In un mondo in cui cause ed effetti sono una cascata che discende sempre e in modo inevitabile verso il fondo, la gravità dei repentini cambiamenti di una progressione logica di eventi riesce sempre ad essere ragionevolmente prevedibile, o quanto meno limitata dalla percezione di anticipati elementi. Ma se il microscopico influenzasse il macrocosmo, come implicato in molte forme di stregoneria degli ambiti mitologico, folkloristico o speculativo, diventa molto più probabile che gravi catastrofi o disastri senza precedenti riescano ad insorgere sul nostro cammino, con conseguenze non sempre facili da prevedere. Non sarebbe d’altro canto e con tali premesse privo di fattori di rischio latenti, per la sopravvivenza collettiva ed il futuro condiviso dell’umanità, quanto accaduto la scorsa settimana presso il Museo di Scienze Naturali a Houston, Texas. Dove un cuore pulsante da un tempo pari ormai a cinque o sei decadi ha smesso improvvisamente di oscillare evocando l’idea pratica del compiersi di una profezia finale. Denunciando agli occhi dei visitatori qualcosa d’istintivamente impossibile, nonché catartico oltre ogni possibile premessa di partenza; la fine del mondo così come siamo stati abituati a conoscerlo. Stop al ciclo giorno-notte che regola i fondamentali ritmi circadiani. Ed il potente scatenarsi di una serie di forze inerziali tali da generare terribili tsunami, crolli e terremoti su ogni latitudine capace di supportare la vita. In altri termini l’inizio misurabile di un’epoca esiziale, in cui la Terra ha smesso di girare.
Possibile, impossibile, ci sono poche differenze. Finché nella disanima ordinata dei minuti ed ore, non torniamo fino all’invenzione originaria di Léon Foucault nel 1851, quando il rinomato fisico chiese ed ottenne il permesso di Napoleone III, Imperatore dei Francesi, per poter appendere una sfera metallica di 28 Kg da uno dei tetti più alti di tutta Parigi: l’alta cupola costruita sopra il Meridiano, la linea matematica corrispondente alla suddivisione di quel globo che ospita tutte le nostre aspirazioni, circostanze o presupposti pratici di sostanziale realizzazione individuale. Un corpo astrale, perché di ciò si tratta, già teorizzato dai filosofi dei tempi antecedenti come veicolo dotato di due presupposti inappellabili, comuni a molti dei suoi simili nella galassia sconfinata: rivoluzione e rotazione attorno all’asse della propria forma sferoidale. Già, ma come dimostrarlo in modo molto pratico, se non così? Tramite un esperimento molto semplice ed al tempo stesso carico d’ingegno, utile a dimostrare la lungamente nota evidenza della cosiddetta forza di Coriolis, notata già 184 anni prima del suo battesimo formale nel 1835 dai matematici coinvolti nel preciso campo dell’artiglieria militare. Dove i proiettili tendevano, notoriamente, a deviare in modo prevedibile sulla distanza anche in assenza di vento; questo non per uno scherzo del destino bensì perché l’intero quadro di riferimento, inclusi osservatori, punto di partenza e bersaglio, si erano spostati altrove…
È un concetto primordiale che cionondimeno può riuscire ad essere difficile da afferrare istintivamente: il fatto che la Terra ruoti su se stessa ad una velocità di 1.700 Km/h presso l’Equatore, benché non ce ne accorgiamo in alcun modo dall’ora della nascita fino alla nostra dipartita. Questo perché in forza delle leggi della fisica di cui ormai abbiamo approfondita comprensione, ciascuno dei nostri momenti, ogni gesto, oggetto o sentimento, risente della cosiddetta precessione in sincronia perfetta senza mai subire la benché minima battuta d’arresto. Ed era proprio in relazione a questo, in sostanza, l’obiettivo dimostrativo implicato dall’originale pendolo Foucault e le sue immediate quanto numerose imitazioni in giro per il mondo passate e presenti, ivi inclusa quella installata negli anni ’50 a Houston come investimento di una donazione notoriamente ricevuta dai filantropi texani Albert ed Ethel Herzstein, i cui nomi compaiono attorno al cerchio di misurazione sottostante, iscritti nella tradizionale quanto irrinunciabile stella della rosa dei venti. Giacché un oggetto in moto prevedibile e ripetuto a oltranza, come per l’appunto un peso di rilievo al termine di una corda sufficientemente lunga messo in moto da una spinta iniziale, non può fare a meno con il tendere dopo un numero sufficientemente lungo di ore ad un moto ellittico che lo porta ad attraversare ogni punto dello spazio dedicatogli dai costruttori di rito. Così tracciando segni nella sabbia ben visibili, ai tempi del primo esperimento del 1851, oppur buttando giù dei pratici birilli posizionati nuovamente in cerchio ogni 48 ore presso l’installazione statunitense a Houston, ovvero al concludersi di un giro completo dell’interessante meccanismo. Tempo dettato, è importante specificarlo, unicamente dalla latitudine effettiva di quel sito, laddove al Polo Nord o Sud l’intervallo sarebbe stato di un giorno soltanto, ed a Parigi di 31 ore. Questo indipendentemente dal peso della sfera e la lunghezza della corda, poiché l’impatto della forza di Coriolis è inversamente proporzionale alla propria distanza rispetto all’asse centrale di rotazione della Terra, il che significa inerentemente che soltanto in corrispondenza dell’Equatore, il pendolo in questione tenderà a oscillare lungo una linea retta e del tutto ripetitiva. Ed allora per quale ragione, esattamente, il pendolo di Houston si è fermato?
La comprensione della strana circostanza diviene semplice una volta che si riesce ad accantonare uno dei più tipici fraintendimenti in materia. Il pendolo di Foucault non oscilla in funzione della forza di Coriolis, essa influenza unicamente la sua traiettoria. Laddove il “motore” effettivo del suo dondolamento è in effetti la spinta iniziale data dalla mano umana e prolungata dalla doppia contingenza della forza gravitazionale assistita dall’inerzia. Per questo peso e lunghezza della corda diventano di contro fondamentali nel determinare, di contro, le prestazioni in termini di durata del movimento. Ma va da se che non trovandoci in alcun modo di fronte ad una mistica macchina del moto perpetuo, ogni pendolo dovrà prima o poi fermarsi. Ed è proprio sotto questo aspetto, che l’attrazione museale dello HMNS di Houston mostra il suo punto di forza, ed al tempo stesso la ragione della presente battuta d’arresto; poiché fin dall’epoca della sua originale installazione e come per altri oggetti simili costruiti altrove, a suo vantaggio era stato previsto un impianto elettromagnetico ad anello in corrispondenza della parte alta dal cavo. Che in maniera ritmica e del tutto priva di una predisposizione direzionale specifica, dovrebbe mantenere stabile lo stimolo energetico all’oscillazione. Un apparato meramente tecnologico ad ogni modo, creato dalla mano umana e per questo soggetto come qualsiasi altro ad eventuali guasti e conseguenti necessità di riparazioni. Non necessariamente semplici, vista la natura singolare e l’altezza del meccanismo in questione.
Portando alla scena vagamente surreale dell’aumento di visitatori giunti per testimoniare l’assenza di un precipuo movimento, piuttosto che le sue rassicuranti e prevedibili ripetizioni. Forse per il fascino comune nei confronti delle profezie o eventuali fasi terminali di questo “fragile” mondo. Come facemmo nel 2012, preparandoci per la fine del Grande Ciclo tratteggiato nei calendari anticamente scolpiti dal tragico popolo dei Maya. E continueremo ansiosamente a perpetuare, ogni qual volta andremo incontro ad una delle date evidenziate dai celebri maghi e stregoni, anch’essi vittime degli ancestrali movimenti cosmici vissuti dai nostri più scientifici e razionali predecessori.


