Telecamera in soggettiva all’interno di un rally, cosa c’è di nuovo? Abbiamo avuto modo di vederli tutti, in un modo o nell’altro, grazie all’attrezzatura video montata sulle auto dai team di corse, per testimoniare la performance, e le doti di colui che pilota le vetture iscritte a ciascuna gara. Anzi, grazie ai videogiochi le abbiamo persino guidate, queste grandi automobili a folli velocità, cercando l’apice di ciascuna curva diversa in base al suolo al di sotto delle nostre virtuali ruote (con conseguenze, il più delle volte, non propriamente ideali). Cosa mai potrebbe esserci di nuovo, nel video stile-GoPro presentato giusto l’altro giorno sul canale di YL!VAA Media, probabilmente a séguito dell’acquisto dei diritti dallo stesso autore. Già, una persona piuttosto che una scuderia, e nello specifico colui che l’hai materialmente realizzato. “Ma allora…” Già, proprio così: stiamo parlando di uno spettatore. Ciò che Internet ci offre oggi, nel suo ampio catalogo d’esperienze videografiche, è un qualcosa che molti di noi probabilmente non tenteranno mai di sperimentare, benché si tratti, a conti fatti, di un’esperienza non inaccessibile, né particolarmente pericolosa. Stiamo parlando, se ancora non fosse palese, degli appassionati che vanno a mettersi presso una curva spregiudicata, e quando se ne presenta l’opportunità, fanno il possibile per aiutare. Perché il rally, per sua stessa natura imprescindibile, non è semplicemente la corsa senza limiti su un tratto stradale chiuso al traffico, la cosiddetta prova speciale, ma anche e soprattutto la metafora di un viaggio, attraverso il quale l’equipaggio di gara dovrà risolvere ogni potenziale guasto tecnico o défaillance senza poter ricorrere all’aiuto del resto della squadra. Mentre non c’è scritto da nessuna parte, che il pubblico debba starsene da parte senza far nulla. Nel corso degli anni la competizione si è dunque arricchito di questa ulteriore aspetto, che lo rende uno sport “interattivo” durante il quale non solo è difficile capire cosa possa succedere, ma lo stesso succede per quanto concerne ciò che ci si può ritrovare a fare.
Entriamo a questo punto nello specifico: lo scenario si svolge presso lo stage di Päijälä, a quanto pare uno dei principali ostacoli del prestigioso Rally dei Mille Laghi con partenza da Jyväskylä, ormai da tempo facente parte del campionato mondiale della WRC. La data è lo scorso 29 luglio, proprio durante l’edizione 2017 della gara, recentemente conclusasi nel momento in cui scrivo con vittoria della nuova promessa della Toyota Esapekka Lappi, secondo classificato Elfyn Evans di Ford, terzo Juho Hänninen di Toyota. A sfiorare il podio con la quarta posizione, nel frattempo, ci ha pensato Teemu Suninen, ultima aggiunta del team Ford. Notate qualcosa? Dei quattro piloti citati, tre hanno un nome chiaramente appartenente all’area scandinava e a dire il vero, ciò non è certamente un caso. Si potrebbe anzi affermare che si tratti di una vera e propria tradizione, per un rally notoriamente ostico da portare a termine, e soprattutto molto diverso dal resto delle gare di campionato. Le ragioni sono diverse, a partire dai dislivelli alle particolari caratteristiche paesaggistiche del territorio (non sognatevi, ad esempio, di riuscire a mancare un albero se doveste finire fuori strada) e soprattutto, fra tutti gli aspetti, c’è n’è uno che spicca in modo particolare: la notevole velocità media, con interminabili rettilinei che hanno fatto soprannominare questo ambito di gara con il nome programmatico di “Grand Prix su sterrato”. Il che naturalmente, in determinate circostanze, può portare a conseguenze alquanto problematiche, con particolari tratti che risultano, semplicemente, troppo difficili per un’alta percentuale dei partecipanti. Così esistono casi come questo, di una curva in cui finiscono fuori strada 5, 10 persino 15 automobili, l’una dopo l’altra. Mentre la gente, tuffandosi a capofitto, si affretta a recuperarle e rimetterle in pista. Uno spettacolo memorabile. Decisamente migliore della tipica dissolvenza in nero con penalità di qualche secondo, che nei videogiochi crea lo stacco attraverso cui l’auto giocante torna magicamente al centro della carreggiata. Ma va da se che siamo di fronte a un qualcosa di decisamente più difficile da simulare.
