Puoi essere forte, scaltro e preparato. Puoi avere la saggezza e vagonate di prudenza. Puoi metterti alla testa di un esercito da un milione di zampe, il cappello di Napoleone di traverso sulle antenne. Ma ci sarà pur sempre un istante, un singolo fugace momento, in cui farai un passo di troppo, scivolando dentro quello spazio che è sinonimo della tua fine. Una depressione nella sabbia, ben poco visibile, con la forma (gli italiani la direbbero “dantesca”) di un cono rovesciato verso le profondità del sottosuolo. Con pareti ripide composte da sabbia estremamente fine, posta in bilico in prossimità dell’angolo di resistenza al taglio, non troppo lontano da un’inclinazione di 100 gradi. Niente di davvero problematico per tutti coloro che, come gl’invincibili imenotteri del formicaio, possiede la capacità di arrampicarsi su qualsiasi superficie, sia pure liscia e verticale come una finestra. Purché non succeda l’imprevisto, nell’imprevisto: che qualcuno, o qualcosa, posto in fondo a un simile pertugio, inizi all’improvviso ad agitarsi, scagliando micro-grammi di quel materiale tutto attorno e sopra la tua testa con mandibole vibranti d’ira. Causando lo scivolamento, senza scampo, fino al centro di quel vortice privo d’ogni speranza. Lasciandoti soltanto il tempo di contorcerti e gridare: “Aiuto, salvatemi o verrò mangiato da un form- formicaleone!” BZZ-T! ERRORE!!
Avete mai sentito pronunciare il detto: “Ci sono più cose in Cielo e nel Deserto…” E strano certamente a dirsi, esistono anche due diversi tipi di creature, entrambe larve di un qualcosa di volante, che costruiscono la propria tana nel sostrato sabbioso del sotto/suolo. Con modalità perfezionate per ghermire, come un falco all’incontrario, coloro che si dimostrassero abbastanza folli da percorrere il sentiero soprastante. E non siamo qui a parlare, quest’oggi, del più tipico e ampiamente conosciuto mirmeleontide (fam. Myrmeleontidae) con le sue mandibole a tenaglia, bensì del vero ispiratore, all’insaputa di chiunque, del mostro noto come Sarlacc, che avrebbe divorato Boba Fett nel corso del terzo (sesto?) episodio della serie Star Wars. Il quale compariva sullo schermo, ricordiamolo soltanto per un attimo, con la forma non dissimile da un grosso verme. Un palese riferimento ai divini Shai-Hulud della serie di romanzi Dune di Frank Herbert, noto ed indiretto ispiratore della saga, ma anche un semplice richiamo alla famiglia di creature artropode note come vermileoni (in latino Vermileonidae) con la loro rilevante abitudine di tendere agguati a noialtri spuntini deambulanti, che viviamo alla luce dei molti Soli della galassia. Con un riferimento leonino presente nel proprio nome, comune alla succitata e per certi versi simile creatura appartenente all’ordine dei Neuroptera, che potrebbe di certo lasciar basiti, finché non si pensa al nome anglofono del grosso ed insaziabile formichiere, concorde nell’apprezzare una tale dieta: antlion per l’appunto, o “leone delle formiche”. Benché di un simile felino, ben poche caratteristiche siano presenti, all’interno di ciò che inizia e termina la propria vita come un dittero, o in altri termini, una mosca (potremmo addirittura definirla cavallina…)
sottosuolo
L’invisibile giardino dei divertimenti sotto la città più affollata dell’America Latina
