Oltre un secolo e non sentirlo: l’esasperata metafora parassitaria dell’ipnolumaca

Ah, il GUANO, che magnifico sapore! La deiezione dei pennuti, colazione dei campioni. Escrementi che piovono dai cieli, ovvero: piatti prelibati, i più pregevoli alimenti! Così mentre deambulavo alacremente, l’umida scia un tracciato diagonale sulle foglie, ebbi l’improvvisa ispirazione di dirigermi verso la fonte di quel delicato aroma. L’invitante aurifero sentore di gusci d’insetto consumato, liberi lombrichi, qualche pezzo chitinoso di uno scarabeo danzante. Un pasto sopraffino per un cuore di lumaca dentro il guscio, come il mio, meschino. E sgranocchiando, trangugiando ed espiando, nel profondo, non compresi fin da subito quello che era capitato al mio Destino. Giorno 5: tutto a posto, a parte la sgradita sensazione di un corpuscolo nell’occhio sinistro, o per meglio dire quel tentacolo che lo sostiene, nei molluschi di terra. Poco male, dopo tutto? Basterà che aspetti pazientemente, prima di poter tornare a ritirarlo dentro il corpo centrale. Giorno 10: oh, sventura. L’occhio pulsa e si trasforma, è gonfio, pieno e dolorante. Vedo strani e plurimi colori, avverto un cambiamento nel profondo del mio essere. Cosa diamine c’era, all’interno di quel GUANO traditore?
Leucochloridium paradoxum è l’ingrediente, o per meglio dire la condanna vermiforme, che caratterizza il gravido protrarsi di un così terribile frangente. L’infezione di trematode esteriormente accattivante (e Dio/Demiurgo può saperlo, quante ce ne sono a risultarne tali!) che trasforma la tranquilla chiocciola nella palude in un’attraente versione tangibile e mollusca del più eclettico personaggio del cartoon Futurama, l’ipnorospo. Le cui pupille cambiano continuamente geometria, al rimbombo sottilmente inquietante di una nota metallica ed aliena. E di certo tra gli uccelli molti devono essere gli appassionati di una tale serie, se crediamo alla visione non del tutto scientifica, secondo cui le povere lumache infette a questo punto si trasformano in letterali esche ambulanti, con due approssimazioni ragionevole di bruchi sulla testa. Che ogni passero, ogni merlo, qualsivoglia corvide o gabbiano vorrà fin da subito fagocitare. Nel momento stesso in cui gli riuscirà d’avvistarlo. Ed è proprio qui il nesso, l’effettivo nodo dell’intera questione. Poiché se provate a cercare, anche soltanto per un attimo, su Internet la storia di quel parassita, verrete bombardati da definizioni quali “zombificatore di lumaca” oppure “controllore ostile dei gangli mollicci” per il modo tutto suo, reale o presunto, di riuscire a trasformare il comportamento dell’ospite tutt’altro che volontario. Creando una lumaca che spontaneamente tenderà a salire verso l’alto, nei luoghi assolati o pienamente esposti. Ove risulti più probabile l’incombente predazione ad opera di uno dei suddetti produttori di GUANO. Ah, la natura!

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Ogopogo è il plesiosauro che persiste dentro un lungo lago canadese

