Pixel, archi ed orti verticali per cambiare il vecchio volto della capitale d’Ecuador

Sul finire della scorsa settimana, in un angolo tra due eleganti boulevard, fronteggiate dal verde ed il profilo di distante montagne sfumate tra la nebbia, è stato inaugurato un interessante edificio. Dalle molte linee curve, con spazi alternativamente pieni ed aperti, esso costituisce una sorta di portale verso le regioni più spaziose e solari del proprio insediamento d’appartenenza. Ed alberi ne dominano e addolciscono il profilo, giustificando almeno in parte il suo nome altisonante: EPIQ, recante la firma di niente meno che il titolare dello studio archistellare BIG, con la sua sede centrale a Copenaghen.
Volendo interrogarsi su quale possa essere la città del Nuovo Mondo con edifici costruiti nel giro degli ultimi cinque anni collegati ai nomi di Carlos Zapata, Moshe Safdie, Phillippe Starck, Bjarke Ingels (BIG) e Ma Yansong (MAD) molti penserebbero subito ai più densamente popolati siti degli Stati Uniti, possibilmente un luogo dalla lunga storia d’urbanizzazione come le tentacolari metropoli di San Francisco o Chicago. Se poi aggiungessimo il dettaglio che si trovano tutti attorno ad un singolo, spazioso parco geometricamente perfetto ben pochi esiterebbero nell’indicare con il dito l’isola di Manhattan, pièce de résistance del centro che risponde allo scherzoso appellativo di Grande Mela. Ma persino un luogo come New York, con l’ampio spazio concesso alle opere sperimentali e i grandi grattacieli degni di cambiare e caratterizzare uno skyline, costituisce un discorso cittadino per lo più finito, dove un tanto significativo cambio del piano regolatore porterebbe a sconvolgimenti semplicemente troppo complicati da amministrare. Ve lo immaginate, di contro, cosa potrebbe significare per un polo abitativo frequentato da milioni di persone ogni giorno veder cambiare di punto in bianco la collocazione di un importante aeroporto? Sollevando come un velo, d’un tratto, i limiti da lungo in tempo imposti all’altezza massima degli edifici, per permettere ai capitalisti di ridisegnare i limiti di cosa sia effettivamente possibile erigere in quel particolare contesto. Questo è ciò che ha davvero avuto modo di verificarsi a partire dal febbraio del 2013 quando l’amministrazione cittadina di Quito, capitale dell’Ecuador, ha finalmente deciso di spostare l’angusto e pericoloso aeroporto di Mariscal Sucre costruito negli anni ’60, dal centro cittadino ad un quartiere periferico dalle superiori caratteristiche in materia di sicurezza. Il che ha creato un vuoto nelle prospettive architettoniche che chiunque, con il giusto capitale da investire, avrebbe potuto industriarsi a riempire e quel qualcuno sarebbe stato, nello specifico, la compagnia di sviluppo immobiliare Uribe Schwarzkopf, con esperienza decennale nel coinvolgere, guidare ed assistere alcuni dei nomi più importanti dell’architettura internazionale. Così come fatto con trasporto evidente a partire dal 2001, nei cui dieci anni successivi può vantare di aver creato 8.240 unità abitative nella sola capitale di appartenenza, per poi cambiare priorità verso la costruzione di una serie di edifici esteriormente e formalmente innovativi. Un letterale cambiamento di paradigma, per ciò che sia possibile edificare a poche centinaia di metri di distanza tra ambientazioni al tempo stesso naturali e poste in essere dall’uomo. Nel singolo paese al mondo con il maggior numero di specie vegetali per chilometro quadrato. E perché non far lo stesso, si saranno chiesti ai vertici, con gli edifici…

