Cercando il grande muro di Alessandro al confine della Russia meridionale

Presso la Kunstkamera di San Pietroburgo, primo museo nella storia del paese più vasto al mondo, è custodito un piatto d’argento proveniente dalla Repubblica del Daghestan, con sopra incise le celebri parole: “Derbent è stata fondata da Alessandro Magno, quindi non c’è niente di più giusto che a governarla sia un altro monarca, non meno grande.” Una dedica concessa dagli amministratori cittadini niente meno che a Pietro I, lo zar che nel 1722, durante la campagna della guerra russo-persiana, soggiornò qui una notte, all’interno della vasta casa che oggi è stata trasformata in un museo. Ma a far da sfondo significativo a quel momento possiamo facilmente individuare, con un occhio di riguardo nei confronti della storia architettonica di un tale luogo, lo svettante complesso fortificato sopra la collina rocciosa che domina il centro abitato di oltre 100.000 abitanti: Naryn-Kala o per i persiani Dagh Bary, due termini significanti, grosso modo, “Fortezza Solare”. Dalle cui mura alte 20 metri e spesse 3 si diramano due barriere, l’una costruito per andare a perdersi nel Mar Caspio, perfettamente visibile dall’alto dei bastioni e l’altra lungo ben 40 Km, fino alle propaggini più inaccessibili dei monti del Caucaso, fortezza naturale in grado di arrestare qualsiasi armata. Poiché si è soliti affermare che i migliori governanti costruiscano dei ponti e non muri, ma è proprio per questo che occorre possedere una personalità estremamente carismatica, e un tenore quasi leggendario, per restare onorato attraverso i secoli dopo aver lasciato in eredità un’invalicabile barriera.
Siamo abituati a considerare il Medio Oriente come il campo di battaglia tra diverse religioni, ma la realtà è che c’è stato un tempo in cui erano gli stili di vita contrapposti delle origini dell’uomo, a costituire l’oggetto della contesa, spesso armata, per il controllo dei territori. L’epoca probabilmente databile attorno al III-IV secolo a.C e di cui parla anche il Corano, riferendosi alla figura prototipica del Bicorne, il misterioso e fortissimo condottiero che in a quei tempi aveva sigillato il territorio dei popoli nomadi Gog e Magog, dietro quella che nel testo viene definita un’invalicabile muraglia di rame. Ragion per cui secondo alcune interpretazioni dei sacri testi, costui altro non potrebbe essere che il gran conquistatore macedone che in Asia aveva il nome Iskandar, il quale secondo fonti coéve ed immediatamente successive aveva costruito, tra le molte altre cose, delle invalicabili Porte presso la regione del Caucaso, bloccando l’accesso dei barbari presso le terre civilizzate a meridione di un’oceano d’erba destinato a rimanere, ancora per molti anni, largamente inesplorato. E non a caso il nome della città in questione, Derbent, significa proprio la Porta (“sbarrata”) un ruolo che essa avrebbe rivestito attraverso i secoli, attraverso una serie di conflitti lunga quasi quanto la storia stessa della sua nazione. Lo stesso luogo in cui ancora lo storico dell’Albania Armena Mkhitar Gosh, vissuto nel XII secolo scriveva di come i re persiani avessero chiamato e reclutato a forza tutti gli architetti e costruttori del regno, affinché le fortificazioni fossero ispessite, migliorate ed allungate per impedire qualsivoglia facile passaggio ai percepiti nemici della nazione. Benché la fortezza di Naryn-Kala propriamente detto, secondo la datazione offerta dagli studiosi locali, risulti assai probabilmente collocato tra i due estremi cronologici fin qui citati, essendo stato costruito durante il regno dell’imperatore sasanide Cosroe I, tra il 531 e il 579 d.C…

La casa di Pietro il grande, a Derbent, identificabile grazie alla statua bronzea dello zar, costituisce oggi un celebre museo dedicato alla storia di Russia così come la Chiesa del Salvatore, costruita durante un dei più tardi periodi di egemonia armena, costituisce oggi la casa dei tappeti, l’arte e artigianato locali.

