Tre cetacei che riemergono dai più profondi abissi del mare d’alberi thailandese

Di astronavi, sulla via, ne abbiamo viste molte. Con la forma dissimulatrice di piramidi, cisterne, antichi condomini dalla forma di un cilindro perpendicolare al cielo. Grandi dissimulatori, questi alieni! Ciò che può ancora sorprenderci, di contro, è un sommergibile dal profilo chiaramente extraterrestre. Specie se disposto coi suoi due vascelli simili, lontano molti chilometri da qualsiasi pozza d’acqua più profonda o vasta di mezzo metro. Ovvero qui nella provincia di Phu Sang, all’interno del parco nazionale omonimo, dove un qualche tipo di ancestrale traversata sembra essere andata incontro a un’improvvisa interruzione. Lasciando qui soltanto le vestigia, egualmente ed ordinatamente parallele, di un tipo di soluzione ingegneristica che potremmo essere inclini a definire “minimale”. O qualcun altro, magari un membro di quei popoli naturalmente poetici nel mantenere il proprio rapporto mistico con la creazione, assolutamente “sacro” a tutti gli effetti. Per quanto ci è dato di capire, visto come appaiano su Internet almeno un paio di varianti della desumibile leggenda secondo cui le Tre Balene (Hin Sam Wan) fossero in origine le protettrici del villaggio vicino. Prima di passare all’altro mondo per venire in qualche modo “cristallizzate” in attesa del verificarsi delle condizioni ideali al loro ritorno. Già, perché è difficile per mezzi o mammiferi di tipo acquatico riprendere a nuotare là dove l’Oceano si è ritirato ormai da tempo. Con il massimo vantaggio per tutti coloro che, zaino in spalla e abbonamento alle corriere extra-urbane, paiono del tutto intenzionati a vedere qualcosa di eccezionale. E marcati sulla mappa con le rispettive diciture di “madre”, “padre” e “figlio” gli apparenti ed incombenti macigni rientrano senz’altro in una simile definizione, offrendo tra l’altro l’opportunità di scorgere in tutte le direzioni un panorama magnifico, per coloro che partiti dal vicino villaggio di Ban Hut si dimostrano abbastanza coraggiosi da salire sopra il dorso dei gibbosi giganti. O almeno due di loro, visto come il “piccolo” e più avanzato risulti essere inerentemente piuttosto difficile da raggiungere a partire dalla strada. Per un momento d’introspezione profonda e meditazione sulla natura stessa dell’Universo, a patto di poter contare su un paio di scarpe dalla suola sufficientemente stabile e altrettanto funzionale allo scopo di non rischiare l’esperienza di cadere oltre il profilo del gigante…

Le guide turistiche locali affermano entusiasticamente una datazione possibile per le Hin Sam Wan non più recente di 75 milioni di anni. In realtà più probabile come riferimento all’antichità della pietra stessa, piuttosto che la sua disposizione “ad onde” che oggi siamo in grado di osservare tra gli alberi della giungla sottostante.

