Non c’è gioia per i giusti pari al paradiso delle matrioske in Manciuria

Un argomento dentro un’immagine, all’interno di un tema, avvolto nel suo contesto: talvolta il vero sincretismo, inteso come punto d’incontro tra i diversi ambiti culturali presso un territorio di confine, può essere descritto come il susseguirsi in sovrapposizione di una pluralità di strati, simili ai segni concentrici nascosti nell’interno di una grande quercia. Struttura naturale concettualmente non così diversa, dall’umana fantasia creativa che portò, verso la fine del secolo XIX, alla creazione del grazioso manufatto noto come bambola matrioska. Eccolo, d’altronde, che sorveglia l’ampio spazio di un parco di 60.000 metri quadri, da un’altezza esatta di 72 metri. Riuscite a immaginare qualcosa di più meraviglioso? O anche terribile, qualora l’ira dell’effige avesse una ragione per svegliarsi, rotolando verso valle spinta innanzi dal bisogno di punire la popolazione che l’ha creata. Che risulta essere forse contrariamente alle aspettative, o magari proprio come si potrebbe essere indotti a pensare dopo un breve attimo di analisi, non russa bensì nata dal bisogno culturale e onnipresente dei cinesi di operare su due linee distinte e parallele: l’affermazione dei propri tratti culturali inerenti assieme la reinterpretazione dell’intero mondo contemporaneo, attraverso la lente che è soltanto tipica di quelle valli e innumerevoli montagne, laghi e pianure… Fino al popoloso settentrione di Pechino e molte migliaia di chilometri più avanti, in quella terra fredda e relativamente inospitale che prende il nome di Mongolia Interna. Dove sorse originariamente, dal bisogno di uno scalo ferroviario, la città d’incontro per eccellenza, Manzhouli.
Oggi popolata da poco più di 200.000 persone, non tantissime per la media demografica di questa nazione, appena sufficienti per la creazione di un’economia piuttosto redditizia fondata soprattutto sugli scambi commerciali, grazie allo status di città dai confini aperti guadagnato dall’inizio dei remoti anni ’90. E che in tempi più recenti, è sembrato andare a braccetto con un certo tipo di turismo, principalmente quello portato avanti da parlanti della lingua degli Han supremamente interessati, per l’una o l’altra ricorrenza del calendario, a conoscere ed andare incontro alla cultura dell’altra parte, intesa come avamposto dell’Occidente nei più estremi recessi del paese più grande al mondo. Un ruolo così efficacemente rappresentato ed agevolato dall’incombente presenza architettonica di cui sopra e tutto ciò che la circonda, presso l’insolita attrazione turistica della Tao Wa Guanchang (套娃广场) – Piazza delle Matrioske, un vero e proprio parco tematico, nonché città nella città, dedicato al famoso esempio di arte popolare d’importazione Russa. Che forse nel caso più svettante, l’ultima e più notevole aggiunta al sito, non potrà contenere copie più minute di se stessa, causa la presenza dentro le sue mura di un intero hotel completo dei migliori comfort ed esposizioni artistiche di varia natura, ma se non altro rende omaggio alla coesistenza di plurime personalità in un singolo corpo, vista la maniera in cui sia stata dipinta su tre lati con altrettanti “soggetti”: lo schema della tradizionale Matryona (semplicemente un nome femminile) vestita con il suo abito sarafan, affiancata da una fanciulla cinese abbigliata col qipao ed una mongola che porta il deel. Forse il metodo più accattivante per esemplificare il senso di una tale opera, che d’altra parte non costituisce certo l’unica presenza imponente del parco che prende il suo nome. Gettando la sua ombra non troppo distante dalla sorella “minore” di un’altra bambolina idealizzata, misurante appena 30 metri d’altezza, all’interno della quale è situato un ristorante. E tutto intorno, un gran totale di oltre 200 matrioske di varie grandezze e funzioni, tra cui chioschi e monumenti, raffiguranti anche famose figure della politica e del mondo dello spettacolo nell’epoca della suprema globalizzazione. E al centro di tutto questo, l’immancabile fontana musicale illuminata ad arte…

Per le donne che visitano un luogo come questo parrebbe assai opportuno indossare il cappuccio. Non tanto per proteggersi dal sole, quanto mimetizzarsi nelle moltitudini di figure piriformi, creando plurime occasioni di scattare una foto memetica o d’antologia.

