nel 2002. Benché le origini di tale tecnologia risultino essere, nei fatti, assai più remote. Con un concetto teorico, quello di riunire un aeroplano in avaria col suolo facendolo fluttuare verticalmente verso il suolo, vecchio quanto l’aviazione a motore stessa, che raggiunse l’effettiva realizzazione nel 1982, grazie all’iniziativa di Boris Popov di Saint Paul, Minnesota, dopo che quest’ultimo era sopravvissuto a malapena in un incidente con il deltaplano, cadendo dall’altezza di 120 metri. Perché come al solito, grandi contromisure nascono da grandi pericoli (scampati?) e il BRS prodotto in serie da Popov per gli aeroplani da turismo Cessna, sin dall’epoca della sua concezione, fu una chiara rappresentazione di questo concetto. Benché nessuno, nei fatti, sembri volersi preparare in anticipo a un eventuale disastro, facendo del dispositivo un sostanziale insuccesso commerciale. Almeno finché, nel 1985, un’altra figura d’imprenditore non si trovò a rischiare la propria vita in cielo: si trattava, in questo caso, di Alan Klapmeier, uno dei due fratelli fondatori della Cirrus, allora compagnia minore produttrice di aeroplani per l’impiego per lo più privato, che aveva finito per urtare in cielo un velivolo, con conseguente morte dell’altro pilota e dovendosi affidare a un problematico atterraggio con una sola ala rimasta intera. Così che, per il decennio successivo, egli avrebbe elaborato assieme a Popov una nuova interpretazione del concetto stesso di paracadute balistico, concependone una versione che potesse essere integrata, di serie, negli aeroplani prodotti dalla sua compagnia. Una casistica cui ad oggi, molte persone devono il privilegio della propria stessa continuativa esistenza…
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La pilotina elettrica: silenziosa rivoluzione degli approdi portuali?
Lo sciabordio perfettamente udibile dell’acqua che s’infrange contro il molo, più e più volte, mentre il palazzo trapezoidale con il ponte di comando in bella vista sembra muoversi spontaneamente come l’ombra di una meridiana, virando in modo perpendicolare alla torre d’osservazione portuale. Un poco alla volta, il tratto di mare oscurato diviene impossibilmente sottile, poi scompare del tutto, con l’apparizione improvvisa di una forma verde, rossa e azzurra, le antenne a protendersi ordinatamente verso il cielo. Con un sussulto sincronizzato al grido sovrastante dei gabbiani, la piccola imbarcazione ruota agilmente su se stessa ed appoggia meglio la prua contro il bersaglio. Nessun suono, fumo o vibrazione, mentre ricomincia a spingere il possente bastimento con la precisione geometrica che viene dall’esperienza…
Nello svolgimento di un viaggio spaziale tra un pianeta e l’altro o perché no, interstellare, un’interpretazione realistica della fisica newtoniana prevede un dispendio di carburante concentrato principalmente in due momenti: la partenza e l’arrivo. Così che negli effettivi spostamenti effettuati da sonde o velivoli storicamente realizzati, per non parlare delle rappresentazioni plurime opera dei molti sfoghi della fantascienza, esiste quel momento in cui il pilota accende soltanto per qualche minuto i motori principali, “bruciando” carburante in fase di accelerazione o in modo speculare, decelerazione, mentre le piccole alterazioni di rotta vengono effettuate unicamente mediante l’impiego di piccoli ugelli ausiliari. Un qualcosa che possiamo ritrovare, fatte le dovute proporzioni, anche nella navigazione acquatica sulla superficie dei mari di questa Terra. Particolarmente al termine di un lungo viaggio che potrà condurci, dopo aver attraversato buona parte dell’Oceano Pacifico, fino a un punto d’approdo sicuro presso il continente d’Oceania, in quell’isola ecologicamente felice che ospita la città di Auckland, principale porto della Nuova Zelanda. Eppure, ha davvero senso impostare meccanismi di produzione dell’energia principalmente da fonti rinnovabili, quando uno dei principali ingranaggi della propria economia, il commercio marittimo, non può prescindere in alcun modo dal più copioso consumo di carburante diesel? Al fine di accompagnare ciascuna nave container, petroliera o altro mastodonte in acciaio e metalli vari fino al punto prefissato, manovrando quell’enorme stazza tramite l’impiego di strumenti piccoli, ma potenti!
