Scalatori d’alberi aracnofobici, sfidanti dell’ostile presenza che s’avvolge sul ramo

È un’attività che può essere divertente, dopo tutto, quando si è ancora abbastanza giovani da disporre di un surplus energetico abbastanza grande. L’opportunità di salire, una mano di seguito all’altra, fino ai rami mediani di un invitante produttore di radici. Torre svettante sul feudo della propria immaginazione. Pianta di fagioli magici capace di condurre dove le proporzioni non contano, ma ogni cosa appare fondamentalmente libera di proporzioni presunte. Se tale attività risulta meno invitante per i bambini dell’Australia occidentale d’altra parte, ed in modo particolare quelli che abitano nei pressi dell’area geologico del bacino di Carnarvon, la ragione non appartiene necessariamente ad un ambito di tipo culturale. Quanto piuttosto alla legittima preoccupazione, frutto di argomentazioni quanto mai condivisibili, che ciò possa condurre al verificarsi della sgradevole Situazione. Quella talvolta mostrata nei film e documentari d’avventura, in cui il rocciatore dovesse trovarsi a inserire la mano all’interno di un angusto pertugio che rientra lungo il suo ambiente elettivo di appartenenza. Per trovare all’interno di esso, silenzioso ed improvvisamente agitato, lo scorpione/serpente/aracnide delle sgradite circostanze. Ma aspetta un attimo (mi pare una logica obiezione) non c’è ragione d’inserire i propri arti all’interno di nessun… Buco. Quando è presente l’opportunità di sfruttare semplicemente l’appoggio dei rami? D’altronde le oblique estrusioni dell’entità vegetale, a nostra insaputa ed in quel particolare luogo, pare nascondano cionondimeno un latente rischio, dall’ottuplice sistema di deambulazione ed un pari numero organi sensoriali dedicati alla vista. Un vero peloso ragno, che non porta guadagno, bensì terrore latente alla sua improvvisa ed impressionante rivelazione.
Cucù! Fa l’uccello che fuoriesce dall’orologio. Ma non c’è un verso associabile all’evenienza fin qui accennata. Di un incontro evidentemente accidentale, dal punto di vista di entrambi, con l’essere aracnide noto come Dolophones o ragno avvolgibile o ancora, ragno della corteccia con la forma di una foglia. Che può essere marrone, grigio o verde a seconda della varietà oggetto di volta in volta di osservazione. Colei o colui si limita in genere a soggiacere nelle ore diurne, non-visto, non-sentito e persino non-immaginato, per l’appunto abbarbicato ai rametti proporzionati alla sua lunghezza di 3-4 cm, facendo affidamento sulla spontanea quanto rara capacità di scomparire. Grazie non soltanto alla livrea indubbiamente mimetica, ma anche una caratteristica morfologica piuttosto rara: il fatto di avere un addome concavo, essenzialmente simile alla forma di un cucchiaio. Così da potersi appiattire, scomparendo in maniera morfologicamente ideale sopra l’immota diramazione di appartenenza. Un trucco almeno in parte reso più complicato, nel caso della singola specie più famosa di questi ragni…

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Il Diablo sul soffitto dipinto: vera chiesa del Rinascimento usata per pubblicizzare l’atteso videogame

