Come raddoppiare la durata di una gomma senza camera d’aria

Nella progressiva perdita di un sistema di valori positivo, l’annullamento del concetto di recupero è un’importante passo avanti verso l’autodistruzione sistematica del nostro ambiente di provenienza. Una sola Terra, un solo mucchio di risorse, un formicaio intero che s’impegna nel ridurlo progressivamente al lumicino. E quindi polvere. Per finire con il nulla più totale. Cosa porterà a destinazione il nostro cibo quotidiano, nel futuro non-tanto-lontano, quando l’ultima riserva di petrolio sarà stata risucchiata dall’aspirapolvere che ha nome “società”? Siamo in molti, giustamente, a confidare nell’impiego di fonti rinnovabili, come l’energia solare, eolica o la fusione dell’idrogeno, se mai finalmente sarà costruito il Santo Graal dell’epoca industriale, sollevandoci dal pozzo dell’immobilità incipiente. Ma la realtà è che il prodotto millenario della decomposizione delle piante, lungi da essere soltanto la materia da cui viene tratto il carburante, è una risorsa niente meno che fondamentale nella produzione d’innumerevoli materiali. Tra cui la gomma. Quella usata nella produzione di pneumatici, altrettanto importanti nel campo della logistica moderna, come lo erano state le ruote di carro al tempo delle diligenze, sotto il sole incandescente del Far West. Il riciclo, in quest’ottica, diventa non soltanto un metodo per dare spazio all’attenzione per il prossimo e per la natura. Quanto un’approccio alla letterale sopravvivenza di se stessi o dei propri discendenti nell’immediato dopodomani, ancor prima che il mutamento climatico si occupi delle calotte artiche, rendendo ininfluente qualsivoglia considerazione in merito al comportamento degli umani. Persone che ci provano, con buoni presupposti di guadagno, come i tecnici “altamente specializzati” della Pete’s Tire Barns, azienda del Massachusetts che qualche anno fa ha diffuso online questo intrigante video, relativo alla riparazione di una gomma tutt’altro che normale. Possibile che possa essere proprio questa, la soluzione…
Di sicuro, essere ambientalmente coscienziosi assume il carattere di una vera e propria priorità, quando ciò permette di risparmiare cifre ingenti aumentando, conseguentemente, i propri presupposti di guadagno. Non importa quale sia il campo operativo di appartenenza. Incluso questo, in tale caso preso in considerazione, delle pale sollevatrici senza ruote sterzanti, quelle che in gergo tecnico vengono chiamate skidsteers. Perché letteralmente “slittano” facendo girare i propri pneumatici con il differenziale a ritmi differenti, o addirittura in sensi opposti arrivando a ruotare a 360° sul posto. Con la risultanza di un’agilità e manovrabilità sopraffine, nonché indispensabili quando si opera negli spazi estremamente determinati di un cantiere, situazione elettiva per l’impiego di un simile dispositivo semovente. Almeno, finché l’usura che deriva dall’attrito pressoché costante tra il suolo e il battistrada di una tale configurazione, non costringa l’operatore a fermarsi temporaneamente, in modo che il veicolo possa ricevere un nuovo treno di pneumatici, altrettanto costosi e non per questo del tutto risolutivi. A meno che… Il vicario di Pete in persona, qui impegnato in ciò che gli riesce meglio, viene mostrato nella breve sequenza riassunta per il popolo del web (il video completo dura 25 minuti) all’opera su una gomma Michelin della serie Tweel, facilmente riconoscibile per il suo design airless, ovvero del tutto privo di camera d’aria. Al posto della quale trovano posto una nutrita serie di lamelle in poliuretano flessibile, facenti funzione di un sistema di ammortizzazione precedentemente del tutto ignoto nel campo degli skidsteers. Il fatto che un tale pneumatico abbia normalmente un costo unitario di almeno 1.000 dollari è del tutto incidentale, pur costituendo la ragione per cui il proprietario ha scelto di farlo rigenerare, o ricostruire che dir si voglia, seguendo la direttiva presidenziale in atto negli Stati Uniti dall’anno 2000. Un ottimo pretesto, dal nostro punto di vista, per approfondire l’effettiva serie di gesti e soluzioni necessari a garantire l’ottimo funzionamento della procedura.