Generalmente quando tre voragini profonde 35 metri fanno la loro comparsa nel bel mezzo di un sovraffollato distretto finanziario, non è l’inizio di un buon capitolo nella storia urbana di una grande capitale nazionale. Soprattutto quando, come nel quartiere denominato Santa Fe di Città del Messico dal nome di un antico ospedale del pueblo, oggi poco più che un rudere, tale faccenda si palesa nel bel mezzo nella piazza abbandonata intitolata a Guillermo González Camarena, ormai da tempo utilizzata dagli impiegati dei moltissimi uffici circostanti al fine di parcheggiare abusivamente le loro automobili. Fortuna quindi che per tali veicoli, dopo una precisa segnalazione dell’amministrazione locale, un’altra collocazione fosse stata trovata, prima che il suono delle ruspe e dei martelli pneumatici potesse iniziare a diffondersi nell’aria. Perché già, ho mancato di evidenziare fino a questo punto la maniera in cui il “disastro”, inteso come punto di rottura con le aspettative o le condizioni operative pregresse, sia in effetti la diretta risultanza di un preciso accordo tra la città e il settore privato, o per essere più precisi i due importanti conglomerati Gruppo Carso e Copri, previo coinvolgimento degli studi architettonici messicani KMD e Arquitectoma. Per la creazione di un qualcosa che in tutta l’area culturale nordamericana, ma anche nel resto del mondo, nessuno aveva mai tentato con le stesse identiche modalità: la creazione di un centro commerciale sostenibile, dall’impatto ambientale contenuto e al tempo stesso, incredibile a dirsi, posizionato per almeno il 90% al di sotto del livello del manto stradale cittadino. Come una stazione della metropolitana ma con più marmo di pregio, negozi e soprattutto, senza SEMBRARE una stazione della metropolitana. Proprio grazie al particolare accorgimento nato dalla collaborazione dalle due figure dei progettisti principali dei rispettivi studi Francisco Martín del Campo e Jose Portilla Riba: i colossali lucernari a pianta circolare dal diametro di circa 30 metri ed ancor più profondi, con la forma approssimativa di un cono rovesciato in grado di ricordare, per una mera coincidenza, l’esatta forma dei gironi dell’Inferno Dantesco.
Nessuna punizione o diabolica presenza nel fondo della struttura inaugurata a maggio del 2014 con il nome stranamente anglofono di Garden Santa Fe, bensì un luogo di ritrovo “pubblico ancorché privato” dalla straordinaria luminosità e circolazione dell’aria nonostante il posizionamento, proprio grazie alla totale trasparenza della copertura interna delle suddette voragini, con un complesso sistema di vetri sovrapposti e apribili che bloccano l’ingresso dell’acqua durante la pioggia ma non l’ossigeno di ricambio. Nati, secondo un aneddoto raccontato da Martín del Campo, proprio a seguito della caduta accidentale di un mattone ad opera di un operaio distratto durante la costruzione, lasciando scaturire l’intuizione di quanto potesse risultare utile un tale accorgimento, nell’incrementare il già notevole eclettismo funzionale di un simile spazio ad uso commerciale. Chi avrebbe mai voluto visitare, d’altra parte, gli oltre 90 negozi disposti nei 12.000 metri quadri del nuovo ambiente, se la sensazione restituita fosse stata quella di trovarsi all’interno di una prigione sotterranea del Medioevo…
Il fragile decoro metropolitano di una casa inesistente
Lord Savington calcò meglio il suo cilindro con un fiero gesto della mano destra, mentre aggrottando le sopracciglia rivolgeva una domanda al giardiniere Adam della sua tenuta, fabbro a tempo perso, che l’aveva accompagnato nel corso di un così strano e disdicevole frangente: “Che cosa intendi, questa porta non ha neanche la serratura?” Gli uccelli cantavano tra gli alberi della tranquilla Leinster Garden, strada in stile vittoriano posta a costeggiare il lato settentrionale di Hyde Park, graziata dal silenzio che soltanto un quartiere di abitanti facoltosi poteva avere verso i mesi di luglio ed agosto, quando la maggior parte di loro si era spostata in campagna o verso altre località distanti, abituali luoghi di ritrovo dell’alta società londinese. “Signore, mi dispiace ma sospetto che si tratti di uno scherzo