I suoi occhi tristi, la barba che ricopre il mento aguzzo. E quelle mani sollevate con i gomiti serrati sui fianchi, le cui dita diventano qualcosa d’indefinibile e sottilmente inquietante. La figura che campeggia in penombra non ha le gambe. Ma questo non sembra impedirgli in alcun modo di camminare, mentre ricompare ancora ed ancora, perseguitandomi durante l’ora più terribile delle mie fosche peregrinazioni. Un po’ più veloce, sempre maggiormente vicino. Nell’assoluta e imprescindibile certezza che un singolo contatto, vorrebbe dire la morte.
La storia creativa di Internet è ricca di circostanze fortuite in grado di generare dei letterali mostri, dalle caratteristiche mutevoli quanto la prototipica apparizione del mago di Oz. Ed in termini meteorologici questi forum, gruppi distribuiti, pagine social e altri luoghi di ritrovo impersonali sono da sempre risultati terreno fertile per l’incontro di personalità intellettualmente prossime, generando l’energia statica che anticipa l’arrivo del temporale. Ma come in molte altre circostanze antropogeniche non è infrequente che sia proprio il contributo di un singolo, ad imporre un fattore scatenante o catalizzatore dell’inizio del cambiamento. È probabilmente questo il caso dell’utente anonimo del portale 4chan che nel 2019, commentando la strana immagine di un ufficio con pareti e pavimento di colore giallo pallido, ci fornì l’accesso metaforico al fenomeno inqualificabile delle Backrooms. Permettendo tra gli altri a Kane Pixels, l’artista digitale autore del presente video, d’iniziare a elaborarne il nesso da un punto di vista narrativo e iconografico, con una serie per YouTube fatta iniziare all’incirca un anno fa. Ora è importante comprendere, per contestualizzare la sua ultima produzione, è che la trilogia (per ora) dallo strano titolo di “The Oldest View” costituisce l’evidente tentativo di provare qualcosa di nuovo, costituire l’avanguardia innovativa di questa particolare mitologia, basata sull’estetica talvolta impressionante degli spazi liminali. Avete presente? Quella sensazione di straniamento che deriva dal trovarsi in un luogo tipicamente affollato, totalmente privo di persone ed almeno in apparenza sospeso tra due stati dell’esistenza. Un jamais vu che trova la sua perfetta espressione nello scenario ricorrente del centro commerciale abbandonato, luogo tristemente ricorrente ed in continuo aumento ai margini di grandi o medie cittadine, dove nessuno ha una ragione di aggirarsi tranne il praticante eclettico di esplorazioni abusive o l’occasionale fantasma o spirito maligno dei sogni infranti. Perciò scelto con studiato criterio dal nostro autore, in questo saliente caso, come ambientazione per il medio-metraggio di genere orrorifico i cui unici personaggi sono il fornitore di un punto di vista in prima persona, totalmente privo di volto per l’intera ininterrotta sequenza, ed quello che potremmo definire nel particolare ambito di questa narrazione come… L’assassino. Benché non propriamente riconducibile al tradizionale concetto di quella tipologia di personaggi, essendo esso stesso una cosa, l’automa concepito in base all’inquietante normalità di uno stile d’intrattenimento magari leggermente desueto, certamente insolito nei propri canoni artistici di riferimento. Ma che diventa assolutamente terrificante, quando ci si trova in un luogo e momento misteriosi, dove l’unica speranza di sopravvivere sembrerebbe agire in base ai propri istinti alla ricerca di una possibile via di fuga…
