L’amor che fa gonfiare gli urogalli americani

Tra una costa e l’altra del Nordamerica, verso la distante sponda dell’Ovest, c’è un’ampia area nell’entroterra priva di città, centri abitati o altri segni di vita normalmente associabili a densità demografiche rilevanti. Via dagli edifici e dagli assembramenti, disseminata occasionalmente dagli ingressi delle miniere o i padiglioni degli allevamenti, qualche piantagione qui e là, ma per la massima parte, corrispondente al concetto atavico di prateria. Verde tendente al marrone, perché ricoperta in ogni suo possibile recesso dal sagebrush. Ora cosa sia il sagebrush, esattamente, nessuno lo sa. O almeno così sembrerebbe nel cercare tale termine sui dizionari, dove si parla (correttamente) di certe piante appartenenti al genere Artemisia, ma anche di saggina, sterpaglie, ginepro, salvia o addirittura in senso più generico, “erba alta”. Ambiente privo di particolari attrattive, questo, per molti. Ma non per tutti. Come si può facilmente desumere, sentendo a distanza di chilometri il richiamo gutturale del più nobile tra gli uccelli locali. È un suono penetrante, dall’intonazione profonda, che sembra fare da accompagnamento pressoché perfetto alla creatura, che lo emetterà di continuo per tutta la durata della stagione degli amori. Finché qualcuno, avvicinandosi, possa assistere allo spettacolo di un’intera vita di birdwatching: 25-30 esemplari riuniti in cerchio e intenti nella conduzione di uno strano rituale. A dare il tempo ci pensa lui, il maschio alpha più grosso e forte di tutti gli altri, mentre attorno si assembrano i colleghi che vorrebbero sottrargli questo ruolo. Ciascuno alto all’incirca una settantina di centimetri, e dotato di una certa serie di simboli di riconoscimento: in primo luogo, la coda, composta da una serie di penne a raggiera non dissimili dal copricapo della Statua della Libertà, quasi volesse competere con l’aquila di mare nel ruolo di simbolo della nazione. E poi due macchie gialle sopra gli occhi, con un copricapo in proporzione gettato all’indietro da far invidia a un capo di una tribù di Nativi. Ma ciò che colpisce da subito l’immaginazione è il vistoso collare di piume bianche, con un aspetto estetico non dissimile da quello di un collare di pelliccia del cappotto invernale. Il quale nasconde, in realtà, un segreto.
All’osservatore occasionale di una simile congrega, non propriamente esperto dell’argomento, potrebbe anche costituire la ragione di un senso di stupore rilevante. Poiché ogni volta che uno di questi Centrocercus urophasianus (gallo della salvia o greater sage-grouse) apre il becco per emettere il suono, fa un sobbalzo. E per ciascun sobbalzo, sbuca fuori dalle piume dell’ornamento frontale una gran coppia di sferoidi verde scuro, simili al cappuccio di altrettante meduse. Così l’uccello continua nel suo canto e un minuto dopo l’altro, mostra a intermittenza la capacità di aumentare temporaneamente di dimensioni, se soltanto s’impegna a deviare parte dell’ossigeno inalato verso questi grossi organi posizionati all’incirca all’altezza del petto. Perché lo fa? Beh, chiunque conosca il modus operandi del gallo cedrone, il fasianide più simile a questo ad essere presente tra le coste della penisola nostrana, a questo punto già si sarà fatto un’idea. Stiamo osservando, molto chiaramente, gli uccelli nella stagione degli amori. Quando l’estetica è tutto e la capacità di fare colpo, niente meno che essenziale per trasmettere i propri geni al domani. È usanza imprescindibile tra gli urogalli in effetti, che per ogni raduno dal simile tenore (comunemente chiamato lek) sia soltanto un esemplare, massimo due ad accoppiarsi, scelti in base alla rigida graduatoria genetica della specie. Proprio per quest le femmine marroncini, esteticamente non dissimili da una comune pernici, inizieranno ad avvicinarsi di soppiatto con lo scopo di soppesare rischi e possibili vantaggi. Per poi scegliere il bersaglio e farsi avanti, confidando nell’infallibile capacità di andare a meta. Per loro, dopo tutto, il successo è già garantito: pensate soltanto che una di queste creature potrebbe bastare ad inseminare l’80-90% delle gallinelle presenti allo show. Ed in effetti molto spesso, è proprio questo che ciò che capita dopo una lunga serie di sfide, combattimenti e vicendevoli spintoni, per la maggiore gloria dell’urogallo supremo.

