L’intera spedizione fatta passare per la cruna di un ago

Breve flashback verso il cinema degli anni ’90: Arnie androide che scompare nell’acciaio fuso, con appena il tempo d’inforcare un’ultima volta il suo fido paio d’occhiali da sole. Il braccio sollevato verso il cielo, ultima testimonianza della sua presenza, mentre nella fabbrica riecheggia il suo saluto programmatico e per certi versi preoccupante, vista la genesi di tale situazione: “I’ll be back – Tornerò.” Eoni incalcolabili, intere epoche, secoli o persino una generazione o due, sono passati da quel giorno impresso eternamente nella cellulosa. Intere civiltà cadute nella polvere, mentre dalla forgia della storia ne sono comparse di nuove. Della vecchia acciaieria non v’è più traccia, rimpiazzata da un solido zoccolo di roccia calcarea che si estende fino all’orizzonte texano. Totalmente Compatto tranne l’eccezione di un singolo buco, da cui adesso, faticosamente, sbuca un braccio, almeno all’apparenza umano! Subito seguito da una spalla, sopra cui campeggia una maglietta giallo paglierino. E stretto in quella mano, non v’è dubbio alcuno: il paio di Ray-Ban o simili, perfettamente lucidi, perfettamente riflettenti, che al termine di Terminator 2 facevano la fine incandescente del loro stesso proprietario! Si sente allora fuori dall’inquadratura “Grazie, Tom. Sapevo di poter contare su di te.”
Pipistrelli, cavallette, ragni delle tenebre senza riposo. Il campo della telecamera si allarga, ed è allora che s’inizia d’improvviso a intendere e la verità: poiché quell’uomo non è solo, bensì circondato da un gruppo d’amici che almeno stando alla didascalia, sembrerebbero aver deciso di coniare il termine cave cred. Ovvero quella cognizione, estremamente specifica e davvero personale, per cui la speleologia è un fine che spesso s’identifica col viaggio. E che ben prima dell’arrivo, trova la motivazione della sua stessa esistenza. Come potremmo mai spiegare, altrimenti, una scena come questa? L’intero gruppo di sette amici tra cui Bennett Lee autore del canale, sanzionati ufficialmente col permesso della TCMA (Texas Cave Management Association) per visitare autonomamente il territorio della riserva Deep & Punkin, verso le tenebre dei più profondi abissi sottostanti. E che hanno scelto di passare oltre quel valico, non dal punto d’ingresso principale, una voragine larga tre metri che si trova a qualche metro di distanza dal teatro del qui presente video. Bensì nel più piccolo, angusto, scomodo buco tenebroso spalancato verso il solleone nordamericano, dal diametro di circa 80-90 centimetri. Appena sufficiente a far passare un cranio, due spalle e qualche volta un paio di sporgenti natiche umane. Ed è palese che dinnanzi ad una simile sfida (cosa non si farebbe per il cred – un’ottima reputazione) ognuno tenda ad adottare il suo stile: chi s’insinua lentamente, un singolo arto alla volta. E chi invece scende a pié veloce, o addirittura a capofitto, nell’assoluta e potenzialmente immotivata certezza che dall’altro lato, ci sia qualcuno pronto a prenderlo al volo. Ma è il senso dell’ignoto e l’incertezza di cosa possa trovarsi oltre, in ultima analisi, a mettere in moto il nostro sentimento innato di claustrofobia…

