I coraggiosi progettisti che non avrebbero affidato il compito di un cavallo a una locomotiva

Quattro fischi risuonarono all’unisono, sotto il cielo plumbeo di un ottobre carico di aspettativa. Quattro fischi e un singolo nitrito. Giacché alcuni credevano, non senza un certo spazio all’ottimismo, che proprio quest’ultimo avrebbe avuto l’opportunità di prevalere. D’altra parte negli esperimenti scientifici, il controllo è un elemento il cui compito è restare indipendente dagli effetti di una specifica serie di agenti o variabili soggetto di approfondimento. La sua inclusione permette di disporre di un riferimento da confrontare con il resto dei soggetti, assicurando la correttezza del risultato finale. In quel fatidico 6 ottobre 1829, il matematico ed inventore Thomas Shaw Brandreth di Liverpool premiato in precedenza dalla Royal Society non sembrava rendersi conto di essersi accaparrato tutte le caratteristiche non propriamente invidiabili di quel ruolo. Come partecipante a pieno titolo alle famose Prove di Rainhill, un concorso indetto dalle ferrovie inglesi su suggerimento del grande ingegnere vittoriano George Stephenson, al fine di determinare quale sarebbe stata la locomotiva degna di proiettare il Regno Unito nel nuovo secolo dei trasporti. Un dispositivo a vapore… Davvero? Va considerato, a tal proposito, come ci troviamo ancora in un’epoca in cui l’approccio funzionale a muovere grandi quantità di materiali o persone da un punto all’altro del paese non era stato chiaramente definito. Tanto che per il tratto tra Liverpool e Manchester era stata lungamente considerato, come soluzione, l’impiego di motori a vapore fissi con lunghe funi utilizzate per tirare i vagoni. E non tutti pensavano che l’impiego di un potente Meccanismo fosse la perfetta soluzione ad ogni problema. “Dopo tutto” affermavano i molti sostenitori di Brandreth e della sua idea: “Non è forse vero che il cavallo è stato per millenni il secondo miglior amico dell’uomo? Chi meglio di lui, potrebbe allontanare il faticoso cambiamento di una sferragliante Tecnologia…” Così dicevano e guardavano, con malcelato orgoglio, un oggetto tanto ingegnoso quanto surreale nel suo contesto. Da ogni punto di vista rilevante, una compatta carrozza ferroviaria, sul cui bancale aperto agli elementi campeggiava un pratico recinto quadrangolare. All’interno del quale, stava salendo in quel momento un ottimo esemplare equino con il chiaro atteggiamento di un destriero pronto alla sfida, posizionandosi sopra quello che potremmo definire in chiari termini la ragionevole approssimazione di un tapis roulant. Ecco perché pur non essendo all’ippodromo, era stato fatto capire al quadrupede che avrebbe dovuto presto esprimere tutta la sua considerevole potenza, trasmettendo l’impulso della corsa alle resistenti ruote interconnesse agli assi del rullo. Il fatto che difficilmente la spettacolare Cycloped, come era stata chiamata l’invenzione, avrebbe potuto battere anche la più lenta delle quattro locomotive schierate in quel frangente da alcuni dei più rinomati ingegneri d’Inghilterra, tuttavia, non sarebbe neppure entrato nel calcolo dell’equazione. Visto come ad alcuni chilometri dalla partenza, la superficie mobile del mezzo si sarebbe rotta, lasciando cadere rovinosamente il cavallo nell’intercapedine sottostante…

