Il villaggio in bilico sugli argini della vecchia torbiera di Loosdrecht

Ci sono trincee in questo lago e come in altre località simili, i chiari segni di una guerra combattuta anni fa. I cui schieramenti, tuttavia, non erano entrambi umani, bensì tali da vedere la nostra specie in contrapposizione con il suo più antico rivale: la selvaggia, autonoma e incontrollabile natura. Nell’accezione di una profonda palude, dove nessuno avrebbe mai potuto coltivare alcunché né (si credeva) appoggiare le fondamenta di un qualsivoglia tipo di edificio destinato a durare mesi o anni. Ragion per cui verso l’inizio del XVI secolo, come nella restante parte dell’Olanda centro-settentrionale, si pensò di trovare un uso diverso per tale località geografica. Sto parlando l’estrazione, sistematica e continuativa del tempo, di quella sostanza spesso considerata indistinguibile dal fango, tuttavia preziosa in determinati periodi storici, almeno quanto gli altri due principali tipi di combustibile di derivazione organica, petrolio e carbone. Torba, ovviamente; niente meno che torba. Il deposito di resti vegetali all’interno di un brodo acido d’acqua e di terra, capace di ardere una volta fatta essiccare al sole, riscaldando potentemente le abitazioni disseminate attraverso un territorio in cui neve & ghiaccio, soprattutto nel corso del secolo noto come “piccola era glaciale” risultavano essere una vista tutt’altro che rara.
Perciò eccoci adesso, quasi quattro secoli dopo, dinnanzi alle cinque pozze lacustri situate grossomodo tra Amsterdam e Utrecht, note collettivamente come Loosdrechtse Plassen, dove il livello dell’acqua è salito attraverso gli anni, riempiendo progressivamente i profondi solchi scavati dagli estrattori di torba mediante l’impiego del baggerbeugel, uno speciale bastone importato in Olanda dall’Anglia Orientale nel 1530, la cui grande rete all’estremità veniva impiegata come una sorta di cucchiaio, immerso a due mani nelle oscure acque dell’antica palude. Fluido inesorabile il quale ha ricoperto ogni cosa, fatta eccezione per gli argini di ciascun fossato, sopra i quali attraverso gli anni ha continuato, quindi, a crescere la vegetazione. E non solo. Poiché se è vero che la gente dei Paesi Bassi risultava essere nota per il suo ingegno nel trovare un significato al proprio territorio fino all’ultimi giorno del Rinascimento, tanto maggiormente ciò può essere affermato per i suoi rappresentanti dell’epoca moderna & contemporanea, che proprio su queste acque hanno pensato, a partire dalla metà del ‘900, di stabilire uno dei principali resort a tema sportivo della nazione: barche a vela, canoe, moto d’acqua, eccetera. E far da contrappunto, le numerose strutture costruite sulle costole asciutte del monumentale scheletro di torba (chiamate in lingua locale legakker) spesso direttamente a strapiombo sull’acqua, quasi impossibilmente limpida e calma. Creando in svariati casi l’apparente contraddizione in termini di un uscio di casa che, invece di avere uno zerbino, si affaccia direttamente sul molo e la barca di famiglia, unico mezzo in grado di collegare gli abitanti di queste mura alla civiltà. Visioni di una verde Venezia, per certi versi, condotta fino all’estremo dell’olandese faccenda…

L’impiego del bastone per l’estrazione della torba permise all’inizio del XVI secolo di sfruttare con profitto aree geografiche precedentemente considerate inutilizzabili, sebbene a costo di una grande fatica fisica ed impegno. Come dimostrato da Klas con l’affascinante cappello, che non esita a definire la relativa attività come una forma di “eco fitness tradizionale”.

