La presenza inamovibile del pellicano educato

Un inchino, un inchino. Scuote la testa. Ribalta gli occhi e chiude le strane palpebre trasversali. C’è una diretta correlazione, nell’habitat sparsamente popolato dall’enorme Balaeniceps rex,  tra esso, i pesci polmonati dell’ordine dei dipnoi e la pianta di papiro. Questo non è certo un caso, visto come l’uccello in