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Come si ripara uno pneumatico da 30.000 dollari

Quando si guida un mezzo da oltre 200 tonnellate più altrettante di carico, le gomme non sono più una semplice interfaccia che trasmette l’energia del motore al suolo. Ma un qualcosa di paragonabile alle fondamenta di un edificio, il sostegno strutturale di un qualcosa d’importante e duraturo. Esse rotolano, eppure, dovrebbero essere immutabili come il trascorrere del tempo. Immaginate quindi la sensazione provata dal pilota nel momento in cui la Fidia ruota si è incrinata, come il marmo del Partenone a seguito di un terremoto greco, e l’intero treno veicolare è parso scivolare verso il basso per un buon mezzo metro, mentre l’aria contenuta all’interno deflagrava con un sibilo possente, rischiando di annichilire chiunque fosse tanto sfortunato da trovarsi lì vicino nel momento dell’incidente: non è raro per simili copertoni, dopo tutto, il raggiungimento di una pressione interna di oltre 100 psi, esponenzialmente superiore a quella di una comune automobile. Ma chi mai avrebbe dovuto trovarsi, sul percorso di trasporto del materiale dal fondo di una miniera, la ruota nella ruota che ospita le ruote? Una metafora estremamente vivida della stessa condizione terrestre: l’acqua che precipita dal cielo, andando a formare i bacini da cui evapora depositando i sedimenti, per poi ritornare sopra grazie all’evaporazione. E il circolo delle materie prime, estratte, usate dall’uomo, quindi trasformate in spazzatura, che ritorna sotto terra in forma di mefitici veleni. Certo, non è propriamente la stessa cosa. E le quattro/sei sculture di gomma vulcanizzata del camion, che gira attorno al pozzo di scavo ed al suo interno, presso la cabina di comando, ospita la ruota dispari del suo volante, attentamente direzionata da colui che ben conosce il suo dovere. FERMARSI! Perché soltanto un altro metro, in queste condizioni, porterebbe al potenziale danneggiamento definitivo dell’oggetto in questione. La quale situazione, visto il suo prezzo unitario, non sarebbe d’interesse per nessuno… Tranne forse il venditore di pneumatici da cava. Il bloccarsi di un Haulpak, come venivano chiamati fino a poco tempo fa per antonomasia tutti questi camion (oggi l’azienda storica continua solamente come marchio in subordine alla giapponese Komatsu) è un’emergenza significativa nella filiera produttiva dell’industria d’estrazione, e non soltanto per l’inerente rallentamento della produzione. Ma sopratutto perché il gigante bloccato sul sentiero, o sia pure nel deposito, costituisce un ingombro notevole che ostacola anche il resto delle operazioni. L’intervento, dunque, dovrà essere immediato e risolutivo.
Tralasciamo per un attimo l’operazione di smontaggio e sostituzione della ruota per rimettere in movimento il gigante, che avremo modo di vedere poco più avanti, ed osserviamo attentamente in che consiste la vera e propria impresa di riparazione del nerastro e fessurato monumento: si tratta di un processo alquanto complicato. Nel video soprastante, in particolare, viene mostrato il processo proposto dall’azienda tedesca REMA TIP TOP, venditrice di una vasta selezione di materiali ed attrezzi concepiti in via specifica per affrontare proprio questa situazione. La scena si svolge all’interno di un’officina, che stando alla maglietta dell’operatore sembrerebbe chiamarsi H&H Industries e dove, a quanto pare, il raggiungimento di un tempestivo risultato viene in qualche modo anteposto al rispetto pedissequo di determinate regole di sicurezza. Nessun respiratore, guanti usati solamente in certe fasi dell’operazione, maniche corte con le braccia ricoperte di schegge di gomma sminuzzata. E figuriamoci i polmoni! Ma resta indubbio che la sicurezza di quest’uomo all’opera, in qualche maniera, controbilanci persino simili trascuratezze, creando un contesto in cui esse vengono smorzate dalla cautela che nasce dall’esperienza. Pensate solamente alle conoscenze pregresse necessarie per la prima fase definita dello skive, in cui costui deve letteralmente scavare con una fresa la parte esterna dello pneumatico, per raggiungere il suo nocciolo nel punto in cui si è formato spontaneamente il foro. Proprio così, formato: qui non stiamo parlando certamente di un chiodo, che tra l’altro, per raggiungere l’altro lato della gomma avrebbe dovuto essere più che altro una spada, bensì del cedimento di un’ammasso di gomma sottoposto a terribili pressioni ogni singolo giorno della sua vita funzionale, finché alla fine, del tutto esasperato, ha detto: “Basta, mi ritiro!” Ma gli oggetti non hanno ALCUN potere decisionale…

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Cosa c’entra il sughero con le palle da tennis?