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L’esperienza di capovolgere automobili nei rally finlandesi

Telecamera in soggettiva all’interno di un rally, cosa c’è di nuovo? Abbiamo avuto modo di vederli tutti, in un modo o nell’altro, grazie all’attrezzatura video montata sulle auto dai team di corse, per testimoniare la performance, e le doti di colui che pilota le vetture iscritte a ciascuna gara. Anzi, grazie ai videogiochi le abbiamo persino guidate, queste grandi automobili a folli velocità, cercando l’apice di ciascuna curva diversa in base al suolo al di sotto delle nostre virtuali ruote (con conseguenze, il più delle volte, non propriamente ideali). Cosa mai potrebbe esserci di nuovo, nel video stile-GoPro presentato giusto l’altro giorno sul canale di YL!VAA Media, probabilmente a séguito dell’acquisto dei diritti dallo stesso autore. Già, una persona piuttosto che una scuderia, e nello specifico colui che l’hai materialmente realizzato. “Ma allora…” Già, proprio così: stiamo parlando di uno spettatore. Ciò che Internet ci offre oggi, nel suo ampio catalogo d’esperienze videografiche, è un qualcosa che molti di noi probabilmente non tenteranno mai di sperimentare, benché si tratti, a conti fatti, di un’esperienza non inaccessibile, né particolarmente pericolosa. Stiamo parlando, se ancora non fosse palese, degli appassionati che vanno a mettersi presso una curva spregiudicata, e quando se ne presenta l’opportunità, fanno il possibile per aiutare. Perché il rally, per sua stessa natura imprescindibile, non è semplicemente la corsa senza limiti su un tratto stradale chiuso al traffico, la cosiddetta prova speciale, ma anche e soprattutto la metafora di un viaggio, attraverso il quale l’equipaggio di gara dovrà risolvere ogni potenziale guasto tecnico o défaillance senza poter ricorrere all’aiuto del resto della squadra. Mentre non c’è scritto da nessuna parte, che il pubblico debba starsene da parte senza far nulla. Nel corso degli anni la competizione si è dunque arricchito di questa ulteriore aspetto, che lo rende uno sport “interattivo” durante il quale non solo è difficile capire cosa possa succedere, ma lo stesso succede per quanto concerne ciò che ci si può ritrovare a fare.
Entriamo a questo punto nello specifico: lo scenario si svolge presso lo stage di Päijälä, a quanto pare uno dei principali ostacoli del prestigioso Rally dei Mille Laghi con partenza da Jyväskylä, ormai da tempo facente parte del campionato mondiale della WRC. La data è lo scorso 29 luglio, proprio durante l’edizione 2017 della gara, recentemente conclusasi nel momento in cui scrivo con vittoria della nuova promessa della Toyota Esapekka Lappi, secondo classificato Elfyn Evans di Ford, terzo Juho Hänninen di Toyota. A sfiorare il podio con la quarta posizione, nel frattempo, ci ha pensato Teemu Suninen, ultima aggiunta del team Ford. Notate qualcosa? Dei quattro piloti citati, tre hanno un nome chiaramente appartenente all’area scandinava e a dire il vero, ciò non è certamente un caso. Si potrebbe anzi affermare che si tratti di una vera e propria tradizione, per un rally notoriamente ostico da portare a termine, e soprattutto molto diverso dal resto delle gare di campionato. Le ragioni sono diverse, a partire dai dislivelli alle particolari caratteristiche paesaggistiche del territorio (non sognatevi, ad esempio, di riuscire a mancare un albero se doveste finire fuori strada) e soprattutto, fra tutti gli aspetti, c’è n’è uno che spicca in modo particolare: la notevole velocità media, con interminabili rettilinei che hanno fatto soprannominare questo ambito di gara con il nome programmatico di “Grand Prix su sterrato”. Il che naturalmente, in determinate circostanze, può portare a conseguenze alquanto problematiche, con particolari tratti che risultano, semplicemente, troppo difficili per un’alta percentuale dei partecipanti. Così esistono casi come questo, di una curva in cui finiscono fuori strada 5, 10 persino 15 automobili, l’una dopo l’altra. Mentre la gente, tuffandosi a capofitto, si affretta a recuperarle e rimetterle in pista. Uno spettacolo memorabile. Decisamente migliore della tipica dissolvenza in nero con penalità di qualche secondo, che nei videogiochi crea lo stacco attraverso cui l’auto giocante torna magicamente al centro della carreggiata. Ma va da se che siamo di fronte a un qualcosa di decisamente più difficile da simulare.