Sopra: EPIQ – Studio BIG

IQON – Studio BIG

La rivoluzione ha dunque avuto inizio nel 2017 con Zapata ed il suo UNIQUE, flessuoso edificio di 24 piani dalle ampie vetrate panoramiche disposto nella parte settentrionale del gigantesco parco La Carolina, a poca distanza dalla stazione situata presso il Boulevard delle Stazioni Unite. Cui avrebbe fatto seguito lo stesso anno Gaia, il primo edificio ad uso misto (residenziale e commerciale) della città firmato da Leppanen Anker, con caratteristiche linee oblique nella facciata all’altezza del secondo, quinto ed undicesimo piano. Avrebbero seguito il progetto alcune torri di Marcel Wanders, Bernardo Fort Brescia e l’anno successivo due creazioni abitative più piccole di Philippe Starck in quartieri differenti di Quito, ma il vero punto di svolta sarebbe giunto sempre nel 2018 grazie ai disegni di Safdie, per il suo notevole palazzo QORNER (di nuovo torna il tema della lettera Q nel nome) con piani sfasati su due facciate e le altre perfettamente perpendicolari, una delle quali ricoperta da un letterale orto verticale pienamente degno di assecondare l’immaginazione di chi lo osserva. Un gigante di 98 metri la cui altezza non avrebbe tuttavia raggiunto quella del successivo IQON di Ingels del 2022, pari a ben 130 metri occupati da un succedersi di intriganti e avanguardiste “scatole” di cemento, trasformate a più livelli in monumentali terrazze a disposizione dei suoi abitanti. Un grattacielo che continua le tematiche di digitalizzazione care all’autore, noto appassionato di computer e videogame, attraverso la fusione straordinariamente atipica di spazi interni ed esterni, interconnessi mediante l’utilizzo di finestre che sostituiscono completamente intere pareti dei lussuosi appartamenti contenuti al suo interno. Un letterale “arboreto dei cieli” come è stato definito, in maniera analoga a quanto potrebbe essere fatto per il secondo contributo appena ultimato dell’architetto danese allo skyline di Quito. Ed è importante notare come stiamo qui parlando soltanto di un passo ulteriore verso il successivo accrescimento verso i 37 piani/140 metri, se è vero che l’approvazione è stata ormai ultimata, ed i primi piloni delle fondamenta disposti per l’incombente costruzione dell’ancor più svettante QONDESA, notevole proposta dello studio MAD consistente di un altro flessuoso grattacielo sempre affacciato sul parco de La Carolina, con una curvatura questa volta concepita in modo specifico al fine di non porre in ombra altri edifici più bassi, donando nel frattempo al palazzo una forma riconducibile a particolari alberi o rampicanti tipici delle foreste equatoriali. Così come le facciate color ardesia, presenti anche in molte altre torri della serie “Q”, vorrebbero costituire un richiamo alla particolare pietra d’origine vulcanica utilizzata per i palazzi storici della città di QUITO, fin da quando venne ricostruita dagli spagnoli dopo che il condottiero degli Incas, Rumiñahui l’aveva distrutta prima di essere costretto a ritirarsi all’inizio del XVI secolo. Per gentile concessione ed offerta dei campi lavici antistanti il vicino ed ormai spento cono magmatico del Pichincha.

QONDESA – Mad Architects

Cambiare i crismi di un’intero centro urbano di tale entità significa, d’altronde, ben più che investire le considerevoli risorse finanziarie ed opportunità d’investimento derivanti da una fiorente industria manifatturiera del legno, della gomma, del tabacco e del cemento. Bensì offrire nel contempo una più moderna osservanza alle questioni di conservazione ambientale, grazie ai nuovi accorgimenti operati all’interno di questa tipologia di grattacieli in materia di riscaldamento, riciclo dell’acqua ed energie rinnovabili, grazie ai pannelli solari. E sebbene nessuno potrà mai pensare di definire sostenibili simili svettanti aggregazioni di cemento, resta innegabile come l’accorpamento su vasta scala di unità abitative ed uffici possa costituire in un futuro prossimo la strada verso l’ottimizzazione nello sfruttamento delle risorse di un affaticato pianeta. Il che offre, oggettivamente, notevoli spunti di rinnovamento e vie d’accesso alternative alla bellezza di un alternativo tipo di monumenti.
Che potranno ancora non avere, allo stato corrente dei fatti, un evidente significato storico, ma senz’altro un giorno ne verranno giudicati degni. Dall’opinione imprescindibile dei posteri, sempre pronti a scrutare con interesse l’opera di chi ha saputo cambiare le regole immanenti. Cogliendo l’occasione di un frangente atipico, ma fin da subito subito riconoscibile come un nuovo inizio.

QORNER – Moshe Safdie

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