Escursione cromatica sull’isola che mangia l’ocra del suo terreno

Dislocata orizzontalmente nello spazio in cui il golfo Persico si trasforma in quello dell’Oman, la grande isola a forma di freccia o delfino di Qeshm compare in alcune riprese dallo spazio della Nasa e dell’ESA, dedicate alla sfumature atipiche dell’entroterra e del vasto mare che la circonda. Eppure le guide turistiche spendono appena una manciata di paragrafi in merito a questa propaggine meridionale dell’Iran, riservando un’attenzione relativamente trascurabile alla sua storia, le attrazioni turistiche ed i tratti di distinzione del paesaggio. Questo perché nella stessa zona geografica, situata lievemente a nord-est e soli 8 Km dalla terraferma, emerge dalle acque un’altra terra di dimensioni assai più ridotte, ma tanto insolita e meravigliosa da essere più volte stata definita come la perla di questo spazio tra i mari, o ancor più accuratamente “gemma” per via del suo latente ed occasionalmente osservabile splendore. Garantito dalla presenza di una quantità di affioramenti di rocce vulcanoclastiche, evaporitiche e metamorfiche mescolate tra loro grazie all’attività tettonica del sale. Di una notevole cupola o diapiro, la cui parte emersa di 42 Km quadrati è gradualmente emersa nel trascorrere di molti millenni, prima di essere spianata dalla forza erosiva degli elementi. Ma non tutta allo stesso tempo e nello stesso modo, tanto da guadagnare un’aspetto tormentato che taluni definiscono marziano, altri semplicemente del tutto fuori dall’ordinario. Luogo naturalmente privo di vegetazione ed acqua potabile, tanto che quest’ultima vi viene trasportata artificialmente tramite un lungo acquedotto dalla costa iraniana, l’isola di Hormuz presenta l’unica “zona verde” di una foresta piantata artificialmente di mangrovie (Avicennia marina) in un qualche momento pregresso della sua storia contemporanea. Eppur da lungo tempo, essa rappresentò una provincia significativa dell’antico impero omonimo di Ormus, rimasto indipendente fino all’epoca medievale per la stessa ragione della già citata sorella maggiore altrettanto visibile dalle banchine dell’antistante città di Bandar Abbas: la collocazione strategica valida a farne un centro d’interscambio commerciale di alto livello, senza costringere le navi ad attraccare su una costa dalle condizioni politiche maggiormente imprevedibili ed incerte. Finalità d’altronde coadiuvata, nel presente caso, dalla popolazione necessariamente ridotta di un luogo tanto privo di risorse gastronomiche e fonti utilizzabili di ristoro. Fatta eccezione, in modo particolarmente distintivo, per la stessa terra su cui vengono poggiati gli stivali, adeguatamente processata e sottoposta a lavorazione, in modo da creare un condimento noto come soorakh o golak da mangiare spesso assieme al pane locale di nome tomshi, che significa “una manciata” (di qualcosa). Essenzialmente un ossido di ferro color ocra a base di ematite connotata dalla halogenesi, ragionevolmente atossico e dotato di un sapore a quanto pare memorabile e privo di termini di paragone. A patto di riuscire a superare le incertezze che derivano dall’utilizzare la vil terra a fini gastronomici, un obiettivo forse più facile da raggiungere in questo luogo rispetto a molti altri del nostro pianeta…

Gli spazi tendenti alla colorazione rossiccia delle alture di Hormuz paiono perennemente avvolte nella luce di un tramonto estivo. Accrescendo in modo significativo il fascino di simili vedute via drone.