dell’agenzia immobiliare. Sono mesi che cerca una seconda residenza da utilizzare nel corso dei sopralluoghi all’interno della city, e tutti sanno cosa pensa delle perdite di tempo e del suo corrispondente presso di loro, a seguito di del vostro alterco all’ippodromo di Sandown Park durante la corsa del 1836. Se si tratta davvero di una così splendida occasione, perché non ha mandato qualcuno ad accoglierci, stamane?” Ora alcuni ragazzi di strada, provenienti da un vicolo laterale, si erano assiepati all’altro lato del marciapiede, probabilmente richiamati dallo sferragliare del grosso paio di tenaglie portato da Adam per varcare eventuali usci recalcitranti sulla loro strada: “Del resto l’avevamo anche sospettato…” Quando a un tratto, costui tacque. Perché guardando negli occhi il suo datore di lavoro, aveva scorto quella luce particolare che indicava il punto di non ritorno, l’attimo in cui Lord Savington aveva scelto che non sarebbe tornato indietro a nessun costo, dimenticando ogni possibile implicazione ulteriore o eventuale conseguenza. “Passami gli attrezzi del mestiere, per favore; credo di aver sentito un suono in lontananza e c’è qualcosa che non torna” Un boato riecheggiò tra le colonne vagamente neoclassiche e nell’aria tremula per il calore, mentre un individuo dal bastante rango, come raramente capitava, faceva valere i privilegi e il vasto spazio di manovra derivante dalla propria posizione. Quindi un secondo e un terzo: adesso innanzi agli occhi rassegnati del compunto dipendente, l’uomo stava percuotendo selvaggiamente il pannello in rovere del varco, che iniziava a creparsi. Adam ebbe appena il tempo di gettare uno sguardo all’indirizzo dei ragazzini, che ormai sorridevano come delle jene dell’Africa Nera, descritte negli articoli su David Livingstone sopra le pagine dei tabloid. Quando voltandosi di nuovo, vide che la porta si era aperta, il suo Lord scomparso e benché stentasse a crederci, al di là di essa non ci fosse alcunché di nulla. Niente pavimento, ne pareti o soffitto, neanche l’ombra di una luce artificiale. Solamente uno spazio vuoto, apparentemente sospeso tra cielo e terra, occupato da vagheggianti volute di vapore e il suono distante di un treno. “Si-signore?” Gridò Adam dentro il valico di un’altra dimensione. La sua voce riecheggiava rimbalzando sulle pareti distanti…
La leggenda dei numeri 16, 17 e 17a di Leinster Garden è una di quelle particolari storie londinesi che, ripetute attraverso le generazioni, sembrano arricchirsi di ulteriori aggiunte o corollari, conquistando un posto di rilievo nella fantasia popolare della collettività. Si narra di consegne indirizzate verso un tale luogo, da parte fattorini destinati a vivere il significato più profondo di quel termine: “perplessità”. O di raccolte fondi gestite da personalità troppo insistenti, per il quale veri e propri ricevimenti furono indirizzati oltre queste mura, con dozzine d’invitati condannati a rimanere innanzi, interrogandosi sui meriti residui della propria sanità mentale. Per non parlare di quella volta in cui un giornalista dei nostri giorni alla ricerca, chiedendo ai due gestori degli hotel sorti in epoca contemporanea ai lati delle case misteriose, si sentì rispondere che entrambi credevano facesse parte dell’altrui complesso, stranamente silenzioso non importa in quale mese dell’anno. Cosa inspiegabile per molti residenti e non, finché la diffusione delle foto satellitari scattate per quel fenomeno tecnologico che è Google Maps (o Earth che dir si voglia) non avrebbero offerto una nuova prospettiva all’uomo della strada. Capace di rivelare come simili facciate nascondessero, nei fatti, nient’altro che una voragine profonda e tenebrosa. Verso le viscere segrete di un sottosuolo urlante!
