Variabile attraverso gli anni, per non parlare delle decadi, è l’ideale di cosa sia “bello”, “attraente” o semplicemente “strano”. Benché esistano determinate realizzazioni tecnologiche, sufficientemente dotate per quanto concerne uno di questi tre canoni, da risultare significative in qualsiasi epoca si voglia dare un voto alle realizzazioni dei tempi passati. Sto parlando in questo senso di automobili, il mezzo di trasporto personale per eccellenza, capace di adattarsi ai gusti di popoli e persone ma anche di trascendere il momento in cui vennero fatte scaturire dalla fabbrica di provenienza. Oppure mere, singole officine; poiché non è in alcun modo scontato che i modelli maggiormente memorabili debbano per forza essere prodotti in serie. Quando l’esperienza insegna, in ogni campo, come l’immaginazione o il gusto estetico di un singolo possa creare spesse volte cose memorabili. Come l’ignoto progettista al soldo della McQuay-Norris, azienda di St. Louis (MO) specializzata in parti di ricambio per motori anteguerra, che nel 1934 offrì ai suoi capi l’opportunità di farsi riconoscere mediante il più attraente tipo di pubblicità semovente: un’automobile che aveva forse delle ispirazioni pregresse, appartenendo ad un filone di comprovata efficienza, ma che la stragrande parte della popolazione non aveva mai visto. Il cui nome fu un diretto e descrittivo Streamliner, l’aggettivo in lingua inglese che potremmo tradurre con “aerodinamico” qui perfetto al fine d’identificare il punto principale di una simile carrozzeria, creata per ridurre la resistenza di quel fluido gassoso, che come fin troppo bene sappiamo costituisce l’ottima atmosfera terrestre. Ecco dunque l’idea, presentata al pubblico attraverso una nuova campagna sui principali quotidiani dell’epoca, di mandare in giro una serie di sei rappresentanti per il paese, il cui semplice passaggio potesse far voltare la testa e focalizzare l’attenzione di chicchessia. Il primo pensiero con l’esperienza degli anni intercorsi va alla celebre Wienermobile a forma di wurstel (vedi articolo) della Oscar Mayer, che ancora oggi costituisce uno dei principali marchi di fabbrica dell’azienda produttrice di alimenti confezionati. Ma la vettura McQuay-Norris, con il suo tenore prettamente sperimentale, costituiva ben più che un semplice punto per focalizzare l’attenzione di grandi e piccini. Incorporando nel suo abitacolo, la cui spaziosa plancia ricordava un tavolo da pranzo, un’impressionante serie di indicatori e strumenti scientifici, capaci d’indicare tra le altre cose il flusso del carburante e dell’olio, la pressione dell’acqua, la temperatura dei gas di scarico, la compressione dell’aria ed in modo particolarmente rilevante per gli affari della compagnia, l’eventuale perdita di gas di combustione dai cilindri dell’olio anche per vetture terze, mediante l’uso di un sofisticato quanto misterioso apparato sul sedile del passeggero. Affinché il giovane ingegnere impiegato come rappresentante, in visita presso il cliente di turno, potesse incoraggiarlo ad acquistare le guarnizioni, i pistoni, i cuscinetti a sfera o altri ricambi facenti parte del suo ricco campionario. Un’idea di business dalla chiara praticità funzionale…
ottimizzazione
L’originale auto aerodinamica, un trascurato traguardo rumeno
Fattore di una certa importanza nella moderna progettazione di autoveicoli è il coefficiente di resistenza dell’aria, un calcolo relativo alla densità di quest’ultima, moltiplicata per l’area di riferimento e la velocità al quadrato, giungendo ad un valore indicativo dell’efficienza nell’impiego della spinta motrice. Con un risultato il quale, oggigiorno, tende ad aggirarsi per le vetture stradali omologate attorno allo 0,25-0,30, grazie alle lunghe decadi di miglioramenti messi in pratica dalla maggior parte delle aziende produttrici al mondo. Caratteristiche che oggi diamo per scontate, quali cabine chiuse con finestrini a vista, ruote incorporate nella carrozzeria e fari che non interrompono le forme armoniose del veicolo, laddove un tempo componenti come claxon, borse o persino il motore sporgevano trasversalmente, imponendosi come forme che accrescevano la resistenza all’aria. Immaginate dunque la frustrazione di un ingegnere progettista d’inizio del secolo scorso come Aurel Persu, che nella sua natìa Bucharest fu tra i primi a rendersi conto di come i suoi contemporanei stessero tralasciando ogni considerazione significativa in merito all’efficienza veicolare, raggiungibile mediante l’applicazione di un simile serie d’accorgimenti utili a far scendere un coefficiente superiore a 1,0-2,0. Fu quindi nel 1922, mentre lavorava come consulente al perfezionamento degli aeroplani, avendo già conseguito riconoscimenti in campo accademico per i suoi studi, che vide l’opportunità di