La scarpa intelligente che raddoppia l’efficienza bipede dell’Homo sapiens

La vita nelle grandi metropoli risolve una grande quantità di costanti problematiche sperimentate attraverso i secoli dai plurimi esponenti della civiltà umana. Relativa vicinanza dei servizi, negozi, semplicità negli spostamenti grazie all’esistenza imprescindibile, per quanto naturalmente imperfetta, dei trasporti pubblici costantemente disponibili al momento in cui ci serva di raggiungere un luogo diverso. Il progressivo diffondersi dell’automobile e degli altri mezzi a motore tuttavia, all’inizio del secolo scorso, ha imposto nel disegno della pianta cittadina il rispetto di una serie di presupposti, dettati in modo autoritario delle implicite necessità di un largo carro, per cui l’estendersi delle distanze costituisce un contrattempo relativo e meramente privo di significato. Così il proliferare dei corsi, viali, strade di scorrimento, delle rotatorie e delle grandi piazze, talvolta più simili a uno svincolo delle autostrade della vita che un passaggio necessario nei risvolti quotidiani di quest’ultima, ha reso più difficile l’esplorazione di quel dedalo, che potremmo definire una sorta di trappola nel ripetitivo incedere dei giorni. Perché si, tu PUOI raggiungere casa/scuola/lavoro facendo affidamento unicamente sui tuoi muscoli. Ma sarà meglio che continui ad allenarli, considerando l’esistenza di quel drammatico, indesiderabile ultimo miglio. Un termine usato frequentemente, di questi ultimi tempi, ai margini delle disquisizioni sui molteplici sistemi alternativi di spostamento. Perché nessuno, a quanto sembra, vorrebbe continuare a camminare lungo tratti superiori a qualche dozzina di metri. Nonostante l’efficienza frutto dell’evoluzione che ci rende tra le specie note quella meglio equipaggiata per riuscire a farlo, causa considerazioni di contesto quali tempo necessario, dispendio energetico e spiacevole sensazione di spossatezza. E non parliamo poi della corsa, rischiosa e stancante, oltre a lesiva per l’immagine causa sudorazione e conseguente bagnamento degli abiti indossati fuori dai contesti sportivi. Dal che, l’idea di Xunjie Zhang, precedente capo di un gruppo di studio presso l’Università di Carnegie Mellon passato da qualche tempo, come tanto spesso capita, ad ambizioso capo d’azienda sotto l’etichetta della startup Shift Robotics. E tramite il sistema del finanziamento online, così spesso utilizzato per raggiungere la produzione di un qualcosa che “Tutti avevano sempre voluto, ma nessuno aveva mai pensato di produrre” così frequente in qualità di slogan su portali come il suo elettivo Kick-Starter. Per pregressa mancanza di risorse, tecnologia, tempo… Sebbene approcci alternativi alla faccenda esistano, benché nessuno dello stesso livello per funzionalità e versatilità delle sue Moonwalkers, delle (sotto)scarpe dotate di motore, batteria e ben 8 ruote parzialmente sovrapposte, per poter meglio adattarsi “Ai marciapiedi dissestati in pieno stile rust belt della nostra Pittsburgh” (un riferimento al degrado post-industrialista di questa particolare regione statunitense). Mentre procedono a passo spedito, e noi sopra di esse, verso l’obiettivo sublimato di ciascuna ideale trasferta più o meno dedicata ad uno scopo ben preciso. Con una rapidità stimata di fino al 250% dell’alternativa maggiormente simile, che poi sarebbe fare affidamento unicamente sulla limitata preparazione muscolare degli individui. Certo, si è più inclini a eccellere nel perseguimento dei propri singoli obiettivi. Quando si può superare abbondantemente il centinaio di migliaia di dollari d’incasso ancor prima di aver immesso un singolo prodotto sul mercato internazionale….

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I creatori della minimoto cingolata ed altri strani veicoli ciprioti

