Il paese orientale della Birmania è connesso nell’ideale comune a molte caratteristiche distintive, benché una in particolare sembri essere sfuggita nei secoli alla percezione della collettività distante: l’eccezionale abilità dei propri fonditori, che nel 1583 avrebbe portato il mercante veneziano in visita Gasparo Balbi a scrivere, nei suoi diari: “E nella grande sala [del sovrano] è presente una grande campana che abbiamo misurato, e scoperto avere una larghezza di sette passi e tre mani ed è completamente ricoperta di lettere, ma di un tipo che nessuna Nazione potrebbe mai riuscire a decifrare”. Un oggetto che nella realtà dei fatti il mondo non aveva semplicemente mai avuto modo d’immaginare, quando re Dhammazedi l’aveva fatto costruire esattamente 99 anni prima e che cinque lustri a quella parte, a causa della cupidigia di qualcuno, avrebbe cessato di esistere per gli occhi e le orecchie degli uomini a venire. Immaginate, dunque questa campana del peso di 180.000 viss, pari a 294 tonnellate, del tipo convenzionalmente definito con il termine giapponese di bonshō e concepita per essere suonata con il colpo di un letterale ariete vibrato dall’esterno, mentre resta statica in un tempio dedicato a celebrare la magnificenza dell’Universo. Così come la vide per la prima volta, a quanto si narra, il noto avventuriero e signore della guerra mercenario Filipe de Brito e Nicote, che attorno al 1590 si era ormai ritagliato un territorio sotto il suo esclusivo controllo nella regione meridionale di Syriam, oggi nota come Thanlyin. Finché al termine di una serie di feroci battaglie lungo il corso del fiume Bago, assistito da forze armate del regno di Arakan, non giunse presso la grande pagoda di Shwedagon, elaborando quel tipo d’idea in linea teorica priva di complicazioni, ma che tipicamente tende a portare dritti fino alla più assoluta dannazione: di lì a poco, lui e i suoi uomini avrebbero fatto rotolare l’imponente bottino di guerra giù dalla collina di Singuttara, per caricarlo laboriosamente su una chiatta precedentemente collocata lungo il corso del fiume Pazundaung. Con l’intenzione di trainarla fino a Syriam con la propria nave ammiraglia, per fonderla e ricavarne una quantità considerevole di bocche da fuoco. Se non che l’imponente orpello, semplicemente troppo pesante per il natante che doveva occupare, lo portò a disintegrarsi letteralmente di lì a poco, sprofondando sul fondo del fiume dove, si ritiene, potrebbe trovarsi ancora oggi. E questo fu l’epilogo, sostanzialmente, della nostra narrazione.
Se non che l’umana passione per ciò che è fatto di metallo e suona come il segno che dà inizio al giorno dell’Apocalisse, almeno in base all’ideale occidentale, non sarebbe certo cessato in quel frangente, portando ai reiterati sorpassi nei 600 anni successivi tra creazioni birmane, come la campana di Mingun da 88 tonnellate, ed altre giapponesi, vedi quelle del tempio Tōdai-ji, Chion-in e Shitennō-ji (44, 67, 114). Questo almeno finché nell’anno 2000 con la sua partecipazione inaspettata alla tenzone, il tempio cinese del Buddha delle Pianure Centrali – 中原大佛 (Zhōngyuán dàfú) famoso per la sua statua gargantuesca dell’Altissimo, non avrebbe infranto ogni record verificato: il risultato potete vederlo nel video di apertura, col turista che suona per tre volte la cosiddetta Campana della Buona Fortuna – 吉祥钟 (Jíxiáng zhōng) dietro il pagamento di 200 RMB (pari a circa 13 euro) composta di 116 ponderose tonnellate di materiale bronzeo, comunque poco più di un terzo della leggendaria opera rinascimentale di Dhammazedi. Il fatto da considerare è che il concetto stesso di campana d’Oriente, con la sua forma imponente e priva di batacchio, collocata direttamente in terra o su una bassa piattaforma rialzata, possiede margini di tolleranza assai maggiori su cosa fosse realizzabile in anticipo all’epoca moderna, anche e soprattutto per l’aspetto logistico della sua collocazione. Il che non avrebbe comunque impedito, ad una cultura in modo particolare tra tutte quelle situate oltre i confini d’Europa, di raggiungere dei risultati di portata simile ancorché non proprio equivalente…
La lunga storia della fonditura di campane in Russia può esser fatta risalire convenzionalmente fino all’anno 1.000, secondo l’ideale della religione ortodossa che non le vedeva usate regolarmente, al richiamo della congregazione una volta la settimana, quanto piuttosto nel caso del verificarsi di grandi eventi, oppure per dare l’allarme in caso d’incendi, disastri naturali, incombenti battaglie. Forse in quest’ottica nell’importante complesso amministrativo e religioso del Cremlino venne decretato almeno dal 1600 che dovesse trovar posto la singola campana più imponente del vasto impero, un oggetto di “appena” 18 tonnellate. Questo almeno finché verso la metà del secolo, per un incendio, non precipitò a terra dalla cima della Torre di Ivan il Grande (Колокольня Иван Великий – Kolokol’nya Ivan Velikiy) frantumandosi in una miriade di pezzi. Il che avrebbe portato a metterne assieme una seconda entro il 1655, usando in parte i pezzi fusi del precedente strumento gigantesco, che avrebbe raggiunto la cifra certamente più soddisfacente di 100 tonnellate