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Uomo libera mille grilli nella sua stanza

Quel senso di gioia ed innegabile soddisfazione, l’attimo dell’aspettativa saziata per il momento in cui suona la porta e tu sai, nel profondo della tua coscienza, che si tratta del corriere che fa il suo giro. E ti consegna, finalmente, la cosa. Che cosa? Dipende dai tuoi interessi. Il mondo di Internet è ormai diventato una fantastica palude della cuccagna, da cui emergono a seconda dei casi tesori appartenenti ad ogni branca dello scibile umano. C’è chi ordina libri, chi film, videogiochi. Persone comprano colle, vernici, smalti per la pittura. Ed altri acquistano il cibo. Non sempre per loro stessi. La questione relativa a questo appassionato ed entusiastico Noonie, alias “Reptiles Uncaged” è che lui costituisce una persona particolare, con esigenze particolari. O forse sarebbe meglio dire che le esigenze appartengono ai suoi animali domestici, la più favolosa selezione di lucertole, serpenti e batraci, tenuti liberi in quella che un tempo era forse una stanza da letto. E adesso…. Quanti siano esattamente i suoi ospiti allo stato dei fatti, forse nessuno lo sa (escluso il padrone) ma almeno adesso possiamo fare una stima sulla base di ciò che mangiano. Dell’estrema QUANTITÀ di quello che mangiano. È in effetti piuttosto insolito che una scatola emetta, durante la consegna, un rumore. Noi conosciamo molto bene questo rumore: cri-cri, cri-cri […] ad infinitum e dall’intensità crescente, fino al raggiungimento della soddisfazione erotica e sessuale. Ma se questo pacco reca la scritta 1.000 medium crickets sarebbe difficile metterlo in dubbio: l’accoppiamento c’è già stato. Più e più volte, al punto che molto presto, il numero delle creature è destinato a risultare drasticamente superiore. Sarà certamente meglio dunque, iniziare la procedura.
Per chi se lo fosse già chiesto, senza disporre di una risposta soddisfacente, chiariamo a questo punto la fondamentale questione: si, non costano molto mille grilli medi. Appena una trentina di dollari, pagati con carta di credito al distributore specializzato che si rivolge agli erpetologi più o meno in erba. Perché non regalare, dunque, una volta ogni tanto, un favoloso banchetto alla schiera dei propri iridescenti beniamini…. Una volta indossato un paio di guanti sotto il vistoso orologio d’oro, Noonie apre facilmente la scatola, mostrando in camera il suo favoloso contenuto: la brulicante, inusitata quantità d’ensiferi, accuratamente disseminati all’interno di un separatore simile a quello per le uova. Normalmente, si tratterebbe di un’operazione piuttosto complessa, mirata a tirarne fuori soltanto una parte, evitando la fuga dei grilli dal terrario della loro dipartita. Quando invece hai un’intera stanza dedicata a tale mansione, e abbastanza grilli da divorare l’intero contenuto in tempi ragionevolmente brevi, perché mai dovresti preoccuparti ADESSO? Il problema tenderà a presentarsi piuttosto, ogni qual volta devi aprire la porta per entrare o uscire dalla stanza del rettilario. Il capitolo successivo risulta essere, del resto, assai indicativo. Diversamente da quanto avverrebbe con cani e gatti, non c’è l’entusiasmo del popolo, che cala come i barbari sopra la “ciotola” del grande dono concesso dal loro padrone. Quanto piuttosto una metodica flemma, che cresce come un’onda di marea, finché tutto quel frinire viene sostituito da crepitìo della masticazione, portata avanti nei più angusti recessi della piccola giungla artificiale. I primi a raggiungere l’obiettivo, sono inevitabilmente gli anolidi, verdi e marroni, fauna della Florida nota per la sua feroce territorialità (per lo meno, coi membri della loro stessa specie). Con ritmici balzi in avanti, le piccole lucertole catturano grilli qui e là, senza che a questi ultimi resti alcuna possibilità di scampo. Gli scinidi nel frattempo, riconoscibili dal tozzo corpo e la lunga coda, usano lo strumento del sotterfugio, nascondendosi sotto le foglie o la sterpaglia per fare un buon uso delle proprie fauci raptatorie. Una fantastica lucertola asiatica d’erba, dalla coda lunga tre volte il corpo, si aggira circospetta alla ricerca della sua dose, mentre un serpentello verde brillante della specie Opheodrys aestivus si mette in agguato sui rami, estendendo il suo corpo al massimo per catturare la maggior quantità possibile d’artropodi-merendina. Nessuna traccia invece delle rane leopardo mostrate precedentemente in un video: pare infatti che queste ultime, piuttosto che i grilli, fossero solite divorare le lucertole stesse.
Si tratta di un vero e proprio risveglio della Natura in un luogo in cui, normalmente, neppure dovrebbe esserci, la natura. Ed è proprio questo il motivo per cui ci vorrebbe la voglia, ed il tempo, di arrivare un certo punto a capire come ti sei trovato in quello specifico momento della tua vita, per compiere il gesto di liberare 1.000 grilli all’interno delle mura di casa tua…