Esatto: la pilotina (o rimorchiatore) quel natante dallo scafo simile alla forma di una vettura per l’autoscontro del luna park, la cui apparente stranezza risponde invece all’esigenza di appoggiarsi alle svettanti murate di vascelli assai più imponenti, agendo in maniera comparabile alle succitate variazioni di velocità stellari da parte degli astronauti in viaggio al di là del grande vuoto interplanetario. Il che storicamente non ha procurato grandi problematiche o dilemmi di natura etica, a meno finché in epoca recente, le importanti considerazioni climatiche e sul mutamento dello status quo ambientale hanno portato all’introduzione di stringenti norme sulle emissioni prodotte da tali fondamentali strumenti, verso l’introduzione di speciali filtri anti-particolato o motorizzazioni ibride, paragonabili a quelle delle locomotive “elettriche” in uso sulla terraferma. Ma che dire di un’azienda come Ports of Auckland, amministratrice degli omonimi due punti di sbarco nella celebre città sull’istmo strategicamente fondamentale dell’Isola del Nord, che da una decade ormai ha promesso di raggiungere, entro il 2040, il difficile obiettivo di un’impronta ecologica pari allo zero? Come cancellare del tutto quel tipo di consumi carboniferi che, a discapito di chiunque, sono stati sempre inevitabili nelle operazioni di carico e scarico di un qualsivoglia porto moderno? Strano, insolito persino sorprendente: nessuno avrebbe mai pensato che la soluzione potesse venire dall’altra parte del globo, ovvero da una particolare azienda situata entro i confini d’Olanda…
La sublime arte del cambio da trasportatore a 18 marce
In molti hanno avuto modo di sperimentarlo: quando si accetta il compito di prendere un qualcosa di grosso e pesante, assicurarlo saldamente al retro del proprio veicolo e intraprendere un lungo viaggio, soltanto tre sono i fattori da considerare: il ritmo e il regime del proprio motore, la stanchezza fisica che può condizionare la nostra soglia di attenzione e… L’infinità quantità di variabili, contrattempi, imprevisti o situazioni meno che ideali, che possono frapporsi sul sentiero verso la piazzola di scarico del nostro destinatario di giornata. Che possono variare dall’effettiva necessità di deviare dal tragitto predeterminato, per lavori in corso o la chiusura (temporanea?) causa conseguenze di un probabile incidente, alla mera disposizione fisica degli spazi, capace d’includere, in determinati casi, quel tipo di disposizioni oblique che prendono il nome di “salita” o “discesa”. Che già ci condizionano, notoriamente, quando nel corso delle nostre passeggiate o pedalate ci approcciamo alla necessità di consumare un numero maggiore di risorse, al fine di percorrere una distanza niente affatto superiore, ma quando ci si trova appesantiti da 15, 20, 30 tonnellate di un rimorchio attaccato dietro al potentissimo motore, tutto cambia e tende, molto spesso, a peggiorare.