L’origine del pupazzo in questione appare dunque alquanto arzigogolata e circonlocutoria, benché facilmente ricostruibile grazie alla traccia lasciata in modo intenzionale dallo stesso autore del video. L’appena diciottenne Kane Pixel (il cui vero cognome è Parsons) dichiara chiaramente infatti di aver riprodotto in forma digitale l’opera di Kevin Obregon, artista facente parte di un collettivo texano a La Reunion, costituito al fine di proporre al pubblico un’occasione di ritrovo intitolata The Parade of Giants ovvero “La parata dei giganti”. Probabilmente intesi come importanti figure della storia americana o non solo, visto come il soggetto dichiarato della scultura/carro allegorico in questione sia niente meno che Julien Reverchon, un botanico francese, diventato celebre dopo essersi trasferito a Dallas nel sud degli Stati Uniti nel 1869, per aver costituito tra le altre cose un giardino botanico privato con oltre 2.600 diverse specie vegetali provenienti da ogni parte del mondo. Da cui l’idea di rappresentarlo, nella versione fisica della statua, con le mani aperte fatte di fiori, in un gesto magniloquente che può essere facilmente frainteso. C’è in effetti una fondata chiave interpretativa, capace di diffondersi a macchia d’olio nel corso dei soli 6 giorni trascorsi ad oggi dalla pubblicazione del video in CG iperrealista, che la cinematografia, l’impostazione e soprattutto la location in cui parrebbe svolgersi siano direttamente ripresi da un’esplorazione pubblicata online nel 2016 dall’utente Zeroxlulu, relativa allo stato dei fatti del centro commerciale allora prossimo alla demolizione di Valley View, poco fuori Dallas. In cui compariva effettivamente al piano superiore, in modo totalmente inaspettato, l’inquietante scultura semovente di Kevin Obregon. Dove sarebbe in effetti rimasta, a quanto ci è dato di capire, fino all’abbattimento delle mura effettivamente portato a termine nel maggio del 2023. Trasportando l’intero luogo della memoria, così caratterizzante per l’infanzia e gioventù di coloro che le hanno trascorse in questi luoghi, in una sorta di dimensione parallela della non-esistenza, perfettamente riconducibile al mito mutaforma delle Backrooms, con un’ulteriore contributo di quell’altro, precedente progetto collaborativo del subconscio internettiano, il catalogo di creature sovrannaturali della SCP Foundation. Poiché non è dissimile la narrativa data ad intendere, desumibile dai tre criptici capitoli pubblicati fino a questo momento, in cui una misteriosa figura in bianco e nero che raccoglie fiori nella foresta, interpretata dall’attore di Brunswick (GA) Dustin Vaught nel ruolo presumibile dello stesso Reverchon, viene giustapposta alla creazione della maschera di cartone del “gigante”. Per poi passare, nel secondo episodio, allo stesso luogo battuto da un praticante dell’urbex contemporaneo, il quale s’imbatte in un misterioso tunnel che vedrà la realizzazione dei suoi incubi più tremendi…
C’è una fondamentale fonte di connotazione ulteriore, d’altra parte, in questo particolare sotto-genere narrativo ed orrorifico riconducibile al concetto di found footage, che potremmo in linea di principio ricondurre al film rivelatorio di The Blair Witch Project del 1999, o andando più indietro alle opere letterarie di Lovecraft o Edgar Allan Poe.
Il racconto di un protagonista condannato che diventa, nell’epoca dei videogiochi e delle action cams in prima persona, l’occasione d’inscenare una fuga rocambolesca con regole o modalità non sempre ragionevoli, come la capacità di una statua inanimata di teletrasportarsi, salire le scale mobili o scuotere all’impatto i muri stessi della sua impossibile prigione sotterranea di terra e cemento. Fino alla contingenza del crescendo finale, che sembra l’attimo preciso della morte del protagonista, ma potrebbe anche rivelarsi un cliffhanger per il prossimo terrificante episodio nel livello successivo, come in un sistema di scatole cinesi o i sogni ricorsivi del film Inception.
Ciò che è certo, in ultima analisi, è che anche al giorno d’oggi di giovani creativi col talento di Kane Pixel non ce ne sono moltissimi. Ed è assolutamente inevitabile considerare auspicabile che taluni registi ben più blasonati, responsabili di un tipo d’intrattenimento in grado di raggiungere letterali milioni di persone, inizino a prendere spunto da lui. Preparandosi ad accoglierlo con reverenza, in un luogo dell’immaginifico che aborrisce, più di ogni altra cosa, la stagnazione.