L’aspetto consistente indipendentemente dalla regione geografica di provenienza, il rapporto collettivo continuativo nel tempo, la tipica reazione dei media relativamente all’ennesimo avvistamento di un mostro lacustre, sembrano delineare uno specifico funzionamento della mente umana. Quasi come se l’esistenza di un qualcosa d’imponente, antico ed ignoto potesse comunicare direttamente col subconscio identitario della gente, rievocando immagini riconducibili all’io primitivo e il suo metodo per confrontarsi con la natura. Che poi è la base stessa, ovvero il folkloristico ragionamento, all’origine ancestrale della stessa creatura del lago Okanagan, un tempo venerata dai nativi delle Prime Nazioni all’interno della Columbia Inglese, in qualità di spirito supremo controllore delle maree e del vento. Il suo nome, in epoca precolombiana: nx̌ax̌aitkʷ ovvero “l’essere sacro delle acque”, una sorta di spirito capace di proteggere i naviganti oppure, in determinate e più rare occasioni, condannarli. Così come narrato nella storia cautelativa del capo in visita Timbasket, che avendo tralasciato gli opportuni sacrifici prima d’imbarcarsi sopra una canoa con la sua famiglia, finì per capovolgersi a causa del “sollevamento di una coda spropositata” che fece ribaltare questo scafo causando l’irrimediabile annegamento di tutti gli occupanti. Il che permette d’iniziare a configurare, nelle nostre menti, un’essere non propriamente formato dal puro spirito, nella maniera riconfermata in seguito dal colono del 1855 John MacDougal, il quale avrebbe visto i propri cavalli risucchiati in un attimo all’interno delle acque lacustri, rischiando egli stesso di fare la stessa fine se non fosse stato sufficientemente rapido a tagliare la cima della piccola barca sopra cui era posizionato. Episodio ben presto seguito, come di frequente in casi simili, da testimonianze di emergenti forme avvistate in lontananza in mezzo ai flutti, simili a serpenti, dorsi di lucertola o non meglio definite abnormi creature, con un consenso sulle dimensioni stimato attorno ai 15-20 metri. Che apparentemente era solito rintanarsi, e qualche volta emergere da sotto l’isolotto che oggi viene detto Rattlesnake (del serpente a sonagli) situato nella parte meridionale del bacino idrico lungo 135 Km e non più largo di 5.
Risale al 1924 quindi la canzone che avrebbe cementato l’appellativo assonante assegnato all’ipotetica Creatura, forse per l’associazione accidentale ad opera delle genti locali oppure come scelta satirica da parte dell’autore anonimo del brano di genere Fox-Trot “The Ogopogo”, scherzoso componimento che parlava di un mostro figlio di una balena e un earwig (l’insetto noto in italiano come dermattero o forbicina) descritto in modo assai sommario come dotato di una testa e coda piccolissime in rapporto al resto del corpo. Una visione, forse, compatibile con quella di un presunto dinosauro sopravvissuto al volgere dei secoli spropositati?

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Il falso girino di un abisso a otto chilometri dalla superficie del mare

Provate a immaginare, per un attimo, la sensazione. Di una creatura che ha trascorso la sua intera esistenza nell’oscurità, pur non rinunciando agli occhi per poter individuare l’occasionale predatorie bioluminescente o gamberetto luminoso da fagocitare. Che si trova all’improvviso dentro un fascio di fotoni generato da un potente faro creato dall’uomo. Quello situato, per l’appunto, sul sottomarino compatto Limiting Factor, inviato ad esplorare la profondità della fossa oceanica del Giappone, parte dell’anello di fuoco responsabile di molte delle sue eruzioni e terremoti più devastanti. Non sarebbe almeno in parte ragionevole, per tale inimmaginabile presenza, provare l’istintiva sensazione di trovarsi al cospetto di una divinità? Specialmente quando la sonda estendibile, facente parte della dotazione tecnologica del mezzo, cominciasse a rilasciare una copiosa quantità di cibo, largamente superiore a quella normalmente rintracciabile in svariati mesi di perlustrazione a simili profondità. Pesce attento, piccola presenza, non più lunga di una decina di centimetri. Eppure in grado di riuscire a sopportare, per l’intero estendersi della sua esistenza, una pressione di 800 bar, paragonabile al peso di svariate migliaia di elefanti. Questo grazie, chiaramente, alla natura non del tutto permeabile della sua pelle mucillaginosa, e l’alto contenuto di osmoliti nell’organismo. Sostanze in grado di garantire l’ottimale funzionamento di un organismo, persino in situazioni tanto estreme, garantendo al pesce lumaca (snailfish) la sopravvivenza. Già, ma che cos’è, esattamente, un pesce lumaca… Creatura della famiglia dei Liparidi, originariamente descritta scientificamente nel 1777 e che da quel momento avrebbe accolto, attraverso le lunghe decadi d’avvistamenti, grosso modo ogni tipologia di nuotatore “abissale” che nessuno fosse in grado d’inserire in specifiche categorie distinte. Anche in forza della tipica maniera in cui esseri creati per sopportare simili pressioni, erano inclini a deformarsi e diventare tutti uguali una volta esposti senza camera iperbarica alla vastità dell’atmosfera terrestre. Aggiungete a questo l’inerente fragilità di tale stirpe, incline a frantumarsi una volta intrappolata nelle reti o altri simili implementi di cattura, per comprendere la lunga confusione tassonomica che ha circondato i nostri amici del tutto incapaci di lamentarsi. Pur rappresentando, d’altra parte, uno dei pesci più studiati della zona hadopelagica, ad oltre 6 chilometri di profondità, in forza della sua presenza cosmopolita e relativa semplicità d’avvistamento. Come dimostrato ancora una volta nella spedizione dello scorso settembre a bordo della nave oceanografica DSSV Pressure Drop, culmine di un progetto decennale, organizzata da studiosi del laboratorio Minderoo dell’Australia Occidentale e l’Università di Tokyo, interessati a confermare determinate teorie in merito alla massima profondità abitabile da una creatura vertebrata. E che nel caso preso in considerazione, si sarebbero trovati con sommo senso di stupore al cospetto di non uno, bensì dozzine di tali auspicabili presenze, ad oltre 8.200 metri di profondità, superando qualsiasi altro record ittico mai registrato prima di quel momento. Una visione… Impressionante.

