Nessuno nella società di oltre un milione d’individui ricordava, esattamente, quando e come un tale oggetto della misteriosa Provvidenza avesse avuto modo di palesarsi. Un pezzo verticale, come un palo conficcato in terra (se terra potevano chiamarsi, i cumuli di cadaveri e detriti ai margini della comunità perduta) destinato ad invitare le operose moltitudini verso… Qualcosa. Così un giorno dopo l’altro, poco a poco, un maggior numero d’individui iniziò a salire sopra la colonna della Fame. E poi da lì, all’interno del pertugio, di cui soltanto alcuni, tra gli anziani membri, sembravano riuscire a ricordare la funzione. E fu così che una alla volta, lasciammo il buio e facemmo la promessa lungamente attesa: mai più, le mandibole dei nostri fratelli avrebbero assaggiato il sapore della propria stessa carne & sangue. Da oggi, eravamo nuovamente libere. La foresta stessa, avrebbe temuto nuovamente la nostra venuta.
Luci ed ombre, tenebre o radici, il peso dei trascorsi che impietosamente grava sulle prossime generazioni, ancora e ancora. Finché nulla più, di umano, possa sopravvivere immutato al flusso degli eventi. Oppure uno, solamente: la Caduta. Nella tenebra di un buco, orribile pertugio, orrore a seguito del quale vite sufficientemente piccole non avranno fine, ma verranno totalmente trasformate. Verso un fato… ignobile, ma duraturo. O addirittura eterno, se “soltanto” le giuste condizioni avessero trovato il modo di durare in extremis, senza l’intervento risolutivo dell’uomo. Sto parlando di… Golconda, Centralia, Pripyat. E adesso, Templewo, Międzyrzecz, Polonia occidentale. Con lo sguardo rivolto in direzione del vetusto bunker Obiekt Specjalny 3003, quasi completamente sepolto dalla vegetazione, che qui sorgeva nella metà degli anni ’60 con il fine originario di custodire, lontano da occhi indiscreti, parte dei preziosi armamenti nucleari dell’Unione Sovietica. Finché qualche decade dopo, rimossi tali orpelli, non avrebbe avuto luogo l’inarrestabile processo di trasformazione, che noi tutti ben sappiamo appartenere al mondo delle cose naturali e qualche volta, artificiali. Tale luogo ricompare dunque nelle cronache attorno all’inizio degli anni 2010, nel corso di un progetto scientifico per conteggiare i pipistrelli che svernavano all’interno di una simile caverna costruita dall’uomo. Se non che i naturalisti incaricati, procedendo in tale opera, non scoprirono qualcosa di assolutamente inaspettato: la colonia, in apparenza totalmente normale di Formica polyctena (specie appartenente al gruppo informale delle F. Rufa o come siamo soliti chiamarle informalmente, formiche rosse) situata in prossimità dell’ingresso principale, che si dimostrava invece possedere, in posizione speculare, una versione assai più cupa e desolate della “stessa” cosa. Già perché i bunker tendono a possedere dei pertugi verticali, noti generalmente come condotti di ventilazione. Che oltre a far passare l’aria, possiedono l’imprescindibile caratteristica di lasciar cadere verso il basso le formiche, senza che quest’ultime possano in seguito, sperare di far ritorno alla superficie. Così nel giro di una quantità misteriosa di stagioni, le operaie appartenenti alla comunità superiore erano cadute una dopo l’altra in quel pertugio. Ma una volta nella stanza sottostante, piuttosto che arrendersi, avevano deciso di fare il possibile per sopravvivere. Arrivando a mangiarsi a vicenda, quando necessario…
Il caso del bunker di Templewo fu lungamente discusso a partire dal 2013, quando alcuni articoli scientifici iniziarono ad essere scritti sull’argomento. É in effetti piuttosto raro che una qualsivoglia specie di formiche scelga di sopravvivere nell’ambiente di una caverna, dove le fonti di cibo risultano essere semplicemente insufficienti per un gruppo di esseri che sono soliti impiegarlo, nella maggior parte, proprio per innalzare la temperatura della colonia quando incapaci di trarre godimento dal calore e dalla luce del sole. Così che quando succedere, nella maggior parte dei casi, gli imenotteri eusociali per eccellenza scelgono di stabilirsi in prossimità dell’ingresso, affinché risulti possibile effettuare frequenti