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Le distanti origini del gatto nuotatore

All’ombra dell’antico castello, fra gli edifici sfoggianti esempi storici di architettura ottomana, dove sorgevano un tempo le vestigia di Urartu, capitale di un impero, entrò in scena Vankedisi, un ulteriore prodotto del gene turco, che aveva donato ai gatti provenienti dal Mediterraneo qualcosa che non avevano mai avuto prima: un folto pelo, candido e setoso, per proteggersi dai gelidi inverni di queste regioni. È una strana commistione di fattori, poiché si tende a pensare che gli animali debbano per forza essere: A – selvaggi, oppure B – un prodotto della selezione umana. Eppure in una simile regione, situata in corrispondenza delle coste orientali del Mar Nero, esiste questa insolita via di mezzo, per cui il più rappresentativo felino sopravvive non come proprietà delle famiglie di allevatori, bensì in qualità di loro vicino, evolutosi liberamente attraverso le generazioni. Esiste il termine inglese landrace, per cui non c’è un’esatta traduzione italiana (benché a volte venga impiegato il composto “ecotipo”) concepito per riferirsi a una creatura, sia animale che vegetale, i cui tratti specifici e razziali derivano da uno specifico ambiente di provenienza. E ci sarebbe ben poco a differenziare il gatto della città di Van dal suo simile situato 1.000 miglia ad occidente, il gatto d’angora della città di Ankara, se non fosse per una particolare presenza nella sua regione: un lago salino di 12.500 chilometri quadrati. Ora non è chiaro, esattamente, quando questo piccolo mammifero abbia iniziato a visitare le assolate coste di un simile bacino. Eppure attraverso i secoli, e sia chiaro che ne sono passati parecchi, il suo manto ha acquisito una speciale dote idrorepellente, diventando privo del sottopelo, mentre i muscoli delle zampe si facevano più forti e resistenti. Il gatto era diventato perfetto per tuffarsi, ed inoltrarsi tra i flutti alla ricerca di cibo, soddisfazione, fresco estivo…
Le prime attestazioni archeologiche relative al gatto di Van sono datate attorno al 75 d.C, quando questa regione diventò l’estremo confine orientale del grande Impero Romano. E gli ufficiali delle legioni, colpiti dagli scattanti cacciatori di topolini ed uccelli, pagarono per farseli raffigurare sugli scudi. La razza diventò quindi altamente rinomata e caratteristica di questi luoghi, prosperando virtualmente indisturbata fino al XV secolo, quando una serie di fiere commerciali diffusero la sua fama in tutto il Vicino Oriente. A qualche astuto diplomatico, dunque, venne in mente di inviare il gatto in dono alle corti europee, così come anticamente era stato fatto col gatto d’angora verso il regno di Persia, dando origine indirettamente ad un’altra delle razze più celebri dell’attuale panorama felino. Nel giro di 100 anni presso i nostri dintorni culturali, il Van diventò il gatto dei potenti, dei nobili e dei re, che ne tenevano sempre uno nei loro giardini, per costituire oggetto d’invidia ad opera dei loro pari. Nel 1600 il famoso astronomo, botanico e viaggiatore Fabri de Peiresc ne riportò una certa quantità in Francia, dove tra i clienti del suo allevamento poté annoverare lo stesso Luigi XIII e il cardinale Richelieu. Con le successive importazioni del gatto Persiano, tuttavia, tutti i promotori del gatto di Van passarono all’alternativa più popolare, causando la progressiva scomparsa della razza dallo scenario d’Occidente.
Il gatto di Van, nella sua forma originale, è quasi sempre completamente bianco, benché non presenti affatto il gene della sordità, diffuso altrove fra questa variante cromatica dell’animale. Uno dei suoi punti di fascino maggiore sono gli occhi, ambra o turchese, ma ancor più spesso, uno ambra e l’altro turchese, creando un contrasto che sembra mirare al profondo dell’animo e dell’empatia umana. La visione di questi gatti è da sempre così affascinante per i visitatori dell’area geografica che anche storicamente, pare fosse diffusa l’abitudine di prenderne uno e riportarlo con se a casa. Secondo un documentario della BBC del 1991 ma che raccontava anche esperienze pregresse, simili casi si verificarono ancora in epoca moderna, con l’inevitabile conseguenza, altamente spiacevole, di stare effettivamente sottraendo l’animale al suo padrone, che come da prassi turca lo lasciava girare libero di cacciare sulle strade circostanti la sua abitazione. Quindi nel 1955, questa razza fu ufficialmente “riscoperta” dagli europei, finendo però stranamente, per diventare qualcosa di radicalmente diverso.

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