Megaspirapolvere d’Olanda: ai festival come in autunno, tra gli alberi le foglie

“Ma si, dopo tutto giunti a questo punto… Che differenza può fare?” Il milionesimo partecipante al primo grande festival musicale in calendario d’Olanda, per lo meno in ordine di tempo, si guarda intorno con gli occhi socchiusi e l’aria circospetta. Alle letterali migliaia di espressioni assorte catturate dal concerto, al servizio d’ordine distante e come al solito distratto. Quindi preso l’ultimo sorso dalla sua lattina di birra preferita, allunga il braccio con gesto magniloquente. E aprendo le dita, la lascia cadere a terra. Di certo, in un mondo ideale o quasi, un tale oggetto avrebbe rotolato senza un suono in mezzo all’erba sgombra, per essere immediatamente calpestato ed appiattito dall’ondeggiante danza dei presenti. Ma poiché siamo al Paaspop, dove l’educazione ambientalista di un popolo molto civile viene temporaneamente accantonata, l’oggetto d’alluminio cade in mezzo a molti altri, entrando a far parte di un sostrato ininterrotto e stranamente soffice al calpestio.
Molte ore dopo al tacere degli altoparlanti, il palcoscenico e gli spalti ormai del tutto silenti, l’addetto alle pulizie contempla la portata del disastro: un ammasso policromo d’oggetti, recipienti, piccoli contenitori. E fazzoletti, buste di plastica, frammenti d’indumenti e addirittura qualche tenda, addirittura. È un preservativo, quello? Poco importa. Con un cenno a lato che ricorda dolorosamente quello di coloro che hanno dato il proprio contributo individuale all’Apocalisse, fa capire al suo collega che è giunto il momento di farsi avanti. Un rombo di motore suona in mezzo all’aria tersa del mattino, spaventando stormi di gabbiani intenti a setacciare la discarica in cerca di cibo. Si tratta dell’iconico grido di guerra del semovente porta-attrezzi a tre ruote FM-3 della Widontec. Con mano ferma sul volante, Herman Eskes fa il suo ingresso nell’arena, procedendo a un ritmo lento ma sostenuto. Il veicolo in questione, dapprima procedendo in linea retta, disegna un arco lungo il manto ininterrotto della spazzatura. E dove esso è transitato, in modo sorprendente, torna a intravedersi il verde di quel prato ormai del tutto dimenticato. Potremmo chiamarlo, se concesso, l’imprescindibile potenza del risucchio. Un’applicazione fisica di quel concetto secondo cui qualsiasi cosa venga immessa in un sistema chiuso tramite un potente getto d’aria, debba sempre necessariamente giungere all’interno del recipiente finale. Ovvero in questo caso, quello posto sopra il retro del curioso autocarro dal peso a vuoto di 7 tonnellate. Conveniente, nevvero? Siate attenti, tuttavia, a non cadere nella trappola di scambiare il marchingegno soprannominato commercialmente con l’appellativo “Hermanes” come l’ennesimo esempio di scopa meccanica da marciapiede, il cui principio di funzionamento tradizionale risulterebbe d’altra parte largamente inefficace alle prese con l’impressionante quantità e varietà di spazzatura che la gente ha accatastato in seguito alla festa del Paaspop. Qui siamo alle prese con una vera e propria versione sovradimensionata, ed attentamente perfezionata, del più utile e diffuso strumento elettrico per la pulizia di casa. Potenzialmente l’aspirapolvere (su ruote) più potente al mondo…

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Ammirando il preciso veicolo che rovescia fiumi di fuoco in prossimità della fornace

