Filo ininterrotto col Neolitico: i primi 5000 anni di Skara Brae

In un buco nel terreno, presso le verdeggianti regioni settentrionali della Terra di Mezzo, viveva uno hobbit. Ma quanto profondo, esattamente, era questo buco? In che numero di stanze si divideva? E che prove abbiamo, ad esempio, che l’abitazione in questione non fosse più che altro una sorta di magazzino in penombra, dove il proprietario teneva i suoi formaggi, la carne, i cereali? Gli hobbit, a differenza degli elfi, non sono immortali ed ipotizzando uno scenario in cui futuri archeologi si fossero trovati a riscoprire una Contea sepolta, chissà cosa sarebbe stato possibile desumere, dal contesto di quel sito rimasto in silenzio da innumerevoli generazioni… Probabilmente, abbastanza da riuscire a farci un’idea. Se vogliamo usare come modello il metodo scientifico di questo mondo, per come è stato applicato a un luogo antico e rinomato come le rovine semi-sotterranee di Skara Brae, villaggio riportato alla luce del sole da una tempesta nell’ormai remoto 1850. Non che all’epoca il laird (governante) della vicina baia scozzese di Skaill, nelle isole Orcadi, fosse stato in grado di approfondire eccessivamente la questione, scavando e documentando soltanto quattro delle otto case costituenti l’insediamento ed attribuendole a una non meglio cultura preistorica della regione. Ma William Watt era in effetti più che altro un appassionato di storia, che lavorava da solo e coi limitati strumenti filologici e d’approfondimento a sua disposizione, ragion per cui nel giro di qualche anno il sito venne nuovamente abbandonato. Almeno fino a quando nel 1927, spronata dall’avvenuto saccheggio ad opera d’ignoti ed il successivo danneggiamento causa un’ulteriore perturbazione meteorologica, l’Università di Edinburgo decise d’inviare in questo luogo il professore di archeologia Gordon Childe, che ricercò in maniera più approfondita l’origine precisa di una simile testimonianza architettonica, giungendo ad attribuirla in via preliminare all’Età del Ferro. Ma ancora una volta, si trattava di un errore. Sarebbe stato infatti solo con l’arrivo degli anni ’70 e l’invenzione della tecnica di datazione al carbonio, che la vera e impressionante antichità di un tale luogo sarebbe stata finalmente documentata dallo studioso David Clarke: 3100/2500 a.C, ovvero in altri termini, un tempo antecedente alla Grande Muraglia, la Piramide di Giza e potenzialmente lo stesso cerchio di pietre di Stonehenge. Facendone, a tutti gli effetti, il più cronologicamente remoto e ben conservato di tutti i villaggi ritrovati nell’intero territorio europeo.
Questo intonso agglomerato, quindi, si presenta come una serie di abitazioni scavate nel terreno con mura costruite in lose, pietre sottili spaccate in larghezza e disposte a strati, e minuscole porticine probabilmente usate al fine di tenere fuori il freddo e il vento di questa regione. Gli antichi tetti, forse costruiti in legno, sono del tutto mancanti mentre risulta perfettamente immutato l’intero corredo di arredi interni, scolpito direttamente nella pietra capace d’attraversare immutata i millenni della nostra lunga vicenda umana. La stessa collina usata come protezione esterna per gli edifici si presenta come artificiale, data la sua costituzione in parte significativa della materia prima nota come midden o in altri luoghi geografici sambaqui, un agglomerato di rifiuti organici, conchiglie sbriciolate e calcare, accumulatosi nel tempo in funzione della lunga permanenza dell’indefinita civiltà progenitrice. Il cui destino finale, nonostante tutto, continua a rimanere per lo più ignoto…

Osservando la dimensione delle porte presenti nella maggior parte dei siti neolitici inglesi, non è del tutto impossibile pensare ad essi come ispirazione per l’idea tolkeniana del popolo degli hobbit, versione fantastica e sotto-dimensionata dei popoli della Preistoria.