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L’aracnide mostruoso che riconferma l’eclettismo nell’arte femminista del Novecento

Trentadue milioni di dollari per il pezzo d’arte moderna più caro di quest’anno a Sotheby’s, l’opera maggiormente valutata dell’autrice e la principale scultura all’asta ad essere mai stata creata da una donna. Nell’occasione dei nuovi record stabiliti, ancora una volta, da uno degli otto ragni metallici della dimensione “medio-piccola” di 3 metri circa, creati dall’allora già ottantenne Louise Bourgeois (1911-2010) il mondo volge ancora una volta lo sguardo a questo personaggio singolare, che seppe offrire un commento alle paure ed alle aspirazioni della gente del suo secolo, attraverso la carriera creata sulla base dei propri traumi e la difficile esperienza della vita che ne è conseguita. Una di quelle creatrici che non rifiutando le tribolazioni della sua esistenza, seppe piuttosto metabolizzarle facendone il proprio carburante e punto di forza. Fino alla creazione, a partire dagli anni ’90, di alcune delle creature maggiormente iconiche a manifestarsi nell’ambiente museale, degne di competere coi mostri della letteratura, del cinema e l’illustrazione moderna. Sotto ogni aspetto rilevante o degno di essere descritto, fondamentalmente: un ragno. Ma anche molto altro in aggiunta a questo, per le profonde implicazioni manifeste nel posizionare le multiple versioni dell’opera, di volta in volta, nei contesti maggiormente utili a massimizzarne le realistiche qualità inerenti. Come un modo alternativo di relazionarsi, tipico ed inconfondibile, con alcuni dei comportamenti naturali che diventano acquisiti, tra tutte le creature viventi, unicamente nel sistema dei valori architettato dall’uomo. E chi ha detto che sarebbero gli artropodi, i “mostri”…
Così un’esegesi di tale ottuplice presenza, che viene messa su carta per la prima volta nel 1947 in un disegno dell’arista allora trentaseienne, come parte di una serie dedicata ad aracnidi ed insetti, scevri di particolari dichiarazioni d’intenti. Per poi ritornare ai suoi metodi espressivi preferiti, della scultura metaforica e l’impiego di stoffe, arazzi e materiali da plasmare nelle forme utili a descrivere in varie modalità i conflitti tra la mente umana e le sue antitesi, non ultima la relazione arbitrariamente conflittuale tra mondo maschile e femminile. Finché esattamente cinque decadi dopo, nell’aggiungere elementi alla sua lunga serie di gabbie connotate da elementi esterni ed interni, dal titolo soltanto descrittivo di Cells, non pensò d’utilizzare la figura immaginata in gioventù, chiarendo finalmente la principale associazione che ne aveva agevolato l’esistenza: verso la figura delle madri ed in modo particolare sua madre, la cui morte prematura nel 1932 aveva costituito un punto di svolta nella vita di questa importante artista. Genitrici che proteggono, costruiscono e talvolta tessono la propria tela, propri come la corrispondenza ottuplice approntata da colei che scelse in questo modo di celebrarle…

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