Corre un fulmine di guerra sulle strade di quest’isola del Mar Mediterraneo Orientale. E con questo non intendo certo che si tratti di un podista; bensì l’unico creatore, principale utilizzatore, di una nuova razza di veicoli, il cui tratto distintivo è quello di venire tutti da una zona inesplorata della nostra mente. Quando si considera l’aspetto dominante di un sistema di trasporto personale, cosa giunge in primo piano nella nostra carrellata delle idee? Sicurezza? Efficienza? Velocità? Divertimento? Di sicuro tutto questo e almeno un ulteriore tratto, troppo spesso tralasciato (non è un caso) nella documentazione di supporto al marketing situazionale: la capacità di far voltare teste in modo semplice, spontaneo. Senza che si debba far ricorso al clacson, o altri simili implementi rumorosi. E in questo, se vogliamo, George (il costruttore) col suo amico e collega Michael (cineamatore) non hanno nulla da invidiare neanche al più orgoglioso miliardario in visita con la Ferrari, Lamborghini o altra quattroruote similare. Nella loro concezione di cos’è ciò che possa “correre” o per meglio dire “rotolare” sulle strade in puro asfalto di una delle ultime nazioni divise in due.
Cose turche, cose greche, cose leggendarie: come Achille che combatte col suo carro sotto le alte mura di Troia, e come l’ultima creazione del duo dinamico, a cui è stato attribuito niente meno che il numero 0100, nella lunga serie di video prodotti per YouTube al fine di poter mettere da parte i soldi necessari ad acquistare un’officina, realizzando quindi un sogno e trasformando la passione, in un lavoro. Sentimento in grado di creare, nel caso specifico, qualcosa di realmente inu…sitato. Eppure u…tile a suo modo, nel saperci ricordare che ogni ruota oltre la prima è un lusso e addirittura quella sola cosa, qualora si desideri, può essere ridotta al solo battistrada. Perché è cosa giusta, basta mettersi a pensarci! Prendere una bombola per immersioni, tagliarla in due segmenti trasversali mediante l’impiego della sega a freddo. Lavorarli con il tornio a mano ed adattarli con sapienza metallurgica frutto di anni ed anni, prima d’abbinare il tutto al motore da 100 cc di una piccola moto. Per dare gas, verso la gloria e l’infinito! Verso 1 milione d’iscritti al proprio canale. E verso i finanziamenti, generosamente concessi dai propri sostenitori online, tramite la piattaforma Patreon, come rimborso spese ed un sostegno monetario a simili grease monkeys di una foggia rara. L’implemento veicolare in se, del resto, è chiaramente il frutto di un’attenta pianificazione e doti manuali largamente fuori dal comune. Frutto di precise lavorazioni e saldature, poi dipinta di uno sgargiante color arancione (scelta criticata nei commenti, ma che cosa ci vuoi fare?) e coronata, sopra quello che potrebbe o dovrebbe essere il serbatoio della benzina, dalla prestigiosa dicitura limited edition. Che definirei, per inciso, tecnicamente ed assolutamente corretta, trovandoci di fronte a un vero e proprio pezzo unico anche per concezione, forse il principale erede del misterioso Kugelpanzer, uno dei panzer perduti della seconda guerra mondiale. Il che non toglie, d’altra parte, che le due menti dietro al format di successo Make It Extreme (questo il nome della venture titolare) siano privi di quel senso pratico che in rari casi, può condurre a mezzi utilizzabili nella vita di ogni giorno. Forse non molto pratici, ma utilizzabili…

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Le case che galleggiano quando si verifica un’inondazione

Come ogni anno, con l’avvicinarsi della stagione delle piogge un senso d’aspettativa e terrore latente inizia a pesare sulla vita quotidiana di coloro che abitano attorno al delta del Mekong. Il grande fiume vietnamita, fornitore di acqua per l’irrigazione fin dall’epoca del ferro e per tutta la durata dell’impero millenario dei Khmer, un tempo associato unicamente a un lungo elenco di connotazioni positive. Ma che oggi, a causa del mutamento climatico e l’aumento di livello delle acque terrestri, è solito dare il benvenuto ai monsoni straripando copiosamente, per andare a sconfinare con estrema prepotenza negli spazi maggiormente cari agli umani. Il che comporta, il più delle volte, gravi conseguenze immediate per le piccole comunità e i villaggi della zona, occupati da una fascia di popolazione che possiede molto poco, in aggiunta alla singola e modesta abitazione familiare. È una terribile incertezza realizzata dalla meteorologia, tutto questo, di un disastro annunciato quanto irrimediabile, in grado non soltanto di avere un prezzo in termini di vite animali ed occasionalmente, persino umane.
Secondo le ultime notizie divulgate dalla GRP (Global Resilience Partnership) una cooperativa internazionale di enti a scopo umanitario finanziata in parte dalla Zurich Foundation, la situazione potrebbe andare presto incontro a un cambiamento positivo. Questo grazie al concorso recentemente indetto per gli enti di ricerca e le aziende interessate, intitolato Water Window Challenge e concepito allo scopo di stanziare 10 milioni di dollari, per un progetto in grado di arginare i danni da inondazione subiti dalle popolazioni svantaggiate di una buona metà del mondo. Missione che parrebbe ormai quasi certamente assegnata alla Prof. Elizabeth English del Water Institute presso l’università di Waterloo, in Canada, per la sua acclarata capacità di trasferire in simili contesti operativi un concetto particolarmente efficace: la cosiddetta casa anfibia o casa (talvolta) galleggiante. Che non è, sia questo immediatamente chiaro, una sorta d’imbarcazione o altro costoso implemento, bensì l’effettiva equivalenza della biblica Arca di Noè, costruita sulla terra ferma per lasciarla, sollevandosi verticalmente, nel momento stesso in cui quest’ultima dovesse trovarsi a scomparire sotto il pelo dell’acqua.
È un approccio semplice, ed al tempo stesso estremamente risolutivo, all’annosa e problematica questione. Non per niente mutuato direttamente da un paese occidentale che le inondazioni ha avuto modo di conoscerle fin troppo bene attraverso il verificarsi della sua storia antica e recente: l’Olanda. Per quanto riguarda la documentazione online in lingua inglese sull’argomento, tutto quello a cui si trova riferimento è l’opera della compagnia di costruzione Dura Vermeer di Dick van Gooswilligen, che attorno al 2005 ebbe modo di costruire un’intero villaggio composto da 37 di questi edifici, presso la piana alluvionale del fiume Maas. E benché qualcosa di simile fosse stato tentato come approccio anche dagli architetti inglesi dello studio londinese Baca, per un’insolita casetta panoramica sulle rive del Tamigi (Richard Coutts, Robert Barker) appare evidente come questa applicazione marcatamente umanitaria del progetto possa rivelarsi nei prossimi anni non soltanto la più meritevole d’encomio, ma anche quella a maggiore diffusione ed utilità risolutiva di un qualsivoglia scopo.
Sopratutto per la capacità, dimostrata dal team degli accademici operativi in-sito, di fornire ai nativi un approccio valido a riconvertire le loro case tradizionali pre-esistenti, facendone un letterale punto d’approdo nel mezzo dell’annunciata tempesta stagionale…

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