O almeno questa è una delle possibili interpretazioni di quanto qui di preoccupa di dimostrarci Dave, camionista da oltre 35 anni, oggi titolare tra le varie cose di un canale identificato come Smart Trucking, ricco di contenuti rivolti a chiunque si ritrovi, nel mezzo del cammin della sua vita, a desiderare d’intraprendere una simile carriera. Che in quello che costituisce ad oggi il suo video più popolare su YouTube (quasi 900.000 visualizzazioni!) si preoccupa di tradurre in parole una delle faccende che maggiormente tendono ad intimidire, per non dire paralizzare causa senso di transitorio ed istintivo terrore, la maggior parte dei suoi colleghi alle prime armi: il tipico cambio di una motrice stradale di livello 8, sarebbe a dire quello che i non iniziati chiamano “grosso camion” la cui pletora di rapporti, incidentalmente pari al numero di ruote di questi veicoli, risulta l’orgoglio e il simbolo forse meno noti di un’intera categoria sociale. “È molto semplice…” esordisce quindi, in maniera analoga a quanto fatto da altri video bloggers che hanno scelto, a loro modo, di trattare un così spinoso argomento “Basta fare le cose nel giusto ordine, e non saltare nessuno dei passaggi previsti nel manuale d’uso.” Quello fornito, per l’appunto, con il suo camion Peterbilt 379, vero e proprio classico della celebre marca produttrice texana, inciso a lettere di fuoco nella cultura popolare come forma alternativa dell’eroico robot transformer Optimus Prime. Che nell’allestimento situato sotto il suo sedile, presenta la formidabile dotazione del tipico cambio manuale RT-18 della Eaton, marca forse più famosa nel mondo consumer come produttrice di gruppi di continuità per il computer, di ogni possibile foggia o misura. Uno standard dell’industria, quando si tratta di essere sicuri che il regime del proprio motore da oltre 450 cavalli sia corretto per il tipo e l’entità del gradiente che si trova a frapporsi lungo l’estendersi del nostro sentiero. A patto, ovviamente, che il guidatore sappia dimostrarsi all’altezza di una tale “belva”…
Il bolide corazzato capace di sfidare le convenzioni degli anni ’30
Il Fato dà, il Fato toglie. Ciò è insito nella stessa concatenazione di causa ed effetto che governa il corso progressivo degli eventi. Ma è talvolta impossibile fare a meno di chiedersi che cosa sarebbe successo, se soltanto il battito d’ala della farfalla, alterando in maniera impercettibile il moto dei venti, avesse prodotto un effetto contrario al proverbiale uragano, impedendo il verificarsi dell’uno, oppur l’altro punto di svolta nello svolgersi di una particolare vicenda. Permettendo, per venire a noi attraverso un esempio, al rampollo ribelle Rust Heinz dell’eponima famiglia produttrice delle celebri “57 varietà di ketchup americano” fosse riuscito a superare nel 1936 l’esame presso l’università di Yale sul tema dell’architettura navale che avrebbe costituito la goccia in grado di far traboccare il vaso, portandolo a interrogarsi sul significato di un futuro già deciso dalle gesta del nonno e grande fondatore, mirante a ereditare l’azienda di famiglia senza nessun tipo di sforzo o difficoltà, né un importante lascito nei confronti del mondo. Oppure se soltanto, tre anni dopo, una fronte di bassa pressione capace di trasformarsi in alito d’atmosfera non avesse trascinato via il cappello trillby del suo amico temporaneamente al volante, di una potente Buick sopra il ponte di Westinghouse in Pennsylvania, portando quest’ultimo alla pericolosa manovra d’inversione che avrebbe portato all’impatto con un veicolo sconosciuto e il conseguente ferimento di cinque passeggeri, oltre alla morte di lui, l’uomo che alla tenera età di 24 anni aveva già una moglie, un figlio e un’idea (forse) capace di cambiare il mondo.
Già perché quando un pluri-miliardario per nascita decide di lasciare il nido e gettare via le catene imposte dalla sua eredità, generalmente, lo fa con un piano preciso e un progetto capace di garantire la propria indipendenza, pena il compiersi di un gesto del tutto privo di significato. E caso vuole che la passione, nonché il sole nascente del giovane Mr. Heinz fossero le automobili, particolarmente quando potenti, esteticamente notevoli o dotate di una qualsivoglia caratteristica fuori dalle normali concezioni veicolari precedentemente acquisite. Come la formidabile Cord 810 della Auburn Automobile con cambio automatico, fari a scomparsa e ben 125 cavalli di serie, prodotta nello stato dell’Indiana, al volante della quale aveva lasciato il Connecticut per recarsi ad Hollywood, come tanti altri giovani della sua generazione, con le stelle a brillargli negli occhi e il fermo desiderio di realizzare il Grande Sogno Americano. È cognizione ormai largamente acquisita il fatto che a questo punto, un tale personaggio avesse già ben chiara nella mente, se non addirittura disegnata all’interno della sua valigia, quella che sarebbe in seguito diventata la Corsair Phantom, una delle concept car capaci di lasciare il più indelebile segno nello stile e i propositi progettuali dell’intero terzo decennio del ‘900. Nonostante l’inaspettato concludersi della sua vita, per l’imprevedibile quanto fatale incidente, avrebbe portato la rilevante avventura ingegneristica a concludersi con la produzione del solo prototipo. Ma di che automobile stiamo parlando, signori miei!



