Gli alter ego dello pterodattilo capace di volare stabilmente in autonomia

In fondo, in campo ingegneristico, cos’è una coda? Nient’altro che la parte finale di un dispositivo aerodinamico, spesso corredata delle superfici di controllo necessarie a mantenerlo in assetto. Di sicuro una delle diverse soluzioni possibili, ma non per questo l’unica, o la migliore. Sono decollati nel corso della storia dei velivoli perfettamente funzionali, la cui stessa ragione d’esistenza pareva essere quella di sfidare il paradigma inveterato, proiettando i crismi progettuali oltre le vette della pura metafisica o teoria marginale. Alcuni di loro avevano tutti gli elementi dove ti saresti legittimamente aspettato di trovarli. Altri, invece…
Nel 1924 l’ormai quasi trentenne laureato capitano Geoffrey T. R. Hill era il tipo d’ingegnere che amava costruire in autonomia i propri modelli e molto spesso, pilotarli personalmente. Con una già fiorente carriera in qualità di pilota sperimentale della Royal Aircraft Factory dello Hampshire inglese (in seguito ribattezzata Estabilishment per non confondersi con “l’altra” RAF) in quel particolare momento della sua esistenza si trovò a decidere di averne avuto abbastanza. Del fatto di vedere tanti tra i suoi giovani colleghi e conoscenze professionali, per un singolo momento di distrazione, ritrovarsi a finire in stallo perdendo il controllo dei propri aeroplani, con l’unica possibile conseguenza di un rapido ed estemporaneo decesso. Come risolvere, tuttavia, un problema che c’era sempre stato fin dall’epoca dei fratelli Wright, come imprescindibile pericolo del volo a motore? Lui un’idea ce l’aveva e per quanto sovversiva, anche i mezzi creativi per riuscire a realizzarla: si sarebbe trattato del primo aereo inerentemente stabile della storia, ovvero un apparecchio in grado di tornare spontaneamente, se si fossero lasciati i comandi, in volo perfettamente stabile e livellato. E non stiamo parlando, per essere chiari, di una qualche forma di primitivo pilota automatico (troppo presto per questo) bensì una serie di forme e soluzioni costruttive basate sul bisogno, in ogni circostanza, di salvaguardare l’uomo in cabina prima che le prestazioni del suo falco di balsa e tela. Un ordinamento delle priorità che avremmo potuto definire, all’epoca, alquanto innovativo.
Ciò che in prima battuta fuoriuscì dal suo hangar, tuttavia, difficilmente avrebbe potuto essere definito come un “aeroplano”. Costruito con l’aiuto della moglie Minnie (!) e privo di un qualsiasi motore, esso costituiva per il momento un aliante finendo per assomigliare in più di un modo a quello che potremmo descrivere come un deltaplano moderno. Con le sue ali alte a freccia, l’elica spingente, la cabina compatta e la preannunciata, nonché determinante assenza di un retrotreno…

Il monoplano Pterodactyl IV avrebbe richiesto ancora, alquanto anacronisticamente per l’epoca, l’avvio manuale della propria elica spingente. Operazione non del tutto priva di pericolo, dovendo poi girarci attorno per raggiungere la cabina di pilotaggio.