Vige del resto a più livelli questa idea superficiale che la matrioska possa rappresentare l’intero vasto mondo della cultura Russa, pur costituendo un manufatto etnico relativamente recente, creato dall’intagliatore Vasily Zvyozdochkin nel periodo della fragile pace russo-giapponese, poco prima del sanguinoso conflitto che avrebbe anticipato la tragedia della prima guerra mondiale. Un collegamento per certi versi superficiale, eppure valido a comprendere fino a che punto una simile invenzione, leggendaria per il suo valore come oggetto collezionabile o souvenir dei viaggiatori, abbia colpito l’immaginario collettivo, generando una quantità spropositata d’imitazioni. Tra cui potremmo o meno incorporare la versione sovradimensionata costruita in quella che viene non a caso definita “Porta della Cina” benché occorra sempre ricordare come nella cultura antichissima del Regno di Mezzo, imitare un qualcosa significhi comunque rendergli un omaggio imperituro. Anche quando non ci si dovesse risparmiare, nella tendenza tipicamente contemporanea di portare ogni cosa fino alle sue più estreme conseguenze. Il visitatore della Piazza dunque, fatto il suo ingresso passando sotto l’arco che riprende almeno in parte l’edificio famosamente collocato di fronte alla vicina stazione che fu tra le più importanti di tutta la famosa linea Transiberiana, viene invitato a compiere un percorso variegato che lo porterà, dalle esposizioni di giganteschi quadri ad olio situati entro le mura della mega-bambola ai sentieri serpeggianti tra le sue molte versioni più piccole, così come idealmente alla figura femminile esterna di un set fa seguito il resto della sua intera famiglia, in quantità massima di 6 o 7 elementi, incluso il neonato ricavato da un singolo pezzetto di legno dipinto. Senza dimenticare le tipiche giostre, elemento primario di qualsiasi parco a tema che si rispetti, nonché altri edifici costruiti sulla falsariga di famosi monumenti russi, quali accenni sottodimensionati alle cattedrali di Uspensky, Kazan e San Basilio, con le loro cupole svettanti private del simbolo della croce ortodossa per evitare di suscitare le consuete polemiche sul sacro ed il profano. Menzione a parte merita nel frattempo il palazzo immediatamente riconoscibile basato sull’Hotel Moskva, il famoso luogo in cui venivano condotti gli ambasciatori e dignitari stranieri nell’epoca del comunismo, all’interno di stanze piene di microfoni ed altri dispositivi di sorveglianza. Così come è stato dimostrato, a quanto si narra, nel corso della demolizione dell’edificio originale nel 2004, ragion per cui anche nella capitale russa è oggi presente soltanto una riproduzione delle originali e storicamente rilevanti mura.
Per quanto concerne nel frattempo la collocazione storica del parco di Manzhouli, possiamo chiaramente affermare come l’assenza di una data precisa d’inaugurazione riportata nelle trattazioni internazionali sull’argomento lasci immaginare una creazione in più fasi, man mano che i meriti turistici della regione aumentavano con il miglioramento della rete stradale coinvolgente i tre paesi di Cina, Russia e Mongolia. Con alcune delle opere più grandi e significative sorte attorno al 2012, coerentemente alla costruzione dell’aeroporto cittadino, un’ulteriore via d’accesso per coloro che volessero sperimentare questo luogo assolutamente inusitato nel carnet turistico dell’intero vasto mondo. Che difficilmente potrebbe essere considerato poco “autentico” una volta che si considera il clima culturale ed il contesto della sua edificazione.

Non poteva certo mancare nella Piazza delle Matrioske un’ampia selezione di negozi di souvenir e memorabilia, specializzati in quella che potrebbe costituire secondo alcuni la versione continentale delle bambole kokeshi inventate dai giapponesi.

Storico punto di passaggio e un luogo d’attrito tra i diversi imperi circostanti, la Manciuria è stata col trascorrere dei millenni molte cose diverse. A partire dalla culla di quel popolo, i Manciù, che quattro secoli a questa parte sconfissero la Cina dei Ming, dando inizio ad una delle più durature, nonché l’ultima delle grandi dinastie imperiali di quel paese. Finché successivamente alla Rivoluzione Culturale, e l’insediamento del nuovo ordine nazionale sullo schema delineato dal leader Mao, l’intera regione avrebbe dovuto affrontare l’invasione del 1931 da parte delle forze armate di un Giappone espansionista, notoriamente privo di scrupoli per l’impostazione culturale ferocemente nazionalista dell’inizio del secolo scorso. Un periodo di privazioni e compromessi, rispetto al quale la fragile pace e finale riconsegna dei territori sotto l’egida della Cina continentale avrebbe portato, gradualmente, ad alcuni validi presupposti di miglioramento. E non è forse tutto ciò dovuto, almeno in parte, alla quieta vicinanza di una Russia che per molti anni, almeno a Oriente, seppe convivere pacificamente coi propri vicini… Un merito che andrebbe in qualche modo celebrato. E quale miglior modo di farlo? Perché se fosse la gente comune, a decidere, la guerra potrebbe essere evitata con il semplice dono diplomatico di un oggetto dell’arte. Ed ogni problema si potrebbe risolvere, racchiudendolo all’interno di una bambola, all’interno di una bambola e […] all’interno di un forziere, seppellito preventivamente nelle profonde, oscure acque del lago Baikal.

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