È un fatto acclarato che le rappresentazioni del demonio nella storia della pittura risultino essere tutt’altro che rare, con molteplici e altrettanto validi approcci nel donare l’impressione al pubblico di un personaggio al tempo stesso orribile ed affascinante, in grado di ammaliare poco prima di tradire e condannare l’umanità. Come dimenticare, ad esempio, l’immagine di Sant’Agostino che affronta l’orribile Satana rettiliano nell’opera del 1475 del tedesco Michael Pacher, mentre quest’ultimo tenta d’imporgli l’inclusione del suo nome all’interno di un pesante tomo? O ancora la trionfante interpretazione di Raffaello (1518) in cui l’arcangelo Michele infilza Lucifero caduto con la sua lancia, mentre lo tiene a terra puntando il piede tra le scapole esattamente nel mezzo delle perdute ali. Simili creazioni d’altra parte, anche quando create per un contesto ecclesiastico, difficilmente avrebbero trovato il posto principale all’interno di una casa del Signore, vedendogli preferiti soggetti più consoni come episodi della Bibbia o le vite dei santi. Difficile immaginare perciò quale sarebbe stata l’impressione dell’arcivescovo di educazione gesuita van der Burch (1616-1644) principale finanziatore e committente per la versione finale della Chapelle des Jésuites di Cambrai, nel nord della Francia, nel vederla così come compare a partire dalla scorsa settimana: con il soffitto letteralmente dominato da una particolare interpretazione della dea Sumera trasformata in diavolo, Lilith la tentatrice, circondata da una serie di figure non propriamente affini alla visione collettiva del sacro. Una… Guerriera, potenzialmente ispirata alla figura d’Ippolita della mitologia greca. Un druidico individuo con l’elmo cornuto di Cernunnos, egli stesso non meno satanico della presunta antagonista della scena. Un brutale barbaro che impugna un’ascia bipenne, affiancato dalla versione vagamente punk di Giovanna d’Arco. E poi lupi mannari, morti rianimati, gargoyles ed altre entità ragionevolmente affini a un’incubo di autori come Bosch o Brueghel il Vecchio. In un’apparente glorificazione della violenza, che sarebbe ancora oggi vista come fortemente inappropriata all’interno di un simile contesto, non fosse per i lunghi anni trascorsi dall’ultima volta in cui l’edificio in questione è stato utilizzato col suo ruolo presunto, dopo aver trovato a partire dall’epoca della Rivoluzione più volte l’impiego di magazzino, caserma, deposito per le armi e persino cinema. Essendo in altri termini, fatta eccezione per un breve periodo durante il restauro della cattedrale di Cambrai a seguito dei bombardamenti della seconda guerra mondiale, probabilmente la singola chiesa più sconsacrata di Francia, che a partire dal presente momento sembrerebbe aver trovato un ulteriore compito nel novero pregresso delle molte mostre d’arte organizzate al suo interno. Quella di promuovere, come parte di un’acrobazia notevole del marketing contemporaneo, il quarto ed attesissimo episodio della notevole serie di videogiochi A-RPG (Action-Role Playing Game) Diablo, tanto antologica per i moderni appassionati, quanto possono dirsi tali le biografie del Vasari per gli estimatori dei Vecchi Maestri. Tutto ciò grazie al coinvolgimento, niente meno che essenziale, di alcuni veri ed abili artisti…

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La sgargiante spietatezza dell’appariscente gambero torturatore di stelle marine

Probabilmente il più celebre personaggio della commedia dell’arte nata nel XVI secolo in Italia, assieme al meridionale Pulcinella dal contegno astuto e fantasioso, il variopinto Arlecchino bergamasco vanta già a partire dal suo nome delle origini di un tipo più sinistro e misterioso. Con un’etimologia che viene ritenuta germanica, dal binomio Hölle König (“Re dell’Inferno”) il servo dal costume variopinto viene rappresentato come infedele e imprevedibile, avido e ambizioso nella sua ricerca di un qualche tipo di ricchezza terrena. Che molto spesso finisce per concretizzarsi in grandi quantità di cibo, sottratto ai suoi legittimi destinatari tramite l’impiego di perverse metodologie frutto di uno studio d’incessante spietatezza situazionale. Ciò che gli stimati autori di quel genere non hanno mai pensato per i protagonisti delle loro storie, tuttavia, è il tipo di vicenda culminante con l’omicidio e la tortura apparentemente insensata di una vittima, per giorni o addirittura settimane, con l’unica finalità di perseguire un qualche tipo di vantaggio personale immanente. D’altra parte senza troppe requie o il tipo d’ostacoli dettati dall’umana empatia, a fare questo sembrerebbe proprio averci pensato la Natura. Proviamo perciò a spostarci nella nostra trattazione sotto la superficie pellucida dei mari, fino agli ambienti a noi perfettamente noti degli 1-30 metri di profondità, presso i confini tropicali dell’Oceano Indiano o il Pacifico Occidentale. Dove l’utilizzo dell’appellativo carnevalesco di cui sopra trova facilmente un valido destinatario, sia dal punto di vista metaforico che convenzionale, nella creatura monotipica da 5 cm classificata con rigore come Hymenocera o H. Picta, parte dal punto di vista tassonomico dell’ordine dei crostacei decapodi, infraordine dei gamberetti di mare. Pur possedendo un appariscente dello stile che lo porta ad distinguersi con il suo variopinto a macchie blu, gialle e rosse, neanche fosse un fantastico mostro a cartoni animati, tanto interessante quanto, in linea di principio, privo di effettive intenzioni apparentemente malevole nei confronti di altre specie a lui vicine. Il che permette nella fattispecie, come dicevamo, di tracciare una linea netta tra la fantasia e la verità, visto come il nostro eccentrico amico possa dirsi in grado di personificare, col suo stile di vita puramente istintivo, una delle entità più spietate facenti parte della nostra intera cognizione animale, fatta potenzialmente eccezione per la stessa ed almeno qualche volta empatica razza umana. Laddove chi per sopravvivere può uccidere soltanto un tipo di creature, e tende a farlo in maniera tale da garantirgli più validi propositi di sopravvivenza, smetterà ben presto di considerarla come un essere dotato di un proprio obiettivo, aspirazioni e valide capacità di raziocinio. Per quanto possa risultare sofisticato, il pensiero astratto di un echinoderma, nella fattispecie appartenente alla vasta categoria delle stelle marine. Che semplicemente e puramente esistono, frantumando i rigidi coralli della barriera, finché non vengono avvistati da qualcosa, o qualcuno di molto più terribile e affamato di loro…

