881 Km/h: perché all’aereo telecomandato più veloce del mondo dovrebbe servire un motore?

Da qualche parte attraversando l’alto empireo dello scibile, una macchina straordinaria sfrutta e veicola le leggi della fisica scoperte dagli umani: consumando un combustibile ragionevolmente simile a quello dei razzi spaziali, l’aereo simile a una freccia taglia l’aria neanche si trattasse dell’affilata lama di una spada da samurai. L’acuto suono del suo motore, una turbina non più grande di una bottiglia da mezzo litro, annuncia la creazione e la modifica di un flusso ventoso, che percorrendo lo speciale spazio sotto le sue ali, lo solleva e spinge fino alla sua piccola destinazione. Piccola perché piccolo è anche l’aereo, essendo a conti fatti, solamente un modellino; un modellino controllato a distanza che raggiunge agevolmente i 750 Km orari. E se ora vi dicessi che l’RC Speeder “Inferno” full GFK e mezzi similari, di cui parlammo in queste pagine qualche anno fa, è stato largamente superato in prestazioni da un qualcosa di radicalmente differente, ovvero quello che costituisce a tutti gli effetti nient’altro che un ALIANTE soggetto ad eseguire gli ordini trasmessi da un radiocomando situato a terra? O per meglio dire, in specifiche regioni della Terra, dove le condizioni meteorologiche e del territorio riescono a costituire non più soltanto il potenziale ostacolo alla realizzazione del record bensì il sostegno di partenza basilare, e la vera condicio sine qua non, che può condurre un nome ad essere iscritto nel posto d’onore del libro dei record…
Sarebbe tuttavia riduttivo, ed in qualche modo dissacrante, inserire questi due apparecchi nella stessa linea ideale del progresso umano. Poiché l’impresa recentemente compiuta dall’americano Spencer Lisenby presso la montagna Parker in California non troppo lontano da Santa Ana è il più recente coronamento di un percorso intrapreso almeno dal remoto 2017, quando in una lunga e affascinante conferenza spiegava l’obiettivo della sua compagnia di consulenza aeronautica, mirato a veicolare e mettere a frutto una specifico approccio all’esigenza fondativa di quest’intera specifica branca della tecnologia applicata: far volare qualcosa, veloce e lontano, possibilmente col dispendio minimo di energia frutto di un combustibile (che aumenta il peso) o di una batteria (che aumenta DI MOLTO il peso).
Ecco dunque, nel memorabile 19 gennaio recentemente attraversato, il veicolo che decolla direttamente dalla mano del suo aiutante, o per meglio dire “viene lasciato andare” vista l’evidente assenza di qualsivoglia tipo di elica o ugello di scarico del turbocompressore. Trattasi in effetti, di una dimostrazione pratica delle straordinarie potenzialità nascoste in quello che prende il nome di volo veleggiato dinamico, significativa scoperta per gli umani di questi ultimi anni, teorizzata e messa in atto per la prima volta dalla leggenda dell’aeromodellismo Joe Wurts negli anni ’90. Ma che altri piumati esseri di questo pianeta, da un tempo assai più lungo, avevano conosciuto e messo a frutto al fine di ridurre il dispendio energetico durante le lunghe migrazioni da un lato all’altro degli oceani distanti. Immagino sia chiaro, a questo punto, ciò di cui stiamo parlando: le tecniche di volo dell’albatross urlatore (Diomedea exulans) e molti altri, applicate a un semplice pezzo di fibra di vetro, legno di balsa e plastica. Sfruttate per raggiungere una cadenza di Mach 0.71, ovvero in altri termini, oltre due terzi della velocità del suono. Incredibile, a dirsi…

Questo studio grafico del volo dell’albatross permette di visualizzare in modo immediato il compiersi del volo dinamico artificiale. Immaginate in effetti i punti tra l’uno e il tre, ripetuti intenzionalmente ad infinitum: eliminato lo spostamento, tutto quello che resta è l’accelerazione.