Lo sforzo pluriennale per salvare il coniglietto più grazioso degli Stati Uniti
Nelle antiche praterie del Northwest americano, dove il vento del Pacifico fa muovere i cespugli di artemisia producendo un suono che arricchisce le terse giornate della primavera, che cosa crea lo stato di diritto e di appartenenza? Forse il desiderio dell’agricoltore, che espandendo l’area ricoperta dalle sue coltivazioni, esprime il senso subitaneo del possesso e il suo diritto economico sulla natura. Oppure a tutti quei coyote, linci, coguari e lupi, che incuranti delle ultime propaggini delle tentacolari comunità umane, continuano a fare ciò che gli è sempre riuscito meglio: dare la caccia a qualsivoglia cosa sia abbastanza piccola, e indifesa, da poter costituire il pasto di un finire di giornata. Ma il vero spirito della distesa, se vogliamo, non dovrebbe appartenere proprio a coloro che senza le erbe, ed i cespugli, e la particolare composizione di un simile suolo, sarebbero ben presto destinati a scomparire… Quei minuscoli, morbidi e graziosi roditori, che al nome scientifico Brachylagus idahoensis preferiscono, probabilmente, il nome maggiormente accattivante di coniglio pigmeo nordamericano. Che non è “proprio” a rischio d’estinzione (dopo tutto, avete ben presente quanto simili animali siano bravi a riprodursi) benché una specifica popolazione, completamente isolata dal resto della specie sin dalla notte dei tempi, abbia sfiorato lo stato irrimediabile della non-esistenza, a seguito del periodo in cui si era ridotta a una trascurabile manciata d’esemplari. Certo, esistono animali che riescono a trovare il modo di adattarsi. Ed altri che semplicemente, non possono farlo, almeno senza l’assistenza di colui che è stato in grado di costituire l’origine, e la soluzione di ogni problema.
L’uomo, chi altri. Eppure sarà sorprendente apprenderlo, lo sforzo compiuto dall’inizio degli anni 2000 per tentare di salvare la sottospecie del coniglio pigmeo del bacino della Columbia, primariamente concentrato nella parte statunitense di quel territorio, rappresenta uno dei maggiori successi in termini di conservazione faunistica delle ultime generazioni. Spesso paragonato, e nei fatti capace d’includere soluzioni simili, a quello del panda gigante in Cina, ormai da tempo ritornato a illuminare i boschi di bambù dell’Asia con la sua riconoscibile livrea bianca e nera. Niente di paragonabile, s’intende, all’umile aspetto del suo lontanissimo collega nordamericano, di un color marrone uniforme e dimensioni che soltanto raramente superano i 30 cm di lunghezza e 500 grammi di peso (generalmente nella femmina, lievemente più grande) rendendolo essenzialmente questo batuffolo straordinariamente soffice e capace di entrare nel palmo di una mano. Fierezza contro grazia, possenza nel difendere i propri diritti con gli artigli d’orso, dinnanzi alla capacità di sobbalzare pochi centimetri alla volta, sino ai sicuri recessi della propria ragguardevole tana. Questo poiché il coniglietto pigmeo risulta essere, tra tutti i lagomorfi del Nuovo Mondo, una delle due uniche specie capaci di scavare la propria tana. Un adattamento probabilmente nato dall’assenza di adeguati architetti e successivi proprietari passati ad altro di possibili recessi sotterranei, dove crescere al sicuro i cuccioli e ritirarsi per la sera. Il che comporta alcuni impliciti vantaggi, come la possibilità di disporre di una vera e propria rete sotterranea per gli spostamenti, capace di coinvolgere sino a una decina di abitanti adulti. Utile a spostarsi tra le differenti aree di raccolta e immagazzinamento del cibo. Nonché funzionale a un fondamentale obiettivo, da queste parti: offrire scampo dai frequenti, e talvolta devastanti incendi che caratterizzano un così secco e sterminato bioma d’appartenenza…