Dovete considerare a tal proposito come in tale epoca anteguerra non ci fossero ancora stati Cheranovsky, Lippisch, Northrop, i fratelli Horton… Ed il concetto fondamentale di un’ala volante, ovvero il tipo di mezzo volante in cui ogni singolo elemento del profilo generasse portanza, era puramente esistito in forma di disegno teorico sui banchi di ancor più pioneristici innovatori. Ma ciò che Dunne e Junkers avevano soltanto teorizzato, il capitano Hill portò fisicamente sopra una collina a Brookwood e col permesso del proprietario terriero locale, un certo Mr Collinson, ci salì a bordo per lanciarsi giù col vento contrario di una giornata meteorologicamente problematica. Riuscendo nonostante questo a prolungare il proprio volo per 274 metri (le prototipiche 300 yard) che costituivano lo scoglio mentale oltre il quale avrebbe proposto la sua idea alla fabbrica della RAE ed attraverso quest’ultima, il Ministero del Volo. E fu così che entro il marzo del 1926 il Monoplano Hill, finalmente dotato di un motore Bristol Cherub da 32 cavalli, acquisì il nome metaforico di Pterodactyl, dando spettacolo di se durante un evento dimostrativo della RAF sopra Hendon, nella periferia londinese. Una delle soluzioni più innovative che includeva, destinate a diventare dei cardini della serie destinata a risultarne, era la presenza di superfici di controllo ibride tra elevatori ed alettoni, i quali azionati all’unisono avrebbero controllato la salita e la discesa, mentre sollevandosi e abbassandosi in opposizione avrebbero causato il rollio. In altri termini e col senno di poi, una sorta di elevoni ante-litteram, del tipo che oggi usiamo sugli aerei con configurazione a delta o le ali volanti. Una sua ulteriore invenzione fu inoltre l’aerofreno concepito per incrementare l’angolo di picchiata possibile, piuttosto che rallentare semplicemente il volo dell’aeroplano. Una prospettiva potenzialmente molto utile nel combattimento aereo. Così il piccolo pterodattilo del peso a vuoto di appena 207 Kg riuscì prevedibilmente a fare colpo, portando all’immediata ideazione da parte di Hill di tre varianti, con forme delle ali differenti ed un maggior numero di passeggeri possibili, il II, IIb e III. Ma la seconda iterazione giudicata degna di esser costruita dai suoi committenti sarebbe stata, invece, la numero IV, destinata a prendere la forma nell’anno 1931 di un monoplano a tre posti dotato di un motore a spinta più potente, l’Havilland Gipsy III da 120 cavalli, destinato a diventare il primo aereo senza coda in grado di compiere manovre acrobatiche come il volo invertito o la vite orizzontale. Suscitando tanto scalpore in questo modo, nonostante i punti deboli di un sistema di raffreddamento inadeguato e la poca visibilità verso il retro, da giustificare la creazione di un’ulteriore versione. Il che avrebbe infine portato allo Pterodactyl V del 1934, forse il capolavoro di Hill e la sua creazione in grado di sfiorare maggiormente da vicino la produzione in serie. Concepito in ogni suo elemento come un caccia, vista l’ormai incombente e percettibile vicinanza di un secondo conflitto mondiale, il velivolo era un sesquiplano, o biplano con ala sottostante di misura inferiore, dotato questa volta di elica trascinante convenzionale, capace d’eccellenti caratteristiche di maneggevolezza e prestazioni operative. Stabile, confortevole, ragionevolmente veloce (aveva raggiunto i 250 Km orari in picchiata) esso poteva inoltre volare a 10.000 piedi d’altitudine, costituendo un’utile piattaforma di ricognizione. Notevole anche la visibilità dei due uomini previsti a bordo in ogni direzione, complice l’assenza della coda, permettendo il montaggio di una mitragliatrice retroattiva particolarmente efficace. Tanto che per un fugace momento, il comando di stato maggiore britannico valutò l’ipotesi di formazioni miste con gli Pterodactyl a motore spingente di tipo VI, in cui questi ultimi avrebbero potuto far fuoco davanti, mentre i cugini con l’elica davanti sparavano all’indirizzo di eventuali inseguitori nemici.

Pterodactyl con motore spingente compete in velocità per una fiera aeronautica del 1931. Simili aerei venivano spesso associati ad altri mezzi sperimentali, come questo girocottero accompagnato, a sua volta, da un biplano di tipo maggiormente convenzionale.

Indipendentemente da simili visioni pindariche, che avrebbero potuto o meno funzionare contro gli agguerriti intercettori tedeschi, lo Pterodactyl costituiva in effetti in quel momento storico un esempio interessante di aeroplano. Che avrebbe potuto dare un contributo valido allo sforzo bellico, come del resto innumerevoli altre idee fuori dal coro, destinate di lor conto all’implementazione su larga scala. Una congiuntura che nel caso specifico, per varie e imponderabili ragioni, non ebbe tuttavia modo di verificarsi. Nessuna irrisolvibile o inerente se guardiamo la questione dall’interno, ma con una certamente più determinante: l’introduzione, nel coévo 1936, dell’ottimo caccia inglese Hurricane della Hawker, storica concorrente della RAE dove lavorava Hill. La cui concezione certamente più convenzionale non vantava forse gli stessi accorgimenti contro l’eventuale incidenza degli stalli causati da un errore umano; ma dopo tutto, chi aveva mai pensato che gli aviatori militari meritassero di essere tenuti al sicuro?
Nell’ultima parte della sua vita, destinata purtroppo a durare soltanto 60 anni, il capitano Hill ebbe dunque l’opportunità di assicurare almeno in parte la sua eredità. Donando personalmente il primo prototipo dello Pterodattilo al Museo della Scienza di Londra, mentre continuava a elaborare il suo concetto nelle due ambiziose iterazioni di un idrovolante ed un trasporto passeggeri transatlantico con cinque motori.
L’evoluzione del volo, tuttavia, aveva ormai preso un sentiero diverso. Morì nel 1955 nella contea di Wiltshire, non troppo lontano da Stonehenge. Un luogo conforme alle impreviste alterazioni del destino cosmico. Che tanto spesso sembrano determinare, obliquamente, le diramazioni dei sentieri dell’Esistenza.

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