Il concetto del volo veleggiato costituisce in effetti una di quelle regole del grande gioco che potrebbero sembrare, da molti punti di vista, contro-intuitive. Poiché quale singola ragione dovrebbe esistere, per cui un uccello può decidere di smettere di sbattere le sue ali, continuando non soltanto a planare ma addirittura accrescere la sua velocità ed altitudine, in maniera progressivamente ulteriore? Naturale a questo punto risulta essere pensare che debba entrarci in qualche modo il vento o le correnti ascensionali, benché affermare che si tratti soltanto di questo può essere chiamato a tutti gli effetti riduttivo. Questo particolare approccio al mondo degli spostamenti celesti trae in effetti la sua genesi non tanto da una mera condizione in essere, bensì il gradiente che sussiste, in maniera netta ed innegabile, tra due possibili versioni del cielo. Proprio per questo ciò che gli uccelli oceanici riescono a individuare tra le onde, i piloti RC sono soliti andarlo a cercare in corrispondenza di alti crinali o creste montuose come quella di Parker, dove la forma fisica del territorio impone una cesura netta tra gli strati superiori dell’atmosfera, soggetti ad uno spostamento dinamico impellente, ed uno spazio verso il suolo del tutto privo di alcun alito di vento. Ed è questo, allora, che deve succedere: l’aliante parte, acquista energia cinetica sufficiente ed effettua una ripida cabrata fino ad immettere la sua carlinga nel flusso soprastante. A questo punto, trovando la sua velocità in relazione all’aria contraria esponenzialmente aumentata (ricordate che gli aerei decollano controvento) inverte istantaneamente la sua marcia, tornando in tutta fretta nella direzione da cui è provenuto. E scendendo, in tal modo, al di sotto del flusso d’aria, per invertire la seconda volta il flusso di marcia, tornando nuovamente a cabrare. A questo punto, tuttavia, l’aliante si sta muovendo a un ritmo rispetto al terreno decisamente maggiore al quale si somma, nuovamente, la velocità del vento contro cui si scontra un volta superato il punto del netto gradiente meteorologico. Non c’è quindi alcun tipo d’entropia in questo sistema, eccettuata quella generata dall’attrito a velocità eccessivamente elevate, il che permette all’aereo di accelerare ogni qualvolta il ciclo si compie, ancora, ancora ed ancora. Il limite stimato, a tal proposito, in condizioni ideali e purché la struttura dell’aeromobile riesca a sopportarlo, è di 10-11 volte la velocità del vento.
Il risultato potete apprezzarlo tutti nel nostro notevole video d’apertura: il grosso aliante creato da Lisenby, senza nessun’altra interazione che il rapido movimento delle sue superfici di controllo, entra in un loop di accrescimento esponenzialmente maggiore che lo porta a salire sopra e sotto la montagna, sopra e sotto all’infinito. Finché la mano discutibilmente stabile del cameraman smette di riuscire a seguirlo, mentre si trasforma in una mera sfocatura nello spazio catturato dalla telecamera. Viene da chiedersi quanto presto e grazie a quali ulteriori margini di accrescimento, in una situazione tecnologica di questo tipo, sarà possibile udire il caratteristico suono che corrisponde all’infrangimento della barriera del suono!

Se avevate trovato il video californiano nauseante come seguire il continuo ritorno al mittente di una pallina da tennis, provate con questo exploit veleggiato in prima persona presso la collina di Weldon (probabilmente California, ma esiste anche in Arkansas). La telecamera di bordo permette molto facilmente di comprendere perché, esattamente, queste tecniche non vengano usate spesso con esseri umani a bordo.

Il volo dinamico veleggiato, oggi particolarmente apprezzato da un’intera classe di appassionati piloti a distanza, nasconde tuttavia una trappola in costante agguato. Nel momento in cui l’aereo dovesse infatti spingersi, anche soltanto per un attimo, al di sotto del gradiente e presso il lato sbagliato della montagna (quello da cui, per l’appunto, non proviene il vento) la quantità impressionante di vortici e vuoti d’aria provvederebbe a risucchiarlo immediatamente verso il terreno, portandolo a schiantarsi senza possibilità di appello. Una pericolosa evenienza vissuta da molti dei praticanti di questa sottile arte ed in merito alla quale anche il manuale online della Federazione Italiana di Volo Libero mette in guardia i suoi coraggiosi piloti, causa il rischio ancor maggiore nel caso in cui l’utilizzatore umano del velivolo si trovi anche, del tutto casualmente, a bordo di quest’ultimo potendo sperimentare in maniera particolarmente immediata gli effetti di un eventuale errore. Anche per questo, alcuni piloti di alianti radiocomandati hanno tentato a più riprese di automatizzare la specifica manovra ripetitiva necessaria alla creazione del loop di rafforzamento, benché Lisenby abbia più volte affermato di preferire l’approccio manuale per inclinazione e capacità personale. Ancor più estrema l’opera dei pochi, coraggiosi piloti che hanno scelto di compiere in prima persona l’impresa, come Ingo Renner nel 1974, che riuscì famosamente ad implementare il volo veleggiato con il suo aliante sopra il colle di Tocumwal, in Australia.
Le potenzialità di un simile approccio, sia pure del tipo statico basato sullo sfruttamento di correnti ascensionali situate in un punto fisso del territorio, risultano quindi notevoli per un decollo di tipo artificiale, che permetta di sfruttare l’energia di questo pianeta fino alle sue più incredibili e remote potenzialità. Il primo ad analizzarlo e disegnarne le caratteristiche fu infatti niente meno che Leonardo da Vinci, nel suo Manoscritto E del 1513-15, in cui spiegava con grande dovizia di particolari alcuni dei princìpi fin qui descritti, e gli stessi pericoli inerenti:

“Sempre il moto dell’uccello debe essere sopra alli nugoli, acciò che l’alia non si bagni, e per iscoprire più paesi, e per fugire il pericolo della revoluzione de’ venti infralle foce de’ monti, li quali son senpre pieni di gruppi e retrosi di venti. E oltre a di questo, se lo uccello si voltassi sotto sopra, tu ài largo tenpo a rivoltarlo in contrario, colli già dati ordini, prima che esso ricaggia alla terra. “

Poiché ancora una volta, non c’è persona che riesce a vedere più lontano, di colui che sa interpretare e sfruttare i chiari segni della natura. Che tanto spesso sembrano andare, per puro caso, contro il catalogo delle norme acquisite attraverso lo studio dei presupposti creati accidentalmente dal senso comune. Ma tenetelo bene a mente: proprio niente, in tutto questo, poteva verificarsi altrimenti!

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