Labile diviene la parete che divide gli ambiti fondamentali del ragionamento, mentre ci si trova immersi nell’onirico universo tra il tramonto e l’alba. In una tenebra capace di segnare il passo dei momenti, rovesciandomi tra le coperte di una febbre del solstizio stagionale, ho così visto l’ora del sollievo al termine della scalata, un tavolo e una sedia, un piatto candido, il dolce circolo dell’uovo trasformato con lo zucchero, farina e lievito color di un campo di grano. L’aguzzo susseguirsi a forma di parabola, del metallico implemento nella mano destra, intento a infiggersi nel primo candido boccone, percepii d’un tratto il senso dell’aumento di pressione fino al timpano dei padiglioni auricolari. Il piacevole paesaggio alpino era scomparso, rimpiazzato dal groviglio variopinto del pelagico consorzio senza requie, l’iniqua soggiacenza brulicante che nuota, zampetta e fluttua in mezzo alle molecole permeate da due atomi d’idrogeno (H2) ed un terzo costituito dall’ossigeno (O) salmastro sotto il mare senza nome di quel tempo incerto. E allora vidi, come fosse il più normale dei frangenti, il piccolo pancake che cominciava a trasformarsi, muovendosi in maniera erratica da un lato all’altro dello spazio a lui preposto. Otto erano i suoi arti per la pratica deambulazione, ed ulteriori due, pronti a ghermire le precipue particelle entrate nel suo cono d’attenzione. Vivo, esso era e come ogni altro essere del brodo primordiale, asceso fino all’invincibile prassi somatica del granchio dalle circostanze avìte. Eppure qui ebbi l’immediata percezione; di appoggiare la posata a lato di quel piano; di arretrare lentamente, ritornando fino al vuoto dell’assenza di elucubrazioni oniriche. Poiché se solo io l’avessi per un attimo assaggiato, la morte si sarebbe palesata lungo il mio cammino. In un’umida pioviggine, a Natale.
Cosa è questo e dove nasce, dunque, fatta l’eccezione per le pagine di Internet plasmate dalla tipica condivisione collettiva del “forse non sapete che…?” Potendo sembrare un valido prodotto dell’intelligenza artificiale, almeno finché non ci si approccia alla questione dall’angolazione accademica, associando una forma e un volto al rilevante binomio latino: Atergatis integerrimus, comunemente detto il “granchio dell’uovo rosso” o in modo ancor più discorsivo, crostaceo morbidissimo, un pancake. Pacifico abitante dell’Indo-Pacifico, spesso avvistato sulle coste dell’Asia Meridionale successivamente a una tempesta o altro evento meteorologico, benché il suo habitat maggiormente tipico includa le profondità fino ai 200 metri dalla superficie, là dove gli assembramenti di anthozoa costruiscono le proprie variopinte città in mezzo alla sabbia sempiterna. Ricordandoci di come in base al novero di Bates (1862) e Poulton (1890) l’aposematismo sia un fattore che preannuncia gravi conseguenze situazionali. Come quelle che innegabilmente attendono, chiunque sia abbastanza folle da far più che ammirare dalla semplice distanza, lo scarlatto, placido abitante d’impossibili affollati diners tra i deboli raggi verticali all’epilogo di questa Valle addolorata…
pericolo
I solchi sul vessillo che anticipa e permette di correggere il comportamento dell’elicottero in volo
In principio, era il Caos: successivamente alla traduzione pratica del concetto di elicottero, rievocato dai disegni degli antichi progettisti e Leonardo Da Vinci, costruttori come Enrico Fontanini (1877) Gerd Achgelis (1936) e Igor Sikorsky (1939) dovettero venire a patti con alcune problematiche che nessuno, in linea di principio, avrebbe mai potuto prevedere. Per un approccio al volo tanto inerentemente complesso, da essere stato famosamente riassunto dall’autore di romanzi Tom Clancy con la frase: “[Gli E.] non volano semplicemente. Essi vibrano in maniera tanto critica, che il terreno è costretto a respingerli.” Iperbole in effetti non del tutto priva di fondamento, quando si entra