pubblicare un articolo scientifico destinato a rimanere nella storia. Un pezzo molto critico relativo all’industria dei veicoli globale, dominata in base a un gruppo di criteri che non parevano in alcun modo utili ad ottimizzare i consumi, aumentando esponenzialmente l’impatto economico e perché no, l’inquinamento causato dai moderni trasporti a motore. Per poi proseguire con dialettica eloquente, nell’incoraggiare la fondazione di un sindacato internazionale degli automobilisti, che potesse idealmente chiedere a gran voce i miglioramenti opportuni. Detto ciò e rendendosi lui stesso conto di stare combattendo contro una parete inamovibile, decise quindi l’anno successivo di mostrare a tutti il modo giusto di costruire un veicolo, nella speranza forse vana di riuscire ad essere il cambiamento che voleva vedere nella società futura. Il risultato fu l’automobile destinata a portare semplicemente il suo nome, per la quale si sarebbe ispirato, in base a nozioni aneddotiche, alla “forma ideale di una goccia d’acqua che sta cadendo”. Sebbene il primo brevetto conseguito in Germania nel 1924 parlasse piuttosto della forma del corpo di un uccello, “come un piccione” e le non sempre generose retrospettive internettiane amino paragonarla ad una scarpa posizionata al contrario rispetto alla direzione di marcia. Il che non era certo l’obiettivo, mancando ancora il tipo di sensibilità nel design destinate a trovare sfogo nel secolo successivo, benché nessuno potesse negare i meriti della matematica: l’Automobilul lui Persu poteva vantare, infatti, un coefficiente aerodinamico di 0,22, essenzialmente pari a quello di una Porsche Carrera di oltre mezzo secolo dopo…
Un belato nel fotovoltaico: la funzionale pastorizia dei pannelli solari
Se logico è il principio in base a cui l’energia è vita, nella sua forma più astratta e al tempo stesso imprescindibile, non c’è ragione per cui l’effettiva produzione dei presupposti tecnologici di sussistenza debba corrispondere all’assenza di ogni forma di essere guidato da uno spirito ed aspirazioni a vivere serenamente su questa Terra. Per cui le dighe sono avverse ai branchi di salmonidi che risalgono i torrenti; il petrolio inquina; l’eolico costituisce ostacolo per il tragitto degli uccelli migratori. E che dire allora della più economica tra le fonti di elettricità rinnovabili, l’espressione tecnologica degli antichi culti dedicati alla venerazione del dio Sole? Pannelli solari che si estendono, talvolta fino all’orizzonte ed oltre, traducendo il fabbisogno umano in un paesaggio surreale che parrebbe simmetricamente opposto ad ogni residuo presupposto dei processi impliciti del mondo naturale. Eppure tutta questa incandescenza, di elettroni fatti muovere a velocità produttive, pur sempre resta la più economica e accessibile fonte di quel fluido nel contesto dei tempi odierni. Il che offre un funzionale presupposto all’attivazione di processi collaterali, di per se stessi redditizi oltre che utili allo sfruttamento pratico della più preziosa tra le risorse: lo spazio disponibile al di fuori dei confini, ma situato ad una prossimità ragionevole, dei centri abitati metropolitani o rurali.
L’agrofotovoltaico s’inserisce, in tale contesto, per lo sfruttamento raddoppiato di quei terreni, ove la presenza di strutture assorbenti su pali sopraelevati non subordina, inerentemente, la crescita e il rigoglio di particolari tipologie di vegetazione. Ferma restando l’esigenza delle piante di una certa quantità di luce, inevitabilmente ridotta dalla forma piatta e rettangolare dei suddetti dispositivi optoelettronici, disposti come altrettanti paraventi trasferiti sul piano dell’orizzonte. Ragion per cui è stato determinato, attraverso piani di fattibilità e ricerche di settore nel corso delle ultime due decadi, che lo sfruttamento economicamente più efficace è quello che prevede il coinvolgimento di una terza parte; rappresentata, per l’appunto, dal bestiame. Le pecore solari sono quindi la soluzione maggiormente collaudata perché tra tutti gli animali alle radici di un’industria zoologica, presentano il minor numero di problemi di gestione. Non danneggiano le strutture antropogeniche con lo strofinamento come fanno le mucche, non scavano buche con gli zoccoli alla maniera delle capre. Offrendo, nel contempo, lana vendibile e copiose quantità di carne, soprattutto quando s’intensificano gli accoppiamenti per sfruttare il consumo incrementato d’agnelli durante le feste islamiche del Ramadan ed Eid. Ciò mentre offrono uno spontaneo quanto utile contributo al mantenimento del sostrato erboso entro l’area ombreggiata. Riducendo il rischio incendio ed impedendo la progressiva copertura dei pannelli ad opera delle piante più grandi, con un’intervento necessario da parte di mani umane esponenzialmente minore…