di peso. Almeno finché un secondo incendio, nel 1701, non avrebbe portato anch’essa alla totale e reiterata devastazione. Così che anni dopo l’imperatrice Anna Ivanovna, nipote di Pietro il Grande, per celebrare il suo accesso al trono nel 1730 decise di accantonare ogni possibile esitazione, facendo costruire il più imponente apparato di rimpiazzo che il mondo occidentale avesse mai conosciuto: la cosiddetta Царь-колокол – Tsar-kolokol, o campana dello Zar, dal peso niente affatto trascurabile di 201 tonnellate, decorata con motivi barocchi di angeli, piante e medaglioni ovali, raffiguranti lei stessa e l’insigne predecessore Alexey, sovrano costruttore della prima campana. Creata con una preziosa lega contenente anche 525 kg di argento e 72 d’oro, l’oggetto non poté sfuggire all’apparente maledizione della Piazza Rossa, quando il piedistallo sopra cui era stata collocata in attesa del sollevamento all’interno del campanile non iniziò per la terza volta ad ardere di un fuoco distruttore e spietato. E nulla di terribile sarebbe potuto succedere, visto che si trovava a pochi metri da terra, se non che i vigili del fuoco, accorsi immediatamente sulla scena, iniziarono a innaffiare il tutto con copiose quantità d’acqua. Il che creò un differenziale di temperatura sufficientemente vasto da generare crepe nel bronzeo monumento, fino al punto che un intero pezzo di oltre 10 tonnellate si staccò e cadde a terra. Dove si trova tutt’ora, assieme al resto mai suonato, a perenne memento delle conseguenze insospettabili per talune tipologie di buone azioni.
E per quanto riguarda il campanile di Ivan… Spazio per idee più semplici, ma comunque degne di nota (♫) Vedi l’attuale pezzo principale di 64 tonnellate, anche detta Campana della Resurrezione, che nel video soprastante potete ammirare mentre viene suonata da due addetti del posto, tramite l’oscillazione diretta del batacchio, un sistema non dissimile da quello utilizzato in questi luoghi fin dall’epoca del tardo Medioevo.
Che metodologie migliori potessero esistere, nonostante quello che si potrebbe essere indotti a pensare, fu largamente al centro dell’immaginazione e la tecnologia ingegneristica dell’intero territorio europeo. E con ciò mi riferisco al sistema di utilizzo della campana cosiddetta oscillante, ovvero montata su un sistema di ruote e/o ingranaggi tale da permettere, a chiunque abbia il desiderio o la necessità di dare il via al rintocco, di smuovere l’intera massa del considerevole oggetto. Fino alla dimensione massima mai registrata per lungo tempo in corrispondenza di tale metodologia, storicamente identificabile nella Petersglocke (Campana di San Pietro) collocata nella cattedrale di Colonia in Germania, con un peso complessivo di 24 tonnellate di puro bronzo. È soltanto naturale, d’altra parte, che un simile approccio non permetta di raggiungere la vasta immensità delle campane d’Oriente, ivi incluse quelle con batacchio manuale prodotte in Russia, benché resti nota la maggiore prevedibilità del loro suono, considerato da taluni campanologi e melomani come inerentemente “superiore” alle alternative. Una perfezione perseguita, in tempi più recenti, dall’attuale detentrice del record per tale tipologia, la Campana della Salvezza del Popolo nell’omonima cattedrale costruita in Bucarest a partire dall’anno 2010. Più alta e più imponente chiesa ortodossa al mondo, un polo interreligioso visitato dal maggior numero di leader spirituali al mondo, particolarmente famoso per il suo ensemble auditivo il cui componente maggiore raggiunge singolarmente il peso inusitato di 25.190 Kg. E ciò anche grazie alla diretta partecipazione, nonché supervisione del progetto, da parte dell’esperto italiano Flavio Zambotto, che considera tale strumento come il risultato principale della sua già notevole carriera, oltre che uno degli strumenti musicali più perfetti al mondo, con una purezza dei materiali pari al 99,99% e una tolleranza di deviazione della nota emessa non superiore allo zero assoluto. Essendo quindi per definizione, totalmente insuperabile ed allo stato attuale un oggetto privo di termini di paragone esistenti. Forse quello, in altri termini, a cui si riferiva profeticamente il grande poeta John Donne, scrivendo nel 1624 la sua opera in prosa delle Devozioni durante un periodo di malattia, in cui postulò famosamente: “Nessun uomo è un isola, ma parte di un’intero continente […] La Chiesa è universale e così devono essere le sue azioni. Perciò quando suona la campana, non chiedetevi per chi lo sta facendo. Essa suona per voi!”
A meno che cause di forza maggiore non intervengano a modificare il corso del destino ideale, ovvero quello predeterminato nello stato ideale delle cose. Come l’implacabile legge del karma, che aveva portato il regno coloniale di Syriam a cadere soltanto 11 anni prima. E lo spietato Filipe de Brito, ladro di campane, ad essere messo morte per i suoi crimini ai danni del popolo birmano. Tramite l’antico ed onorato metodo dell’impalazione, nella pubblica piazza del suo stesso paese d’adozione. E per tre volte avrebbe suonato i suoi rintocchi, la campana di un’alba quanto mai crudele, prima che si giungesse al termine del suo supplizio finale.