nel merito della varietà di forze necessariamente coinvolte nella spinta verticale che permette a un simile apparecchio di sollevarsi. Ma sarebbero state proprio tali vibrazioni, per quanto imprescindibili, a condizionare gravemente per le prime decadi il volo condotto grazie all’uso dell’ala rotante, sperimentare il quale comportava un livello di comfort e sicurezza non propriamente in linea con le aspettative contemporanee. E ciò senza considerare il dispendioso effetto avuto dall’usura nei confronti di parti e meccanismi, che tendevano per questo ad aumentare il proprio peso limitando le prestazioni del mezzo. Era stato presto compreso d’altronde, come il modo per equilibrare l’elicottero passasse necessariamente per la costruzione di un rotore totalmente regolare e prevedibile, in cui ogni componente lavorasse assieme agli altri di concerto, compensando nel contempo eventuali irregolarità nella distribuzione del carico sottostante. Ma le salienti pale erano costruite spesso in legno, proveniente da alberi diversi ed incollato assieme, tanto che identificare le necessità di un particolare progetto, e soprattutto replicarlo in quantità importanti, richiedeva considerevoli capacità manuali ed un certo livello d’istinto. Un modo come un altro per definire coloro che operavano all’interno delle fabbriche con tutte le caratteristiche degli artigiani, se non dei veri e propri artisti. Ma l’unica vera maniera per essere sicuri del proprio operato era misurarlo, in maniera certa ed oggettiva, poco prima del decollo e successivamente ad ogni periodo d’utilizzo sufficientemente lungo. Il che avrebbe portato, già prima dell’arrivo degli anni ’50, alla traduzione orizzontale del comprovato metodo nel mondo dell’aviazione ad ala fissa, consistente nell’impiego di diverse aste di misurazione in corrispondenza del passo dell’elica, per misurarne la regolarità di rotazione. Se non che data l’altezza media di questo nuovo tipo di velivoli, nonché la frequenza con cui l’operazione doveva essere portata a termine, avrebbero agevolato l’ingegnosa semplificazione e velocizzazione di quel particolare approccio. Trasformato nel sollevamento manuale di un oggetto, la cui stessa esistenza sembrava una violazione pratica dell’istintivo senso di prudenza in dotazione agli esseri umani…
Il metronomo vibrante costruito per spezzare il ritmo che percuote i cavi del ponte
Situato in bilico sopra la corda urbana, l’esperto addetto sposta la sua ombra lungo l’estrusione del metallico implemento tubolare. Così la forma catenaria inversa di quel cavo, che anticipa e contrasta l’arco della volta diurna, cede sotto il peso, ma non cessa un movimento irregolare comprimario che introduce dubbi in merito alla stabilità, la sicurezza e ragionevolezza di tale mansione. Ma in alcun modo percepibile, la sua necessità. Chi mai sceglierebbe, per mero piacere, di sperimentare volontariamente l’emozione di quel rodeo sospeso sopra il grande ponte? Raggiunto il punto medio, l’uomo lascia il grosso moschettone di sicurezza e con la mano apre la pratica borsa, da cui estrae quello che parrebbe presentarsi come un manubrio del tipo utilizzato per il sollevamento pesi nelle palestre. Con gesto allenato, lo solleva ed avvicina a quell’instabile segmento acciaioso e lo aggancia con l’apposita fascia d’acciaio nichelato, in grado di resistere alla furia della pioggia e del vento. Quindi stringe, uno alla volta, i rilevanti bulloni. Dopo il primo, il cavo pare già più stabile ad un colpo d’occhio non allenato. Aggiunto il secondo, l’escursione del sollevamento e abbassamento è quanto meno dimezzata allo sguardo. Ed è già dopo la terza parte del saliente approccio, che l’iniziale vibrazione appare ormai cessata del tutto. Tanto che senza ulteriori indugi, egli sceglie di procedere al prossimo punto d’interesse senza assicurare il quarto foro di arresto. Forse… Tornerà in seguito a completare il lavoro?
