Lo spettacolare mega-insetto che perlustra dopo 10 anni la foresta sudamericana

Non si tratta esattamente del tipo di creatura che scorgi ai margini del campo visivo, mentre zampettando esplora silenziosamente la veranda della tipica villetta a schiera di periferia. A meno di voler considerare, in linea di principio, ciò che può essere incline a immaginare nello spazio tra le sue mandibole e il pronoto. Ma l’orecchio umano è chiaramente in grado di riuscire a percepire il suo passaggio, di sei zampe grosse quanto ramoscelli, le scricchiolanti elitre e la grossa pinza mandibolare, abbastanza grande da poter fare a fette una zucchina di media entità. Purché simili verdure, s’intende, crescessero nelle foreste di Guatemala, Brasile, Argentina e in generale tutte le nazioni attraversate dal bacino del Rio delle Amazzoni, quasi come se fosse stato unicamente il corso del grande fiume ad aver accompagnato, in una qualche epoca pregressa, le lunghe migrazioni dei suoi primordi. Il che da un certo punto di vista, rappresenta un lato positivo degli eventi, poiché un ipotetico incontro con la forma adulta del Macrodontia cervicornis, alias “scarabeo dalle lunghe corna e grande mandibola” potrebbe risultare per noi terrificante. E se non riuscite ancora a immaginarne le effettive proporzioni, lasciate che ve le chiarisca: fino a 17,7 cm dalle punte segmentate delle sue ganasce alla parte finale delle strisce ondulatorie marroni e nere che percorrono la sua schiena. Per una creatura a suo modo magnifica e che la natura ha ben pensato di notare, come parte del suo ininterrotto processo di miglioramento, anche della dote encomiabile del volo. Creando la documentata contingenza, tutt’altro che impossibile, di un esemplare che accidentalmente sbatte contro una finestra, giungendo addirittura a infrangerne la superficie trasparente. Penetrando dentro casa come l’orribile incubo che può almeno in linea di principio giungere a rappresentare.
Ed altrettanto inoffensivo nel corso delle ore di veglia, purché non se ne abbia paura, come massimo rappresentante della famiglia dei Cerambicidi (o Cerambici) ovvero scarabei il cui più grande gesto con effetti sul benessere comune è quello di fagocitare grandi quantità di legno marcio ed altra materia vegetale, attività non del tutto priva d’inaspettati risvolti positivi. Lasciando esistere in effetti degli studi non specifici, secondo i quali il ruolo di questa intera classe di creature possa essere benefico per la diffusione dei funghi e delle muffe, favorendo conseguentemente l’interscambio e riutilizzo delle sostanze minerali destinate alla terra. Un’attività indubbiamente praticata con profitto dall’intero genere di appartenenza del nostro imponente esploratore domestico, composto da un minimo di 11 specie acclarate con la classica varietà che tende a caratterizzare gli insetti, vista la tendenza a mettere in pratica tale attività nel corso della propria vita per un periodo di circa una decade. Non che durante il corso di tale frangente, riuscireste facilmente a riconoscerlo senza l’assistenza deduttiva e scientifica di un po’ di biologia creativa…

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Il tortuoso tragitto creativo dell’artista che vive sotto la corteccia del pino