Il giro dei turni si concluse. Ma per quanto un simile scenario fosse atteso, persino inevitabile, nessuno avrebbe mai potuto preparare Harley all’esperienza sul finire della pausa pranzo, di offrire il caffè ai colleghi di lavoro nel bar in piazza poco distante dall’ufficio dove aveva cominciato a lavorare la settimana scorsa. Non per il semplice gesto di pagare il conto, chiaramente, bensì la fondamentale tradizione secondo cui doveva essere il prescelto, di volta in volta, a trasportare il vassoio con cinque tazzine piene fino al tavolo fuori la porta, dove gli altri lo avrebbero ricompensato con una grandine di sentiti e sinceri ringraziamenti. Harry mise quindi la cravatta dentro, poco dopo aver abbottonato ogni singolo bottone della giacca. E con un gran respiro, sollevato il carico fumante, iniziò a spostarsi con un moto lineare ed uniforme. Ora un piede innanzi all’altro, mentre il fluido scuro ondeggiava pericolosamente in prossimità del bordo dei recipienti. Egli si prefigurava molto bene, persino troppo chiaramente, cosa sarebbe potuto accadere in caso di un suo errore in tale contingenza: ogni presupposto di cameratismo rovinato, una carriera stroncata sul nascere, l’annientamento umano e professionale della sua figura ancor prima di aver imparato tutti i loro cognomi. Così quando uno degli avventori in fila alla cassa si spostò improvvisamente di lato, urtandolo distrattamente, spostò agilmente il peso sulla gamba destra, nel disperato tentativo di salvare la giornata. Se si versa… Ci saranno conseguenze. Se si versa, è la fine.
Trasferendo quindi tale contingenza, come può talvolta capitare, all’ambito del tutto quotidiano di un sito di fabbricazione metallurgica dell’industria contemporanea, la faticosa esperienza di Harry può essere individuata in quella del pilota designato del cosiddetto Slag Pot Carrier, un tipo di veicolo dal peso approssimativo di appena 90-140 tonnellate. Almeno finché, nel fondamentale esercizio delle sue funzioni, non si trovi a sollevare l’imponente recipiente refrattario entro cui si trova un tipo particolarmente indigesto di caffè. Per non dire addirittura incandescente. Apocalittico eppure appetitoso, a suo modo. L’efficace risultanza del processo di raffinazione dei metalli più o meno ferrosi, in gergo definito, per l’appunto, slag. In altri termini una cosa inutile, se vogliamo attribuirgli un aggettivo, che può d’altra parte ancora assolvere ad almeno un paio di funzioni. Che includono, procedendo a ritroso nella progressione logica degli eventi, il riciclo come materiale economico per edifici e manto stradale, a seguire dell’esecuzione di un possente, catastrofico spettacolo generalmente molto amato da coloro che lo osservano a distanza di sicurezza.
Potremmo definirlo pirotecnico, in un certo senso. Se non fosse l’assoluto opposto della tecnica, consistendo essenzialmente nella semplice sversatura meccanica della pentola argillosa all’interno di un irto fossato. Che poi diventi gradualmente un pendio, percorso dalle venature laviche di un così diverso tipo di vulcano. Ed infine, il crepaccio delle umane circostanze, tanto estreme quanto inevitabili fino all’ottenimento dell’infuocata corrente…

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Tre palle d’acciaio: lo strano secolo dei carri armati rotanti

La porzione avanzata del reggimento sovietico di Cavalleria Mongola Meccanizzata si dipanò dinanzi agli occhi di Tetsuo all’interno della valle del fiume Tumen, nella calda estate del 1945. Dozzine di carri armati, pezzi d’artiglieria, cannoni semoventi, accompagnati da una fila interminabile di uomini armati con fucili, mitragliatrici ed armi anticarro. Scrutando innanzi dall’angusta fessura del suo veicolo di fabbricazione tedesca, egli comprese come i suoi connazionali a Port Arthur avessero soltanto un’ultima possibilità di evacuare con successo il Kwangtung, sotto il comando del generale Otozo Yamada: un bombardamento strategico dei treni di rifornimento, possibilmente in grado di coinvolgere anche il munizionamento nemico. Una mansione possibile soltanto mediante l’identificazione precisa del punto da colpire, mediante l’accensione di un enorme faro notturno, l’ultimo fuoco d’artificio da lanciare prima dell’abbandono definitivo della speranza. A quel punto Tetsuo, stingendosi la fascia con il Sol Levante, osservo per un’ultima volta la foto della sua cara Asahi sopra il pesante contenitore d’esplosivo, verso l’alba splendente oltre l’oscurità di un mondo che non il significato del termine “speranza”. Egli sapeva fin troppo bene come l’armatura sottile del Kugelpanzer non avrebbe potuto resistere al fuoco sostenuto di un fronte di battaglia. Ma se tutto fosse andato secondo i piani, non ci sarebbe stato neanche la necessità di farlo; poiché un simile strumento di battaglia, rispetto a quelli nemici, aveva un vantaggio molto significativo: il rotolamento. E una capacità di movimento che mai nessuno, prima di allora, si era trovato ad affrontare. Nessun grido, né ultime declamazioni roboanti…Non ancora; “Lunga vita all’Imperatore, vendetta per lo spirito dei samurai.” Pronunciò tra se e se il soldato, preoccupato di attirare attenzioni indesiderate. Quindi con un colpo volitivo all’acceleratore, mano ferma sul manubrio, spinse innanzi quella sfera fino al punto di non ritorno. I cinque chilometri orari possibili lungo la strada orizzontale furono ben presto superati. Quindi i 10 e i 15, mentre la sella sopra cui era posizionato s’inclinava minacciosamente da una parte all’altra, lungo la scarpata in bilico sugli orizzonti di gloria. Il suono roboante del rotolamento continuava ad aumentare, quando grida riecheggiarono distanti e quale primo sparo, incerto, all’indirizzo dell’oggetto totalmente privo di precedenti. Foglie ed erba crearono un turbinìo vorticante. Gli occhi incollati alla stretta fessura di guida, Tetsuo fece il possibile per controllare la valanga, schivando prima uno, quindi due e tre forme corazzate, probabilmente appartenenti ad altrettanti T-34 o simili dispositivi corazzati. Adesso, è il momento, Tenno Heika Banzai! nell’attimo finale, non ci fu tempo di pensare ad altro che la posizione del pulsante d’innesco, e che il sommo spirito di tutti i Kami guidasse le bombe all’indirizzo del fondamentale bersaglio, temporaneamente illuminato dalle fiamme. Giunti a quel punto, non è possibile trovare un posto garantito tra le pagine della storia. Ma questo fatto, ormai da tempo, era riuscito ad accettarlo. Poiché c’era un’altra sfera, pronta a compiere l’estremo sacrificio se la sua missione non avesse raggiunto l’obiettivo desiderato. Dopo tutto, ogni palla deve avere il suo compagno.
Di sicuro, potrà sembrarvi ragionevolmente improbabile. Ecco perciò qualche altro possibile utilizzo per uno degli oggetti più bizzarri che i lunghi anni di guerra fossero riusciti a produrre: una postazione semovente di difesa (ma troppo vulnerabile) un veicolo di perlustrazione (ma troppo lento) un mezzo di avvistamento per l’artiglieria dotato di radio a bordo (ma troppo rumoroso). E così via, a seguire. Il semplice fatto che il carro armato tedesco sferoidale, il ragionevolmente iconico Kugelpanzer, sia fuoriuscito in un momento indefinito dalle fabbriche della Krupp sarebbe stato già abbastanza sorprendente. Se non fosse per il fatto che qualcuno, per ragioni poco chiare, aveva dato istruzioni di caricarlo sopra un treno e trasportarlo fino in Estremo Oriente, dove i sovietici lo ritrovarono durante le fasi culmine della campagna d’Oriente, all’interno di un deposito giapponese. Possibile che tutto ciò costituisse unicamente un errore? Chi aveva mai pensato che una cosa simile potesse servire a qualcosa, e perché?