A quanto ci è stato possibile comprendere dalle suppellettili tirate fuori dalle aree limitrofe, possiamo a questo punto attribuire il villaggio di Skara Brae all’antichissima cultura delle ceramiche scanalate, originaria delle sole isole inglesi e antecedente a quella più celebre, proveniente dal continente, del Vaso Campaniforme. Un popolo le cui produzioni e altre testimonianze cessano di comparire attorno al termine dell’epoca neolitica, permettendo d’ipotizzare una conquista e il successivo annientamento ad opera di tali genti provenienti da meridione, che sappiamo essere belligeranti, autoritarie e potenzialmente spietate. Benché a quel punto il nostro insediamento della collina di Skerrabra (da cui prende il nome) fosse stato già da tempo abbandonato, secondo alcuni a causa di un qualche possibile evento catastrofico, come una tempesta di sabbia. Una teoria che trova sostegno nel ritrovamento in queste abitazioni di beni personali come ornamenti e gioielli, tra cui le perline di una collana che sarebbe stata accidentalmente “strappata durante la fuga” da parte di una donna che stava fuggendo in tutta fretta dalla sua casa. Ipotesi difficile da smentire o confermare, mentre appare più probabile, e scontato, un progressivo depopolamento causa il desiderio delle nuove generazioni di cambiare stile di vita, passando dall’esistenza comunitaria dell’uomo primitivo alle prime avvisaglie del concetto di proprietà privata. Altrettanto misterioso resta cosa, prima di quell’epoca, questa comunità avesse bruciato in qualità di carburante per tenersi al caldo e cuocere il cibo, data l’assenza di arbusti e grandi quantità di alghe nella regione. Aprendo la strada alla visione, altrettanto creativa, secondo cui un afflusso continuo di tronchi alla deriva provenienti dalle Americhe costituisse fosse il tesoro più inaspettato di Skara Brae. Occorre ad ogni modo sottolineare come il clima ed il paesaggio di questa terra nel Neolitico si presentasse in modo sostanzialmente diverso, con temperature più clementi e una maggiore distanza dall’oceano in tempesta, il che permetteva agli abitanti di praticare la pastorizia e l’agricoltura, con un successo giudicato sufficiente ad abitare le case sotterranee per un periodo di almeno 200 anni, subito seguìti ,qualunque fosse stata la causa dell’abbandono, da un qualche tipo di evento che ne avrebbe causato la sepoltura, poiché altrimenti la pietra e gli altri materiali sarebbero stati saccheggiati per essere riutilizzati altrove.
Dal punto di vista architettonico, le otto casi di Skara Brae si presentano con una dimensione media di 40 metri quadri, suddivisi in più ambienti. Ciascuno dei quali, quindi, poteva essere chiuso con porte bloccate mediante una stecca di balena, per favorire la privacy degli abitanti. Il capo, o patriarca di ciascuna “famiglia” possedeva quindi un seggio rialzato nell’area comunitaria, davanti al braciere presso cui venivano consumati i pasti al termine di una lunga giornata lavorativa. Menzione a parte merita l’ottava casa, l’unica costruita sopra il livello del terreno, priva di giacigli e in grado di costituire probabilmente un qualche tipo di officina, dove i nativi costruivano attrezzi di pietra e legno in grande quantità, forse anche al fine di barattarli con le comunità vicine.

La visita ad un sito come quello di Skara Brae, o il vicino e simile Knap di Howar, può costituire un’esperienza mistica di scoperta. In grado di aprire la mente ad un maggiore stato di consapevolezza sulla storia pregressa delle isole inglesi e, per inferenza, l’intera civiltà umana.

Tra i molti artefatti ritrovati nel villaggio neolitico, che includono vanghe, aghi, asce, trapani a mano e coltelli, rivestono un particolare interesse le cosiddette sfere di pietra, diffuse nell’intero territorio scozzese, ed in misura minore Inghilterra e Irlanda, con una dimensione piuttosto uniforme che si aggira sui 7 cm di diametro. Oggetti lavorati con bitorzoli, preminenze o vari tipi d’estrusioni geometriche, usate forse come ornamenti, oppure nel corso di possibili rituali religiosi. Una delle teorie più interessanti, nel frattempo, le vedeva ideali come contrappeso in qualche rudimentale forma di bilancia, facendone un ausilio ai primi tentativi di creare un sistema di commercio standardizzato. Ulteriore esempio, se vogliamo, di quanta iniziativa ed impeto intellettuale occorra, talvolta, per tentar d’interpretare a distanza di millenni le intenzioni dei nostri più remoti progenitori.
Perché alla fine tutto quello che ci resta è la nostra intelligenza, frutto della stessa, eccezionale sequenza di eventi evolutivi destinata a creare una collettività diventata in grado di costruire le sue stesse caverne. Non più brutte, prive di posti per sedersi, maleodoranti, spoglie, aride o secche. Bensì straordinariamente comode, ovvero simili al buco di uno hobbit. Da cui avrebbe avuto inizio forse la storia fantastica più influente del secolo trascorso. Nonché l’unica, ad avere un drago tra i suoi più terribili e imponenti antagonisti.

Lascia un commento