finlandia
Che succede se si schiaccia con la pressa un chilo d’oro
Straordinariamente lucido, il lingotto giace sopra al tavolo di lavorazione. Un oggetto di un certo peso, sia fisico che immateriale, e proprio per questo contrassegnato dalla scritta che certifica l’azienda fonditrice, ovvero la rinomata Baird & Co. di Londra. Pensate che se tutto l’oro presente nel mondo fosse radunato in un solo luogo, dandogli la forma di un cubo, tale forma geometrica presenterebbe uno spigolo di soli 20 metri! Questa è l’effettiva rarità del più nobile, duttile e chimicamente invariabile dei metalli. Con molte difficoltà, fin dalle origini del tempo, sarebbe stato possibile individuare una metrica della ricchezza di un governo, una società o persino un singolo individuo. Proprio per questo fa tanto maggiormente impressione questa scena di un folle, per naturale propensione o convenienza, che s’industria con enfasi nel tentativo di distruggere l’oggetto in questione.
“Non si può fare una frittata senza rompere qualche uovo” è un modo di dire apparentemente generico, che in realtà si riferisce ad un particolare aspetto del destino: che le cose belle, tanto spesso, scaturiscano da una necessità universale di sacrificio. Come avveniva per il cercatore nell’epoca del Far West, fida sei colpi al cinturone, che rinunciando a una famiglia, a un pasto caldo ed a tutte le altre pratiche comodità del vivere civile si avviava, gran setaccio sulla sella del fido destriero, fino ai recessi più remoti del Klondike. Sperando di trovare una pepita, LA pepita, che gli avrebbe finalmente permesso di sedersi al tavolo da poker della vita. Per giocarsi tutto, e…E… Adesso facciamo un rapido balzo in avanti. Non è forse vero che Internet, negli occhi dei moderni, è un po’ una sorta di frontiera? E che tutto sia lecito, se necessario, al fine di crearsi un nome, sufficientemente popolare, che consenta a innumerevoli persone di c-cliccare sulle utili pubblicità. Forse proprio per questo, uno degli argomenti più popolari su YouTube è la distruzione sistematica ed organizzata di un qualcosa affinché il grande pubblico, vagando senza meta alla ricerca d’intrattenimento, finisca per premiare proprio coloro che sembrano averne più bisogno. Ma così come il cacciatore di ricchezze nelle terre degli Indiani avrebbe avuto la necessità di stare attento alle sue spalle, nel timore che qualcuno venisse a rubargli il territorio, così tutti coloro che hanno una valida idea sul web, nel giro di poche settimane, devono temere l’immediata imitazione. Ed è così che è successo, a partire dal boom di popolarità di un singolo canale all’inizio del marzo scorso, che online si è palesata l’infinita moltitudine di specialisti del particolare meccanismo qui mostrato: la pressa idraulica, un attrezzo per esercitare enormi gradi di pressioni. Quintali e tonnellate, e tonnellate, concentrate in un singolo cerchio con pochi centimetri di diametro, al fine di trasformare un qualcosa di tridimensionale in una sfoglia piatta, finalizzata ad un impiego ben specifico e altrettanto spesso, difficile da immaginare. Molti sono i compiti metallurgici in cui un simile apparato può trovare applicazione: forgiatura, saldatura, stampaggio, modellazione dei metalli… Ed altrettanti, gli illogici bersagli su cui si sono accaniti gli esperti utilizzatori nel corso di questi lunghi mesi: palle da golf, cuscinetti a sfera, bambole, alimenti, televisori… In una sorta di gara reciproca per primeggiare, nella definizione di “chi” alla fine, fosse disposto a fare la frittata più orribilmente gustosa. Uno scettro che da oggi, in forza di un’assoluta considerazione oggettiva, è stato impugnato dal ragazzo inglese che conduce Crushit, un segmento a cadenza grossomodo quindicinale che si ispira in via diretta all’originale Hydraulic Press Channel della Finlandia, potendo qualche volta vantare un’ottima creatività e fantasia nella scelta di materiali. Ma 40.000 dollari in un solo blocco di metallo a 24 carati, davvero…
Lo scorpione finlandese, mostro metallico nella foresta
Nella storia di una compagnia che presto compirà due secoli, è inevitabile il figurare di prodotti strani e dimenticati, che nonostante le premesse avute in fase di progettazione, non riescono a raggiungere lo stato necessario per venire fabbricati in serie. Così nel capannone espositivo della John Deere a Moline, Illinois, virtuale sinonimo statunitense del concetto stesso di trattore, campeggia dal 2012 uno strano veicolo, caratterizzato da diversi aspetti inusuali. Primo fra tutti, il suo fare a meno di un concetto ritenuto fino ad oggi pressoché inscindibile dalla necessità di far spostare grossi carichi, o svolgere un qualsivoglia compito veicolare: le ruote. Intese sia come pneumatici, nella semplice interpretazione che risulta comune alle automobili di tutti i giorni, che come i componenti di quell’altro metodo locomotìvo d’elezione, il cingolo da carro armato. Roba vecchia, superata, ormai desueta (o così pensavano) nel 1994, epoca della creazione dei due prototipi di questa cosiddetta Walking Forest Machine, letterale precursore degli attuali robot-muli o robo-ghepardi che fuoriescono annualmente dai laboratori della Boston Dynamics, senza mai farsi mancare un ottimo successo mediatico nei paesi di mezzo mondo. Quindi, chi l’avrebbe mai detto? La strada che oggi sembra nuova e futuribile, era stata in realtà già percorsa oltre 20 anni fa. Con un intento, per una volta, estremamente immediato: agevolare l’industria della raccolta meccanizzata di legname.