spedizioni verso la natura circostante, per riportare alla base copiose quantità di melata, il prodotto collaterale degli afidi che tanto spesso, sono il principale mezzo di sostentamento ecologico di simili creature. Se non che sussiste il caso, come ampiamente citato dal naturalista Wojciech Czechowski (e relativo team) nel suo articolo sull’argomento del 2016, di colonie capaci di sopravvivere nelle circostanze più bizzarre, quali la carrozzeria di un’automobile, una scatola metallica dotata di un solo ingresso o tra le rugose increspature dei funghi giganti della specie Sparassius crispa. Qualcosa di simile, nei fatti, a quanto messo in opera dalle esiliate della brulicante città d’ingresso, se non che questa la definizione di “colonia” possa ben difficilmente definirsi adeguata, in senso scientifico, a definire l’infernale condizione del suo sfortunato vissuto verticalmente sottostante. Come osservato dagli scienziati, infatti, lungi dal costituire le comuni strutture sociali e abitative della loro specie, le formiche perennemente affamate e prive di speranze di salvezza si erano nondimeno impegnate a radunare dei grandi cumuli di sporcizia e cadaveri delle proprie stesse simili, dai quali attingevano come principale e quasi unica fonte di cibo, fatta eccezione per gli altri insetti precipitati all’interno del tubo di ventilazione. Una questione facilmente provata dalla presenza di minuscoli morsi sopra ciascun cadavere mentre fu molto facile prendere atto di come nessuna di loro, nei fatti, riuscisse a camminare sulle pareti scrostate ed il soffitto della stanza sotterranea, facendo in tal modo ritorno alla luce della speranza ed un ritorno a condizioni di sopravvivenza degne di essere chiamate tali. Ma il progressivo decesso delle formiche, nei fatti, non causava il termine di un simile orrore, semplicemente perché le loro sorelle soprastanti, in maniera pressoché continua, continuavano a precipitare attraverso l’apertura del tubo verticale. Proprio per questo Czechowski e colleghi, ritornati presso il bunker di Templewo all’inizio dello scorso ottobre, hanno scelto di porsi la fatale domanda: “Siamo sicuri che non sia nostra responsabilità, di fronte all’equilibro stesso dell’Universo, fare un qualcosa capace di mettere fine ad un simile ciclo di sofferenza e crudeltà?” Dopo tutto, ancora una volta era senz’altro colpa dell’uomo, così…
Così giungiamo, finalmente, al nuovo studio pubblicato il 31 ottobre dalla stessa squadra d’esperti, in cui si racconta quanto era avvenuto, all’insaputa delle cronache, durante la loro originaria visita al bunker verso il settembre del 2016. Ovvero l’accurata disposizione di un pezzo di legno, nient’altro che un’asse levigata, in una posizione strategica che potesse permettere alle formiche di risalirla, raggiungendo in tal modo un’insperata possibile via di fuga. Iniziativa non particolarmente “scientifica”, forse (dov’era il clinico disinteresse verso il benessere, dove l’inusitata crudeltà di osservare il corso spietato degli eventi) ma certamente degna di concedere loro l’accesso a un temporaneo, o per quanto possiamo saperne, eterno paradiso delle circostanze.
Nel silenzio reverenziale di chi torna per conoscere l’epilogo di un tale gesto, dunque, gli scienziati hanno aperto nuovamente la porta principale dell’Obiekt Specjalny 3003. E discendendo le anguste scale, sono tornati presso il luogo dell’originale “misfatto”. Soltanto per scoprire, con un sentimento d’istintivo sollievo e gioia, che niente più si agitava nelle tenebre dello stanzino perduto. Fino all’ultimo esemplare di formica perduta era riuscita a fuggire, mentre neanche del formicaio soprastante, le cui operaie camminavano anche centinaia di metri allo scopo di trovare il cibo, restava nessun tipo di traccia. In altri termini, esse stesse erano tornate libere, forse dal bisogno istintivo di rimanere il più possibile vicine ai propri fratelli e sorelle condannati. Una scelta, questa, che potremmo considerare straordinariamente “umana” dal nostro punto di vista e che dovrebbe farci riconsiderare, almeno in parte, la nostra presunta posizione di preminenza nell’ordine fondamentale della Natura.