Il timbro univoco del pane creato dagli artisti impavidi di Samarcanda

In una storia popolare molto amata in Uzbekistan, un potente khan straniero decise di non poter fare a meno di una particolare pietanza che aveva assaggiato durante una delle sue campagne. Ragion per cui lasciando la città che in epoca ellenistica veniva definita Markanda, prese al suo servizio dei fornai locali, dando ordine che questi producessero per lui il caratteristico non, prodotto lievitato dal sapore inconfondibile, la forma iconica ed un’inspiegabile capacità di rimanere fresco per giorni, se non addirittura settimane. Una volta rilevato che costoro, tuttavia, non riuscivano a replicare in modo puntuale tali caratteristiche, egli diede l’ordine che la farina e gli altri ingredienti fossero trasportati direttamente dalla capitale fino ai treni di rifornimenti del suo possente esercito. Ma quando il risultato si dimostrò di nuovo deludente, ordinò che venisse fatto lo stesso con l’acqua. Al che il capo della delegazione si trovò a dover ammettere: “Mio signore, è per noi impossibile ricreare quel pane, poiché l’aria stessa di Markanda è uno dei suoi ingredienti. E l’aria non può essere trasportata.” L’epilogo è diverso in base ai narratori della vicenda. Secondo alcuni, il protagonista era l’Emiro di Bukhara, che ammettendo la propria sconfitta decise a questo punto di lasciare i liberi i fornai, perché tornassero a lavorare in patria. Secondo altri, invece, si trattava del conquistatore turco-mongolo Tamerlano. Che irritato dalla situazione, mise a morte i prigionieri assieme alle loro intere famiglie.
Di sicuro, un racconto cautelativo utile a mettere in guardia verso gli eccessi dell’ambizione umana. Ma anche un ottimo strumento di marketing connesso al passaparola, per far diffondere a macchia d’olio il mito di un sapore indissolubilmente collegato all’antica e redditizia rotta della Via della Seta. Il simbolo completamente commestibile di una ricca eredità culturale. Ed un ingrediente irrinunciabile, di qualsiasi pasto preparato per un’occasione conviviale da condurre entro il perimetro del dastarkhwān, la tovaglia disposta in terra sopra cui si è soliti riunirsi per tenersi in forza ed appropriatamente nutriti. Fin dall’epoca delle tribù nomadi lungo le steppe sconfinate, e successivamente al momento nella Storia in cui gli insediamenti cominciarono a coltivare il grano, mentre i primi lieviti venivano importati, probabilmente dall’Egitto come avvenne per il resto dei gruppi umani coévi. Dando vita ad una pletora d’interpretazioni differenti sulle fogge e aspetti che poteva prendere quel cibo sublime, portatile, conservabile, nutriente. Come quella piatta e larga, tipica del cosiddetto naan o non, la riconoscibile focaccia dell’Asia Meridionale. Una descrizione che comunque costituisce soltanto una parte della storia, se è vero che nel solo territorio uzbeko esistono una pletora di versioni differenti dello stesso concetto di base, capaci di dar spazio a particolari aspetti e particolarità del preparato di partenza collegato in questi luoghi a numerose credenze e tradizioni popolari. Varie e diversificate, come i paesaggi naturali delle 12 province di questo vasto paese…

Il non di Samarcanda protagonista della storia d’apertura, ad esempio, è un prodotto di dimensioni medie relativamente alto, riconoscibile dal bordo lucido e coperto al centro di semi di sesamo o altri simili prodotti vegetali. Celebre la scena, tra i turisti, dei fornai specializzati che lo attaccano alle pareti di terracotta precedentemente inumidite all’interno del forno tandoor, con acrobatiche e rischiose capriole all’interno del foro spalancato come una botola al centro della propria cucina. Altrettanto popolare e rinomato, quello piatto di Kokand, da circa 30 cm di diametro e lasciato lievitare per un tempo più breve, finemente decorato grazie all’uso dello stampo in legno checkich, riportante figure geometricamente simmetriche o il marchio del produttore. Un’apposizione nei fatti funzionale anche allo scopo di bucare l’impasto soprattutto nella parte centrale, così da impedire a quest’ultimo di sollevarsi eccessivamente, con la finalità probabile di funzionare come piatto per la pietanza principale. Altri esempi possono includere il non di Tashent, più leggero e caratterizzato dalla presenza di una numerosa quantità di bolle d’aria; o ancora quello della stessa Bukhara, creato con un lievito speciale che ne massimizza ulteriormente la durata, permettendo ai pastori di portarlo con se durante le proprie trasferte sulle alture montane. Trasferendo dunque la nostra attenzione alle specifiche tipologie di ricette, abbiamo in aggiunta all’obi non (comune e lievitato con acqua), quello della festa detto patyr non, con burro, yogurt e latte all’interno. Ed una versione ancor più ricca d’ingredienti pregiati, impreziosita dalla più fine ornamentazione, riservata unicamente ai membri di famiglie nobili o la classe dirigente degli emirati.
Indipendentemente dallo strato sociale di appartenenza, ad ogni modo, il pane uzbeko mantiene la sua posizione di pregio ed alta considerazione tradizionale, al punto da essere parte integrante di molti rituali facenti parte della vita delle persone. Un’usanza matrimoniale diffusa in buona parte del paese, a tal proposito, prevede che gli sposi consumino una parte di una singola focaccia prima della cerimonia, per poi finirla il giorno dopo come loro primo pasto in qualità di famiglia diventata finalmente unita. Mentre alla partenza di un figlio per svolgere mansioni militari o studiare all’estero, i genitori sono soliti concedergli un morso di un non speciale, che verrà successivamente fatto seccare ed appeso all’interno della cucina. Nella credenza simbolica che sarà a questo punto il pane stesso a proteggere il proprio caro, affinché possa tornare a completare la colazione. Il rispetto per tale cibo intramontabile, d’altronde, è totale, al punto che disporre una focaccia in posizione capovolta viene considerata un’offesa mortale nei confronti di coloro che hanno lavorato per produrla. Mentre nel caso in cui un pezzo dovesse cadere in terra, è considerato doveroso raccoglierlo e disporlo tra i rami degli alberi, pronunciando la frase di circostanza “aysh Allah“, ovvero: il pane di Allah. Severamente proibito, in conclusione, è tagliare il pane con un coltello, poiché quest’ultimo è concepito per essere strappato esclusivamente a mano. Un gesto amichevole che costituisce tradizione conviviale nei confronti degli ospiti e convitati di turno.

Viaggiare è spesso un’esperienza che coinvolge più sensi allo stesso tempo ed in nessun caso ciò è maggiormente palese, rispetto al momento in cui si visita un luogo che vende il pane uzbeko. Come il Bazaar di Chorsu a Tashkent, antichissimo luogo d’incontro oggi sormontato da una cupola moderna di 350 metri bianca e azzurra, ornata come una ceramica di pregio proveniente da paesi lontani. L’opportunità, per il turista, di provare numerose varietà di non allo stesso tempo, in preparazione ad un itinerario che dovunque possa mai portarlo, vedrà sempre quel prodotto dominare la sua tavola all’interno di ogni ristorante. Poiché il pane, in Uzbekistan è vita. E la vita stessa riesce a trarne beneficio in qualsiasi momento, sia dal punto di vista del consumatore che il produttore.
A meno che il formidabile committente del pasto non abbia il nome di Timur lo sciancato, principe di Transoxiana e diretto discendente di Genghis Kahn in persona. Che condivideva con l’insigne antenato molte qualità latenti. Ma giammai, a quanto dicono, la pazienza.

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