Leggi tutto

La gazza di Formosa, uccello azzurro che ammazza il drago

Vi siete mai davvero interrogati su quale possa essere l’effettivo numero (non biblico) della Bestia? Creatura sanguinaria sputafuoco, il cui aspetto rettiliano relativamente dato per scontato tanto spesso non coincide col suo principale tratto distintivo: la quantità di zampe a disposizione. Quattro più le ali (nel qual caso siamo innanzi al “drago” dei bestiari medievali) piuttosto che due, nella versione più naturalistica e razionale, creata su interpretazione analoga a quella di uno pterodattilo della preistoria. Ma esiste pure il caso di un’asiatica versione, spesso molto saggia e non del tutto priva di benevolenza, la cui propensione ad abitare solamente in cielo porta ad essere del tutto priva di appendici deambulatorie, fatta l’eccezione per due grandi artigli. Il drago cinese o giapponese (stesso carattere 龍, due pronunce: Lóng, Ryu) cui massima espressione del mondo umano, tanto spesso, appaiono essere creature oblunghe che si aggirano nei boschi: scagliosi, linguacciuti e veleniferi serpenti. Oppure perché no, la lor versione artropode del centopiedi vietnamita (Scolopendra subspinipes) non più corto e assai diffuso nell’intero Estremo Oriente. Dopo tutto, nessuna zampa è come averne 666, nevvero?
Bestie che, a differenza dei lor simili sopra le nubi, ben conoscono il segreto della sopravvivenza: nascondersi e tentare di passare inosservate; sotto i rami, sotto siepi e all’ombra delle rocce millenarie. Dallo sguardo di coloro che, sopra ogni altro, riescono a costituire i loro massimi nemici. Becco al posto della spada ed ali aperte come scudi, zampe acuminate rosse come il sangue che non temono di far sgorgare: uccelli d’argento vestuti, Eroi del popolo e della superstizione. Non c’è davvero alcunché di strano, dunque, se ogni popolo sia pronto a riconoscere l’aspetto di un guerriero. Vestendosi e imitando i suoi colori, specie se riconoscibili, sopra ogni altro, per la vivida presenza nello spettro del possibile apparente. Come il corvo tutto nero all’Inghilterra puritana, o il fagiano variopinto al condottiero dell’Italia rinascimentale, così è la gazza, per chi abita sull’isola che aveva un tempo il nome di Formosa ed oggi tutti chiamano, per ricerca di un’analogia fonetica, la nazione indipendente di Taiwan. E sia chiaro che non sto chiamando alla memoria, con quest’ultima particolare affermazione, l’etnia cinese giunta fino a queste coste al termine dell’ultima guerra civile, seguendo il gotha del partito in armi qui esiliato esattamente 70 anni fa. Bensì del popolo aborigeno, il cui nome è Tsou, i cui membri s’insediarono assai prima: tra il XV ed il XVI secolo in prossimità del lago isolano di Riye. I cui costumi tradizionali, tanto stranamente simili a quelli degli “indiani” d’America, erano soliti includere copricapi con le piume prelevate, per l’appunto, dalla lunga coda del loro salvatore divino: la “signora della montagna” (臺灣藍鵲) anche nota come Urocissa caerulea, simile nell’aspetto all’uccello usato nell’opera di Rossini, più o meno quanto può esserlo un supereroe, alla sobria e ragionevole uniforme della polizia contemporanea. Il cui disegno bianco e nero sotto le ali, assieme alle zampe rosse vermiglie che si diceva fossero la conseguenza del fuoco rubato dai cieli, per salvare gli umani da un grande diluvio, crea un contrasto con le piume di un azzurro sfumato che risulta in grado di sfidare l’immaginazione…

Leggi tutto

Visioni dal Pacifico: l’ascensore di corallo che si srotola nel nulla

Il sogno e il desiderio irrealizzabile del volo è un sentimento che, tra gli esseri viventi della superficie, appartiene unicamente agli umani, poiché nessun essere animale può affermare di aver sperimentato tale ebbrezza grazie all’uso di strumenti artificiali, per poi ritornare, come niente fosse, ad essere condizionati dalle solide catene della gravità. Basta tuttavia spostare tale analisi al di sotto della superficie salmastra dell’Oceano, per scoprire un universo di creature che attraverso le diverse fasi della crescita, nascono attaccate a quei fondali, poi si spostano nella corrente, come foglie di un autunno senza fine. Ed una volta che raggiungono l’età della ragione, tendono a dimenticare quell’ebbrezza, trasformandosi nel singolo mattone di un’inamovibile edificio. Polipi, non polpi, ovvero piccoli Cnidaria, che invece di accontentarsi dell’esistenza lieve ed incorporea di traslucide meduse fino all’ora della propria fine, hanno scelto di costruire un palazzo, con solide pareti in carbonato di calcio finalizzate a difenderli dai predatori. Certo, non c’è tartaruga di mare che possa facilmente risucchiare tali assembramenti, specie quando abbarbicati tra le rocce di un basso fondale. Ma che dire di quelli che vivono, piuttosto, nelle più oscure e sabbiosa profondità del Pacifico, ove la roccia più vicina è situata a centinaia, se non migliaia di chilometri di distanza? Forse anche loro, dovrebbero dimenticare il richiamo distante della dimensione cosmica verticale?
La scena registrata questa volta presso il Monumento Marino delle Isole del Pacifico Centrale (in acronimo, PRIMM) situato a nord-ovest dell’arcipelago delle Hawaii, è di quelle certamente degne di entrare a far parte della ricca selezione offerta dal canale Internet dell’E/V Nautilus, nave oceanografica statunitense di proprietà del Dr. Robert Ballard, famoso per aver trovato i relitti del Titanic e della corazzata tedesca della seconda guerra mondiale Bismarck. Poco prima di trovarsi a finanziare, assieme all’ente americano NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) la prima di una nuova tipologia di spedizioni scientifiche, caratterizzate da una componente divulgativa decisamente al passo coi tempi e lo stile comunicativo tipico delle ultime generazioni. Il che significava, sostanzialmente, pubblicare online tutte le reazioni non filtrate dei più giovani partecipanti all’impresa, catturate proprio mentre osservano sugli schermi in remoto le ultime favolose scoperte del ROV Hercules, sottomarino telecomandato capace di raggiungere i 4.000 metri di profondità. Qui impegnato, nello specifico, alla significativa frazione di 1.660, giusto quando all’orizzonte pare profilarsi una struttura ragionevolmente aliena: come un lungo stelo candido, attorcigliato una, due, sei volte, con in cima l’equivalente biologico di un rastrello o testa di piumino. “Che magnifico condominio in mezzo al nulla” Esclama con il consueto tono allegro una delle voci fuoricampo, membro a pieno titolo del team di ricercatori a bordo. Mentre sarà soltanto la didascalia a spiegarci ciò stiamo effettivamente vedendo, un tipo di creatura raramente osservata in (situazioni tanto estreme della…) Natura!