Ciò che abbiamo visto implementata in questo video dell’azienda sud-coreana TESolution non è certo, d’altro canto, definibile come una soluzione d’avanguardia. Essendo la diretta risultanza, con tanto di brevetto a offrirne la testimonianza, di un contesto ingegneristico e risolutivo databile ad esattamente 97 anni prima della data odierna, per il tramite di un individuo in grado di notare ed elaborare con pratico senso critico i giustapposti aspetti di un saliente problema. Non è dunque un caso se gli ammortizzatori dei cavi, creati inizialmente con particolare riguardo nei confronti delle linee elettriche, vengono ancora adesso chiamati Stockbridge, con riferimento non tanto al concetto di ponte (bridge) bensì il cognome di George H. S, dipendente dall’inizio degli anni ’20 della Southern California Edison. La cui esperienza professionale ebbe a confrontarsi, fin da subito, con la dilagante crisi tecnica di quei giorni di sfrenato progresso nella distribuzione energetica su larga scala. Quando con l’estendersi dello spazio intermedio tra i piloni, causa la diminuzione della resistenza grazie ai nuovi materiali e l’incremento del voltaggio immesso nella rete, cavi in tutta la nazione cominciarono a cadere vittima di un serpeggiante pericolo nella progettazione infrastrutturale: il cedimento per fatica. Non per l’improvvisa e consistente sollecitazione. Bensì molte reiterate al tempo stesso, che come il flusso inarrestabile delle maree, può erodere persino i continenti…
La rana della dolce attesa che finì per trasformarsi nell’araldo dell’apocalisse anfibia
Un gruppo di scienziati in un laboratorio pallido e incolore, ciascuno incaricato nell’assolvere un preciso compito determinato dalla procedura. Apri la gabbia, prendi il coniglio. Metti l’animale sopra il tavolo ed inietta l’urina di una donna. Uno strano rituale… Da ripetere più volte, scegliendo un roditore differente ogni volta; topo, arvicola, criceto. Vittime sacrificali destinate all’impietosa dissezione, così come si usava fare nei primi decenni del Novecento, al fine di determinare se una donna fosse incinta. Procedura mistica non troppo lontano, per lo meno in apparenza, dalla divinazione in uso nell’antico Egitto che impiegava nello stesso ruolo due sacchetti, con semi rispettivamente di grano e di orzo. Se il giorno dopo il primo fosse germinato, sarebbe presto nato un maschio; se invece il secondo, una femmina. E se nessuno, falso allarme, tutto resta come prima. Ancorché l’approccio che traeva conclusioni dal mondo animale avesse una base scientifica, fondata sulla scoperta e tracciamento della gonadotropina corionica (HCG) ormone della gravidanza in grado di causare un lieve ingrossamento delle ovaie se iniettata per via sottocutanea o nell’addome di un mammifero di dimensioni minori. Immaginate dunque la sorpresa del zoologo britannico Lancelot Hogben nel 1933, quando nel corso delle sue ricerche sull’endocrinologia dei batraci finì per imbattersi in una fenomenologia simile per la rana artigliata africana, anche detta Xenopus laevis (Xenopo liscio). Creatura che una volta inoculata con l’estratto dell’ipofisi del bue, dalla composizione chimica non troppo distante dallo HCG, iniziava immediatamente ad ovulare. Episodio chiaramente ed immediatamente apprezzabile, data la quantità tra le 500 e 1.000 uova fisicamente espulse dall’anfibio ad ogni singolo episodio di questa natura. Lavorando all’epoca in Sudafrica, un paese che avrebbe in seguito lasciato per la propria manifesta antipatia nei confronti delle leggi razziali e l’eugenetica del tempo, Hogben iniziò quindi a collaborare con il ginecologo Francis Albert E. Parkes, nel tentativo di trasformare la propria scoperta in un processo ripetibile in sequenza nei laboratori medici di tutto il mondo. Immaginate, a tal proposito, il vantaggio: prima di tutto l’assoluta affidabilità, notevolmente prossima al 100%. Per non parlare del fatto che la rana lunga appena 8-12 cm, diversamente dai roditori, non dovesse morire al fine di confermare la gravidanza, permettendone il riutilizzo dopo un ragionevole periodo di riposo…