La struttura dei Loosdrechtse Plassen, facilmente interpretabile mediante foto satellitare come un singolo, grande lago, presenta in realtà come dicevamo cinque segmenti nettamente distinti, attraverso l’estendersi dei più alti e lunghi argini dell’originale torbiera del vicino comune di Loosdrecht. Si comincia a nord con l’Het Wijde Blik, l’unico “lago” raggiungibile direttamente attraverso il canale di Hilversums, linea di collegamento diretta verso l’omonimo paese di circa 90.000 abitanti. Direttamente al di sotto di questo è situato lo spazio acquatico del Loenderveense Plas, dominato dalla grande tenuta privata (50 ettari) dal nome di Terra Nova, costruita a partire dal 1910 dal grande commerciante di Amsterdam Richard Heino Erdmann. Con casa in legno norvegese attorno alla quale si trovano ancora vasti campi bonificati, assieme a una via d’accesso privilegiata verso l’area maggiormente pescosa dell’intera zona, particolarmente nota per la qualità delle sue orate. Ad est di questa simile sezione si trova quindi la pozza del Vuntus, zona ad accesso severamente limitato per la presenza di numerosi uccelli protetti tra cui l’airone viola (Ardea purpurea) nobile predatore dal lungo collo flessibile e il becco spietato. Per quanto concerne i restanti due laghi, privi di caratteristiche distintive inerenti e per questo chiamati semplicemente Primo (Eerste) e Quinto (Vijfde) è proprio tra relativi canneti e legakker, per non parlare delle cinque grandi isole artificiali messe in opera attraverso gli anni, che vengono condotti i numerosi eventi sportivi indissolubilmente legati nell’immaginario collettivo a questo luogo, probabilmente la più celebre tra tutte le originali torbiere d’Olanda. Con ristoranti, porti per barche a vela, negozi turistici e caffetterie, particolarmente gremite durante l’intero corso dell’estate per l’ampia serie di eventi promossi dall’amministrazione locale e grazie ai fondi dell’ente nazionale Natuurmonumenten, tra cui l’importante “Festival degli sport acquatici di Loosdrechtse” che si è tenuto senza interruzioni sin dall’ormai remoto 1995.

Le isole artificiali più grandi dei Loosdrechtse Plassen sono cinque: Geitekaai (1959) Meent (1962) Weer (1963) Bijltje (1964) e Markus Pos (1977) e hanno individualmente trovato la loro ragion d’esistenza attraverso gli anni della rinascita di questa località come attrazione turistica di grido. Giusto negli ultimi anni, tuttavia, si sta parlando di costruirne delle altre.

Non tutto è oro quel che luccica tuttavia, e una simile affermazione, tanto più spesso, risulta facile da attribuire alle splendenti distese d’acqua della piatta superficie di un lago. Luogo in cui, per l’appunto, l’aumento dei nitrati e fosfati dovuto all’impiego di sostanze chimiche per la concimazione dei vicini terreni agricoli ha portato, lungo l’intero corso delle ultime decadi, al verificarsi di un problematico processo di eutrofizzazione attraverso l’intero estendersi dei Loosdrechtse Plassen, che progressivamente ha di nuovo intorpidito l’acqua, permettendo inoltre la proliferazione estremamente rigogliosa d’alghe in corrispondenza dei fondali sabbiosi. Il che ha generato l’apparente contraddizione in termini di un resort lacustre dove il nuoto è sconsigliato ancorché permesso, per lo meno a tutti coloro che non risultino essere eccessivamente schizzinosi.
Ma forse, in definitiva, non è mai stato questo il senso dei Cinque Laghi: dove lo spettacolo maggiore, per chi viene in visita, è costituito dall’osservazione di fino a che punto possa verificarsi l’integrazione tra gli uomini e una versione profondamente modificata, per non dire sconvolta, della sua originale genitrice: la natura. E poter partecipare, almeno temporaneamente, dell’esperienza di un fattorino che consegna i giornali in abbonamento sopra le assi dei rispettivi pontili. Laddove il vialetto di casa, per sua mera collocazione subacquea, risulta il territorio ideale per granchi, gamberi e vermi di lago.

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