Leggi tutto

Formiche nate schiave nelle tenebre di un sottosuolo ignoto

Considerando il senso della più efferata e pervasiva malvagità, apparirà fondamentalmente chiaro come tale intento non possieda simboli, ideologie o bandiere. Essendo il risultato totalmente naturale, forse l’unico possibile, di un semplice senso del bisogno percepito, il desiderio di risolvere i propri problemi, anche se a discapito della sopravvivenza, serenità o prosperità d’altri. Da un simile punto di vista sarebbe assai difficile riuscire a mantenere l’opinione vaga secondo cui gli animali sarebbero “migliori delle persone” a meno che, biologicamente e tassonomicamente parlando, le creature oggetto di tale stereotipo debbano essere soltanto cani, gatti domestici, pacifici bovini o spensierate capre della fattoria. Poiché certo, il leone mangia la gazzella mentre è ancora viva, ma agisce “In modo totalmente privo di malizia”. La vespe sanguinaria depone le sue uova dentro il bruco, destinato ad essere sbranato lentamente dalle larve risultanti, solo perché “Non conosce alternativa”. E 270 diverse specie di imenotteri sociali dei generi Formica e Polyergus sottraggono centinaia o migliaia di pupe dei propri vicini con una sorta di sanguinaria spietatezza istituzionalizzata dall’evoluzione, soltanto per trasformarle nelle schiave della propria occulta società. In forza di… Un istinto senza provenienza? La scelta imposta dalle circostanze? Oppure il bisogno di… Non essere cattive, soltanto disegnate in questa orrida maniera?
Ci sarebbe molto da dire, su questo particolare atteggiamento e il modo in cui ricordi, anche troppo da vicino, la pratica umana portata avanti e concessa dai governi di particolari zone geografiche fino ad epoche scomodamente recenti. Ed invero praticata nei tragici fatti, ancora oggi, sebbene forse in modo meno schietto ed evidente. Oppur sulla maniera in cui i figli non ancora autosufficienti di un diverso formicaio vengono afferrati con la forza, da formiche con mandibole perfezionate a tale scopo, e trasportate fino al buco nero di un diverso luogo dell’artropode esistenza. Dove, al raggiungimento dell’età lavorativa, si metteranno semplicemente a fare ciò per cui erano venute al mondo, però per il benessere dei loro stessi catturatori: servire, riverire, trasportare il cibo ed imboccare, addirittura, chi ebbe l’ardimento di modificare il senso stesso della loro semplice vita. Il che pone inerentemente il fondamentale interrogativo di come, esattamente, tutto questo sia possibile, specie quando si considera le complicate contromisure previste dai diversi formicai, per riconoscere gli appartenenti a una specifica nazione, mediante odori feromonici o altri segni chimici perfettamente calibrati. Ed ecco, dunque, perché l’età dei servitori sottratti ai loro padri e madri debba essere per forza tanto giovane. Affinché gli agenti di un simile misfatto possano praticare l’imprinting in tempo utile, mediante l’impiego di un cocktail d’ingredienti il più possibile simile a quello della specie trascinata, volta per volta, sotto la propria inviolabile autorità. Ed è proprio per questo che ciascuna specie schiavista, in genere, deve specializzarsi nel rapimento e la “programmazione alternativa” di una specifica genìa, il più possibile simile geneticamente e chimicamente alla propria stessa implicita natura, secondo la cosiddetta regola di Carlo Emery, dal nome dell’entomologo italiano che per primo ebbe ad elaborarla nell’ormai distante 1909. Perfettamente rappresentata nel caso delle Polyergus mexicanus rossastre mostrate nel video di apertura, riprese presso il sito californiano della Sagehen Creek Field Station da ricercatori dell’Università di Berkeley, e delle loro vittime appartenenti alla specie cosmopolita delle simili, ma ben più scure Formica fusca. Nella scena tipica di un incontro che infinite volte dev’essersi ripetuto, nell’intero vasto e variegato territorio nordamericano…

Leggi tutto