Originariamente arricchitosi grazie al controllo dell’intera costa Umani, dinasti del regno di Ormus controllavano dunque all’apice del loro potere un longilineo territorio a meridione della Persia dell’Impero Safavide, facendo la spola tra Qeshm, Hormuz e le altre isole del vasto golfo d’Arabia. Uno status privilegiato che riuscirono a mantenere anche successivamente all’arrivo dei Mongoli verso la fine dell’XI secolo, possedendo le ricchezze necessarie a corrispondergli considerevoli tributi. Diversi furono, successivamente a quell’epoca, i celebri viaggiatori che parlarono delle meraviglie paesaggistiche di questo luogo, incluso il nostro Marco Polo nel 1290, il berbero itinerante Ibn Battuta nel XIII secolo e l’ammiraglio esploratore cinese Zheng He nel XV, che ne fece la sua destinazione nel terzo e ultimo dei grandi viaggi della flotta del tesoro della dinastia Ming. Riportando indietro oro, argento e la memoria di un popolo “Raffinato e splendido, di una ricchezza straordinaria e ben vestito anche nelle sue classi meno abbienti, con cappelli ed abiti di una considerevole eleganza.” Entro il secolo successivo d’altra parte, a causa della destabilizzazione derivante dalle lunghe guerre con gli emiri della dinastia Jabride per il controllo del territorio del Bahrain, l’indebolito impero di Ormus passò facilmente sotto il controllo dei portoghesi, che qui inviarono nel 1507 il rinomato comandante e conquistatore António Correia, accompagnato tra gli altri dal duca Afonso de Albuquerque, che qui costruì una poderosa fortezza con il nome di Nostra Signora della Concezione. Soltanto nel 1622, mediante l’impiego di una flotta mista Anglo-Persiana, l’isola passò di nuovo sotto la guida di una nazione di matrice mediorientale, il sempre più potente e vasto impero Ottomano.
Il tutto nell’indifferenza silenziosa di un paesaggio rimasto immutato nei trascorsi secoli, caratterizzato da zone costiere pianeggianti, con grandi spiagge ed alte colline frastagliate, la più elevata delle quali prende il nome di Dea del Sale raggiungendo i 186 metri sul livello del mare. Ornata delle consuete sfumature di scarlatto, giallo ed arancione, mentre in pianura è soltanto il primo di questi colori a diventare dominante, fino al caso particolarmente noto della cosiddetta “spiaggia rossa” dalla tonalità talmente accesa da non richiedere neppure la consueta ipersaturazione delle foto turistiche pubblicate su Instagram e Pinterest. Apparentemente infusa di un alone mistico senza tempo, il territorio si vede quindi arricchito di altri toponimi carichi di suggestione quali valle “dell’energia” (idealmente infusa di una carica eminente grazie ai propri contenuti minerali) o quella “delle statue” in cui l’erosione degli affioramenti minerali sembrerebbe aver prodotto attraverso le epoche la più fedele rappresentazione di animali, draghi o altre misteriose creature scavate dal vento. Uno dei luoghi maggiormente memorabili e che non possono assolutamente mancare in un giro turistico (quando aperta ai visitatori) resta tuttavia la grotta dell’arcobaleno, una rete di gallerie carsiche situate nella parte sud-est dell’isola, le cui pareti geologicamente sincretiche appaiono come un disegno dalle tinte pastello impreziosito di una miriade di minuscole stelle splendenti. Qualcosa, più di ogni altro aspetto descrivibile a parole, di senz’altro degno di restare per lungo tempo impresso nella memoria.

Questa caverna è tra i pertugi salini più lunghi e profondi al mondo, oltre a possedere un fascino visuale di altissimo livello. Ciononostante, sono relativamente in pochi ad aver avuto l’occasione di sperimentarla in prima persona.

Lungamente identificata come vera e propria meraviglia geologica del mondo, e per questo inserita ormai da decadi nell’indice dei geoparchi dell’UNESCO assieme al resto dello stretto di Hormuz, quest’isola notevole rimane relativamente poco nota nel novero delle mete collettive da vedere almeno una volta nella vita. Forse per la sua collocazione in un territorio politicamente e culturalmente disallineato, ma anche per la preferenza da parte della collettività dei viaggiatori a vedere qualcosa di costruito dall’uomo in epoche remote, piuttosto che l’opera incessante e mai davvero ultimata della natura. Eppure non c’è molto che le mani di abili artigiani possano riuscire a fare, per imitare le spropositate meraviglie che si concretizzano autonomamente, senza che nessuno debba essere coinvolto necessariamente nella loro fruizione. E d’altra parte non saremmo stati in molti, ad aspettarci che una tale unicità cromatica potesse derivare dal “semplice” sale. Che risplende sapido della spettacolare luce di seconda mano della Creazione.

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