Tennis Balls

Si è recentemente giunti alla conclusione, osservando attentamente il mondo per come in effetti appare, che nonostante le apparenze non viviamo all’interno di un’epoca dell’abbondanza. Il cibo è insufficiente, l’energia costosa, l’acqua limitata e i materiali frutto dell’industria sempre più rari e preziosi. Ma è la storia ad insegnarci come, proprio nei momenti di maggiore crisi, l’opulenza mostrata in determinati contesti tenda ad aumentare a dismisura, generando dei contrasti delle situazioni che potrebbero stupire i più. Come quella dei patrizi che organizzarono sontuosi banchetti fino a pochi giorni prima del sacco di Roma, o ancora l’orchestra del Titanic che ritenne giusto non fermare il suono della festa, fino allo spalancarsi delle fauci del Profondo che ogni cosa avrebbero condotto all’entropia. Così mentre il mondo è a rotoli, qualcos’altro nel frattempo rotola, con enfasi esiziale e un assoluto senso di disinteresse per le scarsità del nostro tempo: quante palle servono per un torneo di tennis? Ad oggi, a quanto pare, 98.000. Ebbene si, non sto affatto esagerando. Questa è la precisa cifra dichiarata ufficialmente dalla ESPN, il principale network televisivo americano dedicato al mondo dello sport, a margine del qui presente video, realizzato con il patrocinio della Wilson Sporting Goods, l’azienda multinazionale, presso il loro stabilimento di produzione sui confini di Bangkok. L’occasione: il prestigioso US Open, quarta delle sfide che fanno parte del Grande Slam. Una visita davvero…Affascinante. Coronata dalla visione nebulosa di un ipotetica città, come El Dorado, le cui strade sono lastricate di palle da tennis, le pareti degli edifici costruite in mattoni gialli ricoperti di feltro e addirittura le persone, ogni qualvolta devono fare rappresentanza, indossano abiti in gomma vulcanizzata. Una terra ancor più tematicamente uniformata del Regno Mariesco dei Funghi…
E invece, guarda, è tutto vero. Giacché simili ordini per quantità spropositate, nell’odierno mondo dell’industria, non sono viste in alcun modo come inappropriate. Fornendo, piuttosto, l’energia e l’argentovivo ad un intero meccanismo, formato da macchine, apparecchiature, persone. Ovverosia gli anelli, rigorosamente consequenziali, di quell’unica filiera che viene chiamata la catena di montaggio. Per cui non importa, se l’ordine in uscita sia di 10 o 10.000 palle; perché ogni giorno, doverosamente, se ne produce sempre il MASSIMO, e l’intera collezione viene poi inviata ai richiedenti. Chiunque siano, dovunque essi si trovano. Non è meraviglioso, tutto ciò? Ed anche molto bello a vedersi. Tutto inizia, nel video prodotto dal filmmaker Benedict Redgrove, con la gomma che arriva in fabbrica divisa in balle, del peso variabile tra 30 e 115 Kg. Tale sostanza, quindi, impastata come il pane e poi appiattita manualmente, viene inserita all’interno di un duplice rullo, al fine di renderla perfettamente piatta ed uniforme. Il prodotto viene quindi estruso per creare un certo numero di ammassi dalla forma pressoché trapezoidale, ciascuno dei quali destinato a diventare un’emi-cupola, costituente la metà esatta del nucleo interno del prodotto finito. Forma che ciascun oggetto riceverà grazie ad uno stampo a caldo, non poi così dissimile dalla teglia giapponese per fare il Takoyaki, bocconcino sferoidale con ripieno di polpo. La cottura in questa prima fase dura 90 secondi e raggiunge i 320 gradi. Se non che a questo punto, inevitabilmente, la gomma in eccesso avrà formato una sottile lamina tra una mezza sferetta e l’altra, definita in gergo il flash. Per rimuoverla senza possibilità d’errore, dunque, verrà usata una pressa idraulica dotata di attrezzi da taglio, in un processo parzialmente manuale che proseguirà con la deposizione di ciascun mezzo prodotto su dei rulli ricoperti di colla, concepiti in modo da ricoprire i bordi appositamente resi ruvidi con la giusta quantità di adesivo. È importante notare, a questo punto, come la mano degli esseri umani sia e rimanga una primaria forza operativa nella fabbrica della Wilson, che pur potendo almeno in teoria perseguire un maggior grado di automazione, preferisce non farlo. Le ragioni sono molteplici, e doverosamente inclusive della creazione di un certo numero di posti di lavoro, validissima missione in terra d’India. Ma c’è anche da dire che, allo stato dei fatti attuali, sia in effetti meno costosa la manodopera locale che la costruzione di avanzati, e ancor più complessi, apparati utili soltanto a fare palle da tennis in enorme quantità!

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