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La terribile chimera del New Jersey, diavolo caprino con le ali da pipistrello

In uno dei più memorabili episodi del popolare show newyorchese “I Soprano”, due luogotenenti del clan titolare incontrano sincere rimostranze nella riscossione di una somma per la protezione, presso l’imprevedibile rappresentante di un altro sindacato criminale di nazionalità russa. Nella discussione che ne deriva, culminante con l’uccisione più o meno accidentale del suddetto individuo, Paulie e Chris non hanno quindi altra scelta che trasportarne il corpo nella zona più selvaggia ed isolata nelle immediate vicinanze della Grande Mela, la densa e vasta foresta nota fin dall’epoca coloniale con il nome di Pine Barrens. In un crescendo di situazioni non pianificate, tuttavia, la loro vittima si rivela ancora viva nonché ancora sufficientemente in forze, e cogliendo di sorpresa gli aguzzini, fugge via tra gli alberi, costringendoli a seguirlo e perdersi nella foresta. Segue uno dei momenti più surreali e strani nel già ricco repertorio della serie, durante cui i due sicari si perdono in un luogo ostile e silenzioso, finendo effettivamente per rischiare la vita fino al tardivo salvataggio organizzato dal protagonista Tony e il suo futuro cognato, Bobby Baccalieri. La storia sorprende in quanto evocativa e psicologicamente affine all’inconscio, intrisa di un latente senso di mistero e meraviglia che culmina nell’inevitabile finale: l’ex-soldato russo è sparito e per il resto della narrazione, non tornerà mai più a cercare la sua vendetta. Come molti altri demoni spaventosi e misteriosi “babau” di questo luogo potenzialmente ameno, stranamente temuto dalla gente di New York per una quantità elevata di pregresse generazioni, il tangibile sconfina nell’occulto ma nessuno, in alcun modo, sembra averne superato le più implicite e nascoste iterazioni costruite dalla mente umana. Manifestazioni in qualche modo tangibili del puro e implicito terrore, in maniera analoga a quanto avvenuto in simili recessi nel remoto anno del Signore 1735.
Ha in effetti un cognome e una data di nascita precisa, la possibile figura storicamente esistita che costituì l’ispirazione del più temuto essere selvaggio del New Jersey, più comunemente noto come il XIII figlio della moglie del rinomato editore Daniel Leeds. Tale Jane la quale, sconvolta dalla fitta rete di superstizioni interconnessa al verificarsi di un simile evento, iniziò a temere che il suo nascituro potesse trasformarsi in niente meno che l’Anticristo ovvero in altri termini, la forma materiale di Lucifero in persona. E poiché nulla può indurre al verificarsi di terribili prodigi o sconvolgenti eventi, quanto l’aspettativa stessa di coloro che necessariamente si trovano a farne parte, la leggenda vuole che al momento della nascita lo sfortunato pargolo avesse iniziato a mutare. Incrementando le proprie proporzioni fino a quelle di una persona adulta o canguro, fatta eccezione per le braccia rimaste sproporzionatamente piccole, come quelle di un Tirannosaurus Rex. Mentre le ginocchia si invertivano ed i piedi diventavano degli zoccoli da cavallo, così come la testa cominciava ad assumere l’aspetto di un cavallo o altro essere quadrupede di questa Terra. Madre Leeds, comprensibilmente terrorizzata, chiese quindi che il suo ultimo figlio venisse richiuso nella soffitta della casa. Benché a sua insaputa egli fosse destinato a ricevere, nel giro di qualche giorno, anche un altro dono sovrannaturale: un paio di membranose ali di pipistrello, più che sufficienti a balzare volare fuori dal comignolo, fuggendo verso l’orizzonte per non tornare mai più all’ovile. Segue un lungo periodo d’incertezza, durante cui i membri della famiglia Leeds ed altri abitanti o visitatori della foresta settentrionale atlantica si sarebbero trovati al cospetto dell’orribile creatura, generalmente piuttosto schiva ed almeno in apparenza ostile soltanto nei confronti del bestiame lasciato incustodito. Tra coloro che ebbero ragione di parlarne, niente meno che Joseph Bonaparte, fratello maggiore dell’imperatore di Francia, che avrebbe incontrato il diavolo sul sentiero della sua residenza presso Bordertown nel 1820, di ritorno da una battuta solitaria di caccia. Difficilmente, d’altra parte, un’esperienza simile poteva essere dimenticata…

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