Assolutamente cruciale nella scelta di un luogo di soggiorno per le proprie vacanze o viaggi di lavoro risulta essere l’osservazione indiretta della volta celeste. Intesa come conteggio degli astri che risplendono, e figurano all’interno dell’insegna di una particolare istituzione d’accoglienza. Laddove cinque vuole dire “ottimo, lussuoso” mentre tre “confortevole ma conveniente” ma ogni spostamento ulteriore verso la radice di una tale scala discendente può condurre unicamente ad una serie di giornate meno che ideali. Esiste almeno un caso nel mondo, tuttavia, in cui non soltanto questa presa di coscienza è possibile direttamente dall’osservazione dell’albergo, ma le stelle in questione possiedono persino dei nomi: esse sono Fu-福, la luce cosmica proveniente dal pianeta Giove; Lu- 祿, l’Orsa Maggiore; Shou-壽, la stella polare del cielo australe, associate alla credenza che possano portare rispettivamente fortuna, ricchezza e prosperità ai loro possessori. Perfettamente riconoscibili nelle rispettive personificazioni cinesi dalla lunga barba, letterali protagonisti di un’innumerevole serie di leggende, racconti e raffigurazioni. Così come compaiono ordinati da destra a sinistra (l’ordine in cui si scrivono gli ideogrammi) anche in un distretto del sobborgo di Sanhe, situato nella parte orientale del grande centro di Pechino, costituendo il corpo di un edificio dell’altezza di 10 piani e 40 metri circa, eccezionalmente policromo, non dissimile dai miliardi di statuette portafortuna posizionate sopra varie mensole o comodini del Regno di Mezzo. Ecco, allora, quello che dev’essere successo in questo luogo: la perfetta comunione d’idea, circostanze ed opportunità. Nonché l’incontro tra un ambizioso committente e il più coraggioso architetti, rispettivamente il proprietario del gruppo di sviluppo immobiliare operativo a partire dagli anni ’90 Taixin (sconosciuto) ed il progettista laureato presso l’Università Forestale di Pechino (sconosciuto), che sembrano aver fatto molto per allontanare il proprio nome dall’originale e stranamente memorabile edificio. Questo per il notevole clamore generato, fin dal momento della sua inaugurazione nell’anno 2001, con conseguente organizzazione di gruppi di protesta locali, nonché accese critiche nei confronti dell’ente di approvazione dell’urbanistica metropolitana. Fino alla cruciale citazione, nel contesto di almeno un’importante rivista d’architettura nazionale, come uno degli edifici più “brutti” di tutta la Cina, un’opinione certamente influenzata dalle implicazioni sottilmente dissacranti e le proporzioni non propriamente antropomorfe delle figure, tanto quadrangolari da apparire per certi versi simili ad altrettanti dispenser di caramelle PEZ. Eppure visti dal lontano, ovvero privati del proprio specifico contesto sociale e religioso, i tre anziani signori appaiono caratterizzati da un gusto estetico spontaneo decisamente naïf, accompagnato da un solenne senso di esotico mistero. Perché dove mai avrebbe potuto realizzarsi qualcosa di simile, se non in Cina? E quale può essere la specifica funzione, continuativa nel tempo, di una simile anomalia cittadina?
Quello che già sappiamo per la reiterata testimonianza di persone che ne hanno impiegato le notevoli sale, il Tianzi Building è stato per lungo tempo un hotel. Diversi blog e siti di trattazione del suo paese ne parlano come di un’esperienza da ricordare pur essendo al tempo stesso vagamente inquietante, che inizia con l’ingresso tramite la singola porta a vetri situata nel piede destro di Shou (la figura con la barba bianca) fin dentro gli ascensori e su, nelle stanze relativamente anguste, caratterizzate da un aspetto non propriamente ideale: la mancanza di luce ed aria fresca dovuta a finestre dalle dimensioni assai ridotte, per la comprensibile necessità di nasconderle all’interno degli abiti che costituiscono la facciata dell’edificio. A meno di aver prenotato la “camera con vista” che si trova nell’oggetto sferoidale stretto in mano dallo stesso dio della longevità, niente meno che una vera e propria shoutao, la pesca citata come fonte sovrannaturale e possibile di un lungo soggiorno tra i viventi…
