L’ornato mondo dietro il valico dai cardini allegorici di Auguste Rodin

Costituisce un’oggettiva manifestazione dell’Ego il fatto stesso che la singola scultura più famosa usata per rappresentare la filosofia, il pensiero e la meditazione sia considerata dal senso comune l’immagine solitaria, di un uomo eroicamente nudo accovacciato sopra ad una pietra che sostiene il proprio mento con il dorso della sua mano destra. Come se il raggiungimento di uno stato di consapevolezza superiore, per quanto transiente, potesse derivare dalla singolarità e l’isolamento, piuttosto che dal culmine figurativo dell’intera somma di emozioni, sentimenti e stato d’animo umani. Quelli rappresentati in modo tanto vivido e realistico, per l’appunto, nell’intero gruppo scultoreo che doveva incorniciare il Pensatore, frutto della mente e delle mani di uno dei maggiori padri della scultura moderna, Auguste Rodin. Ma forse è sbagliato usare imperativi quando ci si riferisce all’opera di quel gigante a cavallo dei due scorsi secoli, egli che fece della propria professione una missione, utile a scoprire strade di collegamento tra l’ideale ed il tangibile, trasformato in manifestazione fisica di quanto aveva occupato, fino a quel momento, le regioni irraggiungibili del nostro subconscio. In nessun modo maggiormente valido, che la costruzione della sua celebre Porta.
Vi sono artisti, nel corso della storia antica e moderna, che scelsero di dedicare una parte significativa della propria esistenza alla realizzazione di una singola opera. Ma forse nessuno è maggiormente celebre per questo di colui che aveva ricevuto già da tempo i meriti di un creativo affermato fu invitato dal ministro parigino Edmund Turquet a creare il portone d’ingresso per un ipotetico, aleatorio “Museo delle Arti Decorative”. Un’immagine svettante, come una scenografia di bronzo, idealmente al termine di un lungo corridoio e in cima, oppure in fondo ad una scala degnamente illuminata. Contesto in un certo senso ideale per l’estetica realizzazione di tutto ciò che aveva costituito il fondamento della propria visione artistica, inclusa una certa passione per l’arte e la letteratura italiana dopo un lungo viaggio nella penisola durante due mesi del 1875, con uno spazio d’onore che sarebbe stato in seguito riservato all’opera di Dante Alighieri. È davvero possibile, dunque, che la figura collocata perpendicolarmente al culmine di tale valico a due ante, della monumentale altezza di 6 metri e con oltre 200 figure antropomorfe che si agitano, contorcono, baciano e conversano tra loro, fosse proprio un ideale raffigurazione del Sommo, piuttosto che l’ipotizzato autoritratto dell’artista intento a visualizzare il contenuto della sua opera più grande? Entrambe idee alquanto improbabili, quando si osserva l’eccezionale muscolatura del Pensatore, in effetti basata sul modello e noto pugile dei sobborghi di Parigi, Jean Daud. E forse eccessivamente superba persino per lui, quando nel quadro generale dell’opera se ne comprende la posizione preponderante seconda soltanto a quella delle Tre Ombre, figura delle anime che annunciavano l’ingresso dentro il regno sotterraneo dell’infinita e irrimediabile dannazione. “Lasciate ogni speranza” sembrerebbe quasi di sentirle dunque pronunciare, “Oh voi che ch’entrate”

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L’auspicata ricompensa mistica per chi soleva porre in equilibrio il chicco di caffè gigante

Tra il ricco catalogo di scene inaspettate reperibili su Internet, questa dev’essere senz’altro una delle più strane: un uomo in maglietta nera afferra quello che parrebbe essere un oggetto semisferico di metallo pesante, lo fa rotolare da una parte all’altra nella versione convessa di una sorta di ciotola in ferro per il pranzo di cani e gatti. Quindi piantando bene i piedi in terra, tenta disperatamente di sollevarlo, fallendo miseramente ed in modo alquanto probabile, condannando la sua schiena ad un lungo pomeriggio di riposo e possibili problemi a media lunga scadenza. Non così il secondo contendente di quella che sembra a tutti gli effetti una sorta di tenzone popolare o dimostrazione di forza, che molto intelligentemente sceglie di non prendere subito di petto l’ingombrante pegno. Ma piuttosto inizia a spingerlo nel suo canale dalla forma tonda, facendolo progressivamente accelerare grazie alla forza di due braccia ottimamente allenate. Finché mettendo in atto quello che può essere soltanto definito come un colpo di reni da manuale, la tira verso di se sopra il gibboso piedistallo, concentrandosi e tentando di stabilizzarla per alcuni lenti, drammatici secondi. Poi la lascia, si alza, e…
Chi è costui? Che cosa abbiamo visto capitare? In base alle brevi descrizioni reperibili su Internet, il particolare frangente rientra nell’esperienza per il pubblico di un luogo molto popolare per i croceristi del fiume Yangtze. Con una storia capace di estendersi addietro di fino ad un paio di migliaia d’anni, verso l’apice della dinastia degli Han, quando una coppia di fraintendimenti portarono a identificare la vicina cittadina di Fengtian, a circa 170 Km dalla tentacolare metropoli di Chonqing, come un possibile sentiero d’accesso alternativo per le profondità degli Inferi senza un domani. Un luogo d’introspezione dunque, di meditazione ma anche di non sempre accessibili sfide, mirate a mettere alla prova la purezza della propria anima e saldezza delle convinzioni di cui si è dotati, fino ad un drammatico confronto finale con il Re Yama, sommo Deva di derivazione indiana che presiede al governo e giudica i nuovi arrivati di questa terra misticamente carica d’aspettativa. Ordalìe come quella, per l’appunto, della Xing Chen (星辰礅 – blocco di pietra stellare) un ponderoso blocco metallico posizionato sotto un gazebo, a quanto pare del peso esatto di 365 Jin, pari a 219 chilogrammi. Pegno che compare in diversi altri luoghi sacri del paese, sebbene mai portato fino a queste dimensioni estreme, sollevate in base alla leggenda da due sole persone: l’operaio incaricato di costruire il sito, e l’individuo da noi visto nel video di apertura, in realtà documentato in diversi video come una sorta di campione locale, con tanto di annunciatrice/guida che illustra la sua tecnica tutt’altro che semplice da imitare. Senza tralasciare, chiaramente, il resto dell’interessante ed unico luogo in cui può essere realizzata l’impresa…