Sopra: Cycloped, 1829. In apertura: Impulsoria, 1850

Eppure quella, nonostante i presupposti, non fu la Fine. Presumibilmente neanche dell’animale in questione, visto come gli articoli dell’epoca sulla prevedibile vittoria a Rainhill della locomotiva Rocket, progettata dallo stesso Stephenson, non parlino di alcun decesso animale nello svolgersi di tale evento. Nel frattempo all’altro lato dell’Atlantico, entro il settembre dello stesso 1829, l’ingegnere civile Christian Edward Detmold si era avvicinato alla Ferrovie della South Carolina con un’interessante proposta. Avendo estensivamente visitato e preso atto delle innovazioni utilizzate nei territori del Vecchio Continente, egli aveva infatti rilevato come l’uso del cavallo, e non quello del carbone, avrebbe determinato l’andamento della Nuova Era. Risultando tanto convincente che il suo Olandese Volante, concepito su un principio non dissimile dal Britannico Cycloped, sarebbe riuscito a raggiungere le persone giuste nel corso di una dimostrazione, finendo per entrare in servizio su una breve e pianeggiante sezione di 6 Km della ferrovia. Il mezzo spinto dall’energia muscolare a rotazione di un’intera stalla, difficile negarlo, vantava la capacità notevole di spostare da una tappa all’altra ben 12 passeggeri alla velocità di 12 miglia all’ora (19 Km/h) e poteva essere mantenuto in funzione con la spesa di pochi centesimi di fieno al giorno, contro i 6-7 dollari di carbone consumato da una delle nuove ed inaffidabili locomotive. Entro il gennaio del 1930, tuttavia, i dati raccolti sulle tempistiche e prestazioni del rullo semovente si sarebbero rivelati insoddisfacenti, tanto che lo stesso Detmold, nel suo ruolo di supervisore capo, avrebbe dovuto capitolare supportando la sostituzione con la prima locomotiva a vapore degli Stati Uniti, la Best Friend of Charleston. Una scelta destinata a rivelarsi, in ultima analisi, sfortunata: questo per il modo in cui a giugno dell’anno successivo il macchinista addetto a pilotarla, stanco di sentirne il fischio ogni volta che affrontava una salita, aveva messo un grosso pezzo di legno all’interno della valvola di sfogo d’emergenza, impedendone il corretto funzionamento. Fino alla tragica quanto improvvisa esplosione che avrebbe finito per costargli la vita.
Un destino tanto triste quanto ricorrente, a quell’epoca, e che avrebbe condotto a nuove implementazioni di sistemi validi a impedire il ripetersi di tali incidenti. Ma che ancora lasciava spazio di manovra ai cultori, imperterriti, del cavallo. Fu dunque questa volta un italiano, Clemente Masserano di Pinerol, a raccogliere nel 1850 la torcia dell’invenzione. Con la sua locomotiva denominata commercialmente Impulsoria, un tapis roulant dalle dimensioni maggiori (vedi illustrazione d’apertura) capace di ospitare un tiro completo di quattro cavalli, assieme a due addetti incaricati di controllarne il comportamento ed azionare, quando necessario, alcune funzionalità importanti. Il veicolo era infatti dotato non soltanto di un freno e la capacità di scollegare istantaneamente la trasmissione, permettendo ai cavalli di continuare a correre mentre la piattaforma cessava di spostarsi, ma anche di un sistema pienamente funzionale di marce, capace di aumentare il vantaggio al palesarsi di un’eventuale salita. La sua capacità, a quanto narrato dallo stesso inventore, poteva raggiungere il traino di ben 30 carrozze e benché durante le prove tecniche sulla tratta di Londra e South Western la videro impiegata per una soltanto, essa poté raggiungere la velocità non trascurabile di 11 Km/h sui 32 massimi stimati, con un dispendio energetico molto inferiore a quello di qualsiasi locomotiva. La strada per il successo era ormai chiara o almeno, così sembrava…

Il sistema del tapis roulant equino viene ancora oggi utilizzato occasionalmente in particolari contesti, come quello di chi ha necessità di spaccare in breve tempo una significativa quantità di tronchi. Simili macchinari, molto spesso, sono costruiti autonomamente dagli stessi utilizzatori.

Il problema era che ormai due decadi dopo le prove di Rainhill, la fondamentale diffidenza nei confronti delle macchine semoventi a vapore era ormai largamente decaduta. Tanto che un quotidiano dell’epoca scrisse con tono beffardo, a proposito dell’Impulsoria: “A questo si è ridotto il rinomato ingegno degli Italiani, il popolo che un tempo aveva dato i natali a Galileo Galilei […]”. Ed in effetti non è difficile comprendere perché la macchina che rappresentava il più assoluto perfezionamento di un settore fosse destinata a rivelarsi, innanzi alla realtà di un paese ormai già punteggiato dai pennacchi di vapore ad ogni immaginabile frangente, desueta. Ciò detto, un ultimo ed enfatico tentativo di riuscire a trovargli un mercato venne supportato, due anni dopo, presso la Grande Esibizione Mondiale di Londra, nel Crystal Palace. Ove il professore ed archivista genovese Andrea Crestadoro, trasferitosi a Manchester per riorganizzare la biblioteca cittadina, aveva presentato al pubblico una versione di Impulsoria ulteriormente migliorata nei suoi meccanismi e funzionalità. Alla quale, nonostante l’interesse sollevato tra i visitatori, non riuscì purtroppo di trovare un investitore. Molti cavalli, in quel fatale momento, percepirono una scossa nell’ambiente e il cambio sostanziale di un vigente paradigma. Per cui il loro futuro avrebbe visto soltanto tre possibili destini: il maneggio, l’ippodromo, il mattatoio. Poiché finché l’uomo vive in una società moderna ed industriale, gli animali che non servono dovranno perire. Questo vogliono le leggi della fisica applicate allo stile di vita, inclini alla conservazione ad ogni costo, persino innanzi allo splendore implicito dello stolido, del tutto inconsapevole sistema della Natura.

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