Silenzioso ed immobile, l’animale artificiale scruta gli spettatori sotto l’alto tetto dello spazio espositivo. I suoi fari sembrano occhi sotto la rigida griglia del radiatore. Il lungo braccio, un tempo dotato della più sofisticata testa di raccolta tronchi concepita fino ad allora, appare ripiegato su se stesso, in posizione di riposo. I muscoli idraulici delle sei zampe, ipoteticamente capaci di spostare tonnellate, attendono del nuovo fluido ri-vitalizzante… L’impressionante oggetto, nonostante le 2.000 ore di utilizzo all’epoca per effettuare i test e stilare un piano ingegneristico completo, non è attualmente più in grado di mettersi in moto. O almeno questo lasciava intendere una press-release ufficiale, rilasciata al pubblico all’epoca del trasporto in loco e l’apertura dell’expo ed attualmente reperibile soltanto tramite l’Internet Wayback Machine. Mentre per quanto concerne il suo unico parente, dall’aspetto più futuribile e simile ad un ragno, sappiamo soltanto che oggi è custodito presso il Museo della Foresta di Lusto, in Finlandia. Questo perché entrambi i veicoli, in effetti, non furono il prodotto dell’ingegneria e creatività americane, bensì l’invenzione di una compagnia di quel paese, la Plustech Oy. Che era stata acquistata a suo tempo dalla Timberjack dell’Ohio, produttrice di macchinari agricoli, poco prima che il pacchetto completo, tutto incluso, fosse rilevato dal colosso John Deere. E fu soltanto allora che un simile strano sogno, di cui tutt’ora sappiamo ben poco oltre a ciò che ci è possibile trovare in vecchi video di YouTube, iniziò a prendere una forma materiale, nella speranza che l’approccio rivoluzionario permettesse di prendere possesso del mercato.
I vantaggi di una soluzione come questa, dopo tutto, sono notevoli: un taglialegna con propensione deambulatoria, benché molto lento, può muoversi in qualsiasi direzione senza girarsi o ruotare facilmente su se stesso. Grossi vantaggi, nello spazio angusto che si crea tra i tronchi di una foresta. Gli è inoltre possibile, senza alcun tipo di difficoltà, scavalcare qualsivoglia ostacolo mantenendo la cabina di guida in posizione livellata e stabile, per un massimo comfort di utilizzo. Ma il punto principale, potenzialmente ancora più importante, è il suo minore impatto ambientale: perché un mezzo dotato di cingoli, capace di spalmare il proprio peso su di un’ampia area e proprio per questo in grado di operare sulla terra soffice di tali luoghi, ha il problema derivato di compattare quest’ultima, premendo con forza sulle radici di un’ampia area. Il che, come potrete immaginare, non fa esattamente bene agli alberi, neppure quelli giovani destinati a salvarsi dall’abbattimento, almeno fino ad un momento successivo della loro condanna. Mettete a confronto, quindi, un tale approccio con quello di zampe che distribuiscono l’impatto solo in punti ben precisi e limitati: è chiaro che l’idea di reinventarsi come un MechWarrior della nostra epoca preliminare inizia a farsi allettante per qualsiasi coscienzioso boscaiolo…
UFO delle vacanze: la strana casa di un altro futuro
Fa freddo nel cortile del WeeGee Exhibition Centre, ad Espoo in Finlandia, fra il fruscìo della vegetazione rigogliosa piantata tutto attorno a una tipografia dismessa ormai da circa vent’anni. Ma lo sguardo, per lo meno, è riscaldato da un’inconciliabile visione: una bizzarra capsula di quattro metri di diametro, sospesa da terra, costellata di oblò equidistanti sopra la livrea di un vistoso color giallo zafferano. D’un tratto, con un sibilo meccanico, uno spicchio dell’oggetto si apre, rivelando una rampa ribaltabile del tutto simile a quella di un aereo. Un paio di piedi iniziano a discenderla, per diventare quindi gambe, vita e inevitabilmente, un volto. Gli occhi grandi, la folta barba… L’avete riconosciuto? Si tratta, senza alcuna ombra di dubbio, di…