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La danza degli scheletri nell’era della grafica 3D

Avevo appena terminato di guardare l’ennesimo video degli auguri per… Una spaventosa Notte delle Lumere (Hallows’ Eve) quando sentii di nuovo quello strano rumore. Certo, quando lavori da svariate settimane come guardiano part-time presso il cimitero di una grande metropoli ci si abitua a un certo tipo di sottofondo auditivo per le proprie peregrinazioni digitali, che include il verso del gufo, il sibilo del vento tra i cipressi, il miagolio del gatto nero in calore, il fruscio delle ali di una falena… Eppure permane un certo inevitabile senso d’inquietudine, in un battito continuo e regolare, che d’un tratto accelera, quasi tentando d’articolare un preciso susseguirsi di parole: “Vie-eni da noi, Mortimer; vie-eni subito, Hildebrand…” E poco importava che il nome giusto fosse stato, fin dal giorno della mia nascita circa due decadi e mezzo fa, un ben più semplice e non mi duole ammetterlo, banale Eric. Appariva ormai evidente che i defunti non avevano pazienza per quel tipo di dettagli. “Cosa intendi…” Mi sembra quasi di sentire la domanda: “Quando affermi di aver comunicato personalmente con l’adilà?” una frase pronunciata con il senso di sospetto enfatico e latente, generalmente attribuito agli aspiranti medium, fattucchieri ed altri truffatori delle impossibili speranze altrui. Ebbene devo dirvi, in tutta sincerità, che tutto questo non avesse alcun collegamento con capacità speciali, poteri della mente o altre doti ricevute in dono non si sa quando, non si sa da chi. Sono altresì del tutto certo, come lo sarebbe stato chiunque altro al mio posto, che quanto sto per narrarvi sia realmente accaduto, in quella serie di notti memorabili iniziata esattamente 365 giorni fa.
La maggior parte delle persone pensa ad Halloween come una festa religiosa in qualche modo cambiata e adattata alle necessità dei tempi odierni, come occasione per fare acquisti, vivere la gioia delle ricorrenze, interpretare un ruolo temporaneo nell’impermanente scorrere della moderna società. Ma la realtà è che vivendo negli Stati Uniti, dove questo modo di onorare il giorno dei defunti ti viene trasmesso fin da quando frequenti i primi anni dell’asilo, si acquisisce gradualmente verso il giungere dell’età adulta una remota, quanto significativa percezione: che i vampiri, fantasmi ritornati e zombies non esistono, fino al preciso momento in cui si cerca in qualche modo di evocarli. È come rendersi coscienti del proprio stesso respiro, trasformandolo in un gesto manuale per qualche fatidico momento. Un voragine dalla quale è impossibile tornare, per lo meno, finché non avrà fatto il suo tempo. Sul preciso bilico tra autunno e inverno dunque, di quel giorno carico di sottintesi, mi alzai dalla sedia del computer per recarmi in corridoio della guardiola, nella speranza di scoprire quale bimbo dispettoso, che burlone tra i miei conoscenti al city college, si fosse messo in testa di farmi passare quei cinque o dieci minuti di terrore. Tutto quello che ottenni, tuttavia, fu percepire quello strano battito che accelerava, seguito da un sinistro tonfo a terra. E quando giunsi finalmente sulla scena, proprio in mezzo al pavimento, candido ed inconfondibile al centro del mio campo visivo, c’era quello che poteva essere soltanto un femore umano.
Sul primo momento non lo riconobbi. Presi quell’oggetto per nasconderlo all’interno di un cassetto della scrivania (l’avrei fatto vedere, il giorno dopo, al mio supervisore) ma fu allora che mi accorsi, con sincero stupore, che l’orologio digitale con termometro segnava le ore 26:26. Mentre la luce della luna, filtrando tra le sbarre alla finestra con un tono lievemente azzurrino, aveva reso invisibile fino all’ultima delle alte stelle a noi più familiari…

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