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Il vantaggio meccanico della moto giapponese all’interno dell’ovale di stato

Numero 5, l’uomo dalla tuta gialla con il casco bianco si presenta sulla pista accompagnato da un latente senso di perplessità da parte di chi ancora non era preparato ad aspettarlo. Per la forma strana del suo corpo, chiaramente deputata dalla spessa armatura simile a quella del football americano, che ne alza le spalle assieme alla protezione per il collo da motociclista, che lo ingobbisce. In mezzo a quelle moto carenate di tipo competitivo, e almeno un paio di supermotard di concezione francese, il suo veicolo a due ruote non è d’altra parte da meno: gli pneumatici sottili, l’assenza di sospensioni sul retro, il manubrio vistosamente storto, con un’estremità più alta dell’altra. Di sicuro, nessuno l’avrebbe dato come favorito. Ed in effetti al suono del via, in una corsa della durata di 4100 metri, non ci mette molto a rimanere ultimo, se non che le circostanze appaiono ben presto connotate da uno strano tipo di circuito. In cui ciascun concorrente resta pressoché costantemente inclinato ad un minimo di 45 gradi, curvando, curvando e curvando ancora. Così che, una curva antioraria alla volta, il samurai Quasimodo comincia irrimediabilmente a rimontare…
Non giudicheresti un pesce dalla sua capacità di scalare una montagna, a meno che si tratti del leggendario pesce alato che soggiorna tra le nubi che circondano il vulcano di Sumeru, asse cosmico dell’universo buddhista. Ed allo stesso modo, non daresti un voto a un’aquila di mare in base al tempo registrato in 10 giri su una pista ovale di 500 metri, della larghezza di 30 e circondata dallo sguardo attento delle telecamere, affinché nulla d’intrigante possa essere portato in tavola dai concorrenti di un’imprescindibile tenzone animale. Quella in grado di decidere, al concludersi del giorno, non soltanto chi sia il più abile ma anche i riceventi di una somma non indifferente di denaro, tra coloro che hanno scelto di scommettere seguendo una stimata tradizione locale. Poiché molte cose possono essere negate in merito al secondo arcipelago più vasto d’Asia, ma non che i suoi abitanti amino cimentarsi nella previsione del numero di palline di metallo uscite da una macchina (nel gioco nazionale del pachinko) piuttosto che i vincitori di un evento sportivo, particolarmente quando è in gioco il tradizionale montepremi con sistema parimutuel, dante ai migliori l’intero ammontare del corposo banco, meno i contributi e le commissioni. Al punto che a partire dal secondo dopoguerra, stanco di veder trarre un considerevole guadagno in quel mondo unicamente le organizzazioni non-legali della yakuza, al governo di Tokyo venne in mente di creare e regolamentare un calendario assai preciso e controllato di tali contingenze, creando il concetto quello che avrebbe presto preso il nome di kōei kyōgi (公営競技 – Concorso pubblico) attraverso l’applicazione di accorgimenti, modalità e controlli estremamente stringenti. Fino al punto, al giorno d’oggi, di poterne elencare ben quattro tipologie: cavalli, biciclette, motoscafi ed auto racing (オートレース) dove alquanto stranamente, l’auto in questione non è intesa possedere quattro ruote, bensì due di meno. Un tipico caso di storpiatura anglofona da parte di chi vive oltre i confini dell’Eurasia. Ma anche il primo verso di un haiku procedurale, conciso ed elegante come si confà ad un tale genere di composizione poetica. Il canto ritmico della marmitta delle circostanze avite…

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