Creata e resa celebri attraverso l’epoca della dinastia Ming (1368 – 1644) la triade di figure mitologiche normalmente abbreviata come Sanxing (三星 – le Tre Stelle) o in alternativa più semplicemente “Fu Lu Shou” (福祿壽) rappresenta dunque una visione iconica, che parrebbe essere considerata inadatta allo skyline di questa specifica zona cittadina. Forse perché giudicata eccessivamente legata ad un tipo di superficiale superstizione apotropaica, poco adatta all’immagine utilitaristica e moderna che il popolo cinese vorrebbe dare di se. Oppure fuori luogo nel suo particolare ambito d’appartenenza, con condomini dall’aspetto moderno e ville multifamiliari a schiera in puro stile occidentale, importante simbolo di cambiamento e modernizzazione. Un’antipatia di fondo esacerbata ulteriormente dalla nomina entro il 2005 da parte del Guinnes dei Primati a edificio figurativo più grande del mondo, diffondendone la documentazione fotografica ai quattro venti, con conseguente accrescimento della fama imperitura dell’edificio. A partire da questo momento ha iniziato, conseguentemente, la ripetuta citazione e dimostrazione dello stesso in innumerevoli conferenze o lezioni d’architettura, come valido esempio di cosa non trovarsi ad agevolare nel corso della propria carriera, indipendentemente dalla quantità di soldi offerti dal committente. Wang Mingxian in particolare, vicedirettore dell’Istituto di Architettura dell’Accademia Cinese delle Arti l’ha definito “Un monumento sgradevole all’incontentabile ricerca dei cinesi di ricchezza e potere.” Mentre la rivista Congyan, grazie al giudizio di un gruppo di architetti, è giunta a premiarlo come singolo edificio più brutto di tutta la Cina. Il che va forse inserito nel contesto di un tentativo di premiare l’architettura tradizionale come anche declamato solennemente dal presidente Xi Jinping in un famoso discorso dei primi anni del suo mandato, rigettando la pletora d’influenze commerciali e culturali che hanno portato la Cina dell’epoca contemporanea verso strutture tra le più bizzarre dell’attuale scena architettonica mondiale.
Eppure se vogliamo, i tre Dei appaiono a loro modo non privi di un fascino esteriore senza tempo, ed ispirano simpatia marcatamente internazionale grazie ai loro volti chiaramente espressivi. Soprattutto l’anziano Shouxing, che assomiglia vagamente a un Babbo Natale dalla fronte molto ampia, vede quest’ultima raffigurata come bulbosa e sporgente, come da tradizione relativa agli immortali taoisti, sommi depositari di un senso di saggezza superiore all’umano. Il suo compagno Fuxing dall’aspetto vagamente accigliato, nel frattempo, ha ornamenti tra i capelli che ricordano pennelli e la tenuta classica di un funzionario di stato, come vuole la tradizione che narra della sua esistenza terrena durante la dinastia Tang, quando con il nome di Yang Cheng rischiò la vita presentando un memoriale all’Imperatore per salvare gli individui affetti da nanismo dall’essere schiavizzati e messi al servizio dei nobili di corte. In mezzo ai due Luxing, secondo la tradizione uno studioso intento a sostenere gli esami di stato confuciani nonché protettore di coloro che si apprestano a fare lo stesso, impugna orgogliosamente col sorriso un cartiglio rosso fuoco recante il nome dell’hotel. Qualcosa che soltanto un simile gigante potrebbe riuscire a fare senza compromettere l’ingegnosa quanto semplice composizione visiva di questo trittico, che potrebbe figurare a pieno titolo all’interno di un quadretto di pura e modernissima pop-art.
Personalmente trovo come nel contesto della pletora di strani costrutti architettonici, ormai resi possibili dalle moderne tecnologie ingegneristiche e soluzioni in uso nei cantieri a sviluppo verticale, il Taixin hotel sia ben lontano dal peggiore risultato con cui si debba giungere a fare i conti una volta ultimati i lavori. E sebbene il suo aspetto non sia certo un trionfo di buon gusto ed eleganza, potendo comprensibilmente giungere a stancare i residenti locali, esso riesce nondimeno a rendersi accattivante nella maniera di un’imponente attrazione da luna park, suscitando il tipo d’immagine che si trova normalmente associata ad una Cina libera da preconcetti di derivazione modernista, intenta a fare ciò che gli riesce meglio: adattare e modernizzare l’antico, per il libero consumo, piuttosto che l’apprezzamento attentamente calibrato, dei modelli culturali provenienti da molto, molto lontano.
Secondo quanto riportato da diverse testate locali, l’hotel Taixin oggi ha smesso di funzionare in tale mansione causa l’incapacità di competere con le istituzioni di maggior pregio che si trovano negli immediati dintorni. Mentre già le piastrelle che costituiscono le barbe nere di Fu e Lu cominciano a staccarsi e precipitare, possiamo soltanto presumere, tra le auto tanto sfortunate da trovarsi nel parcheggio sottostante. Il che è una pratica dimostrazione, se non altro, dell’impermanenza, estremamente pronunciata in questi tempi, per tutto quello che non venga considerato “utile” a una narrativa di fondo, in Cina come il resto del mondo. Un vero peccato. Dopo tutto, era davvero un pezzo unico e probabilmente tale rimarrà, ancora per molte decadi se non interi secoli a venire.