Uno spunto d’analisi, se vogliamo, utile ad interrogarci nella maniera in cui pochi sembrerebbero aver fatto su Internet in relazione all’intera, insolita contingenza. Con particolare considerazione dell’aspetto e il tipo d’erosione dimostrata dalla superficie delle queste sculture del paesaggio, utile ad escludere molte delle teoriche alternative, lasciando valida l’ipotesi che possa trattarsi di un qualche tipo di arenaria a base di quarzo dal color grigio-marrone. Così disposta e frutto di processi la cui esatta natura potrebbe corrispondere, in linea di principio, ad un paio d’alternative contrapposte: da una parte l’erosione ad opera del vento, fino alla creazione delle tre oblunghe monadi, che in tal senso apparterrebbero alla categoria degli yardang (o kalut); delle letterali pinne aerodinamiche scavate dall’energia atmosferica prodotta dal ricircolo dell’atmosfera terrestre. Il che appare d’altra parte meno probabile, allorché si consideri l’effettiva condizione climatica di questa latitudine assolutamente tropicale, dove forti correnti eoliche non rientrano per quanto ci è possibile desumere nel catalogo degli eventi meteorologicamente pregressi, almeno nell’ultimo centinaio di milione di anni. Il che lascia, come alternativa maggiormente probabile, l’ipotesi che le Hin Sam Wan siano un prodotto dell’erosione chimica a partire da un complesso orografico originariamente omni-comprensivo, in seguito esposto ad un meccanismo non troppo dissimile a quello responsabile della creazione delle tipiche cupole di granito. Verso una condizione finale riconducibile, dal punto di vista geologico, a formazioni superficialmente simili come quella del Dorso di Balena facente parte della formazione Llewellyn nella Pennsylvania statunitense, anch’esso composto primariamente di un tipo locale di arenaria. Il che ne farebbe un complesso anticlinale con tre “pieghe” (termine tecnico) in grado di susseguirsi parallelamente, tanto ordinate da sembrare quasi il prodotto dell’uomo. O chi per lui… Data l’emergenza prevedibile di multiple teorie di confine, inclini a definire le attraenti monadi (o “tor”) come delle possibili piste d’atterraggio sopraelevate o strutture similari a vantaggio d’ipotetici vascelli spaziali alieni. Forse per riuscire a completare il quadro della circostante Terra Sacra disseminata di piccoli templi, statue e pagode rurali, dedicati a un’ampia varietà di locali Dei ed antiche entità superne. Cui si contrappongono le forme parti di un paesaggio eccezionalmente distintivo e memorabile, senz’altro unico a cementare i suoi meriti di distinzione nel già ricco panorama delle alternative appartenenti a questa nazione peninsulare dell’Asia meridionale…

Tra i soggetti raggiungibili dallo sguardo in questa notevole posizione sopraelevata, vengono citate la foresta verdeggiante di Phu Wua, le montagne Pak Krang e persino le distanti spiagge agli argini del grande fiume Mekong. Per un’esperienza degna di costituire, nell’opinione di molti, il culmine di un qualsivoglia giro turistico della regione.

Qualche altro esempio? Come non citare la roccia a forma di elefante, un’altra meraviglia particolarmente amata dai visitatori e pellegrini del parco nazionale di Phu Sang, o in alternativa le caverne “dei serpenti” presso quello di Phu Langka posto nella parte diametralmente opposta del settentrione thailandese, concettualmente collegate alla leggenda del principe Fahoong e la sua amata facente parte del popolo semi-umano dei Naga (o Naka). Tanto da aver fatto sospettare gli aspiranti paleontologi della domenica, almeno per qualche tempo, che la superficie scagliosa delle loro pareti interne potesse essere la chiara risultanza del fossile di un antico rettile dalle dimensioni spropositate. Piuttosto che, molto più semplicemente, la serie di spaccature prodotte dall’incandescenza dell’astro solare prima che i sommovimenti tellurici portassero tali formazioni a ritrovarsi sepolte nel sottosuolo carsico di tali classiche circostanze. Poiché non è sempre facile prevedere il comportamento della natura e tutto ciò che può eventualmente derivarne. Così come per mammiferi evidentemente marini, ma indiscutibilmente ed esclusivamente prodotti da quel tipo di materia che risulta dall’emersione di complessi geologici posti in essere fin dall’inizio dell’imprescindibile deriva dei continenti. Quando le uniche balene esistenti, se vogliamo immaginarne l’eventuale presenza, avrebbero dovuto nuotare nel flusso magmatico e nella più totale assenza di testimoni. Finché lentamente, gradualmente, non fossero tornate sulle spiagge delle origini, esposte all’incessante occhio di ogni essere abbastanza fortunato da passare in corrispondenza delle loro ombre.

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