Imponenti millepiedi preistorici, impressi come fossili sul retro di una pietra perduta, che soltanto dopo un millennio, due, è finalmente stata sollevata e girata da parte di un archeologo improvvisato. Che campeggiano l’uno di lato all’altro, con le loro lunghe propaggini serpentine, zampe capaci di arrampicarsi sulla parete di una caverna. Soltanto che qui, di pertugi verso le viscere della Terra, non abbiamo neppure una singola traccia. E le apparenze ingannano, mentre i materiali chiariscono, sostanze come il legno spugnoso staccato direttamente da un albero moribondo, che oscilla impietosamente grazie all’effetto del vento oceanico della California. Poiché verso la fine di una lunga vita, paragonabile allo spegnimento di una stella, creature di tutti i tipi si affollano a popolare il suo tronco coperto di cicatrici: picchi che battono impietosamente alla ricerca di uno spuntino. E i creatori di un altro tipo di foro, i grandi insetti xilofagi e le formiche carpentiere. Ma sotto quella barriera ormai consumata, una letterale città nascosta si aggira e prospera mettendo al mondo la prossima generazione. Comunità i cui membri non riescono a misurare, individualmente, più del mezzo centimetro di un grano di riso. Pur essendo i reali artefici, loro e nessun altro, di una simile apocalisse sospesa tra chioma e radici. Morte, morte, distruzione, annientamento. Che se fossero l’effettiva conseguenza di un preciso disegno, non esiteremmo a definire quell’intelligenza crudele al punto del diabolismo, luciferina nella sua totale assenza di ragionevolezza o alcun senso di pietà. Mentre l’essenza di un simile frangente, per come si configura all’occhio del suo accidentale scopritore, non consegue forse dal mero e imprescindibile bisogno? Dal puro senso di sopravvivenza di tali creaturine zampettanti, divoratrici di quanto deriva da un atavico istinto, che poi altro non può essere che il sommo risultato finale di molti millenni d’evoluzione…
Loro, che il sistema tassonomico di classificazione delle forme di vita confina all’interno della sotto-famiglia Scolytinae, ulteriore suddivisione di quelli che chiamiamo curculionidi, weevil o più volgarmente e per esperienza diretta “le dannate farfalline del riso”. Sebbene siano capaci di presentarsi, nel caso specifico, con una sostanziale deriva morfologica e delle condizioni fisiche apparenti. Con una spessa armatura nera completa d’elitre particolarmente spesse, occhi piatti e protetti dalla forma convessa della testa, neppure l’ombra di un’antenna e soprattutto senza il lungo rostro o naso, che tanto spesso caratterizza i loro simili abituati a infestare i cereali già raccolti dall’uomo. Tutto ciò per adattarsi a uno stile di vita e sopra ogni altro, consistente nello scavo progressivo all’interno di un involucro esteriore della pianta che dovrebbe servire proprio a difenderla dai parassiti e dalle intemperie, ma nulla può fare dinnanzi a mandibole tanto perfette nel fare la cosa per cui sono state create dalla natura. Così la femmina striscia profondamente all’interno, piuttosto che deporre le sue uova in superficie come fanno molti altri distruttori di alberi dal grado di sofisticazione decisamente inferiore, deponendo a intervalli regolari le sue ordinate uova biancastre. Ciascuna delle quali, dopo il trascorrere di un tempo variabile in base alla temperatura ambientale, lascia fuoriuscire una strisciante larva dalla forma di un verme che inizia a anch’essa a spostarsi lungo un tragitto il più possibile distante da quello delle sue sorelle, divorando legno ed emettendo un particolare feromone. Progressivamente, inesorabilmente, tale olezzo impercettibile all’uomo inizierà perciò a filtrare e circondare in una nube l’arbusto ferito. Attirando ulteriori coleotteri della stessa specie, altrettanto dediti alla mansione da loro ricevuta in funzione del grande schema delle cose. E potrebbe perciò sembrare particolarmente strano, che una creatura tanto piccola e parassita, per il solo effetto della sua fame, possa giungere ad uccidere l’ambiente che potremmo definire come il suo stesso mondo. Eppure si hanno notizia d’infestazioni soprattutto in territorio nordamericano, e nel corso di questi ultimi decenni, che lasciate sfuggire completamente al controllo di qualsiasi tentativo di contenimento, hanno finito per dare filo da torcere ad intere foreste millenarie, particolarmente quelle composte dal Pinus ponderosa, uno degli alberi più svettanti e maestosi al mondo. In assenza di veri sistemi efficaci ad ampio spettro, al fine di contenere la moltiplicazione esponenziale di un tale tipo d’inconsapevoli, implacabili aguzzini…

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