Se guardiamo al domani adesso, tramite la lente della letteratura o del cinema di fantascienza, tendiamo a percepire una distesa desolata al cui confronto gli aridi deserti paiono dei prati alpini. Morte, povertà e devastazione. L’armonia del consorzio umano ormai un remoto ricordo, mentre le persone si combattono per le ultime risorse di un pianeta ormai stanco, battuto dai mutanti, dagli alieni e dagli spiriti affamati di rivalsa. Mentre tutto ciò che popola le nostre fantasie, in qualche maniera, lo riflette: le auto corazzate di Mad Max, le armi mostruosamente letali dei romanzi di William Gibson, i vampiri mangiatori di carne umana di Io Sono Leggenda… Mentre per quanto concerne l’architettura, è raro che i creativi si dilunghino eccessivamente nelle descrizioni. Il che è piuttosto logico, a pensarci: perché quale diamine potrebbe mai essere, l’aspetto di una casa concepita per ospitare una persona ragionevole all’interno di una tale distopia? Se non un cubo di cemento, privo di finestre tranne quelle per prendere la mira, tutto spigoli e filo spinato, dietro varchi successivi di porte blindate e trappole letali! Le abitazioni del domani in fiamme, per come lo vediamo tristemente oggi, non presentano sorprese di alcun tipo. Né la benché minima traccia di linee curve. Ma di contrasto, fino all’altro ieri non fu così. Quando la strada innanzi a noi pareva luminosa e corroborata dal bagliore dell’ottimismo mentre la plastica, materiale indistruttibile ed innovativo, trovava applicazione in ogni ambito che voi possiate concepire. Incluso quello, strano a dirsi, abitativo. Per lo meno in base alla visione operativa di Matti Suuronen, architetto finlandese celebre per l’uso che faceva di poliestere, resine termoindurenti, acrilico e fibra di vetro. Tutti materiali che trovarono l’applicazione nella sua visione di una casa ideale, o per usare l’effettivo marchio commerciale usato a partire dal 1968, l’adorabile Futuro house.
Immaginate, se potete, un’epoca di surplus finanziario, durante la quale ogni famiglia disponeva di risorse in eccedenza. Quando praticamene chiunque, persino i lavoratori con stipendio minimo dell’allora neonato Walmart, era PER LO MENO benestante. Ciò perché i soldi, quei pezzi di carta privi di una reale utilità nel mondo fisico, potevano giovarsi di un potere d’acquisto che cresceva in modo esponenziale. Tanto che ben presto, fluttuando sulle fantasie sui viaggi nello spazio, la robotica, l’idillio di una società pacifica che accelerava i suoi progressi, si iniziò ad immaginare un 2000 in cui nessuno avrebbe più avuto bisogno di lavorare, se non per scelta personale, e tutti avremmo avuto bisogno di un luogo in cui divertirci per far passare i lunghi mesi di una vita senza impegni. Ora, i modi chiaramente non mancavano. Ma il buon Suuronen, a quanto ci è possibile immaginare, amava soprattutto questo: sciare. Così il suo più celebre contributo generazionale, verso il volgere del decennio, fu l’idea per un nuovo tipo di baita per la montagna, non più concepita per essere faticosamente messa insieme sul posto, grazie al sudore sulla fronte delle maestranze locali, bensì costruita in fabbrica in qualche decina di pezzi, da far assemblare al personale tecnico in un paio di giorni, o in alternativa, addirittura, trasportata tutta intera con l’ausilio di un prestante elicottero. Il che doveva presentare una visione piuttosto bizzarra. Perché vedete, la Futuro house è costruita con la precisa forma di un disco volante. Si tratta di una mera coincidenza, intendiamoci. Di una forma concepita, nelle parole dello stesso creatore, per massimizzare l’isolamento termico e risultare, al tempo stesso, in grado di lasciar scivolare via la neve dal tetto, potendo in aggiunta contare sul solo appoggio di quattro palafitte, soluzione ideale in condizioni di suolo instabile o roccioso. Ma l’illusione non può che persistere immutata…