D’altra parte Derbent era sempre stata primariamente, nonché nella sua fondamentale essenza, una città di matrice persiana, fin da quando attorno al sesto secolo prima di Cristo venne fondata e successivamente controllata da diversi signori dell’impero Achemenide, per poi passare dopo un periodo di quasi mille anni sotto il controllo della satrapia dell’Albania Caucasica, di cui avrebbe fatto parte per parecchi secoli, diventandone probabilmente la semi-leggendaria capitale “Albana”. In tale accezione, il centro fu anche la residenza di un marzban, governatore provinciale dell’antico impero, ormai avviato verso il suo inevitabile tramonto. Il primo significativo passaggio di controllori sarebbe quindi avvenuto proprio nel VI secolo con la cattura da parte dei Sasanidi, che sfruttando la posizione dall’alto valore strategico avrebbero fatto di questo luogo un’importante fortezza di confine, convinti che i discendenti degli stessi popoli temuti da Alessandro Magno sarebbero un giorno giunti per tentare di conquistarla. Evento che puntualmente, si sarebbe verificato nel 627, quando un impero ormai stanco per la lunga guerra contro i bizantini venne finalmente invaso dal Khaganato turco occidentale, subendo un epocale saccheggio. Ma il peggio, come avrebbero ben presto scoperto i persiani che attraverso le dinastie erano stati indotti a trasferirsi in questo luogo, doveva ancora venire.
Nel 654, marciando in armi dal distante meridione, le armate dei conquistatori arabi giunsero quindi presso il muro che era stato di Alessandro, che loro chiamavano Bab al-Abwab (“Porta delle Porte”) il cui controllo determinava, essenzialmente, il completo possesso del Caucaso Occidentale. Fu quindi il califfo Harun al-Rashid (766-809) a portare indicibili ricchezze e risorse presso tale centro del suo governo, facendone la città più popolosa ed importante dell’intera regione e rendendola una fortezza in grado di resistere persino alle invasioni mongole del 1239. Sarebbe quindi stato infine il condottiero turco-mongolo Timur, noto in Europa come Tamerlano, a circondare ed isolare Derbent, sulla cui effettiva conquista le diverse fonti sembrano divergere, benché sia certo come la città, governata a quei tempi dalla dinastia islamica degli Shirvanshah, avrebbe nonostante tutto conservato il diritto di continuare a governarsi da sola. Almeno fino al 1583, quando approfittando del caos dovuto alla battaglia delle torce ed il conseguente Trattato di Istanbul con i Safavidi iraniani, la Porta di Alessandro diventata nel frattempo proprietà degli Ottomani venne finalmente occupata dai russi, venendo inserita de facto nei possedimenti del più vasto impero. Dove si trovava ancora quasi due secoli dopo, durante la storica visita di Pietro il Grande.

Secondo alternative interpretazioni storiografiche, la Porta di Alessandro potrebbe essere uno di altri due possibili luoghi: l’antica muraglia in rovina ritrovata dagli archeologi a Gorgan nel Golestan (la “Serpe Rossa”) oppure la barriera naturale del Passo di Dariel, situata al confine tra Russia e Georgia.

Quale filo ininterrotto lega, dunque, tali governanti separati da quasi due millenni di storia, situati a estremità diverse dello spettro possibile di avverse identità nazionali? Quale bisogno se non quello, imprescindibilmente umano, di proteggere con alte mura i propri vasti territori, strumento storico necessario a guadagnarsi l’appellativo individuale di Grande, inerente aspirazione di chi ha tenuto in vita l’inebriante scettro del potere… Alla cui ombra, eterna ed impassibile, è sempre sorta una città il cui ruolo difensivo, grazie alla posizione geografica, non fu mai realmente reso obsoleto.
Persino oggi quando, purtroppo, assurge periodicamente alle cronache dei notiziari internazionali e i video shock di Internet, come sito oggetto di attacchi terroristici e conseguenti operazioni militari da parte delle forze speciali russe. Una situazione che, di certo, non massimizza il suo enorme potenziale turistico costruito sulle spalle di seimila generazioni. Eppure ancora una volta, prima o poi, la ruota delle Epoche compierà il suo giro. E le mura di Derbent saranno ricostituite, stolide e immutabili, come sempre alla scomparsa degli antichi eserciti che qui sono passati. Lasciando un segno indelebile, ma al tempo stesso trascurabile, della propria transitoria esistenza.

Difficile negare come, molto spesso, il miglior modo per apprezzare le effettive proporzioni di un forte o castello sia l’inquadratura aerea, oggi facilmente ottenibile mediante l’utilizzo di un semplice drone. Per aprire gli occhi all’effettivo sforzo collettivo inevitabile, all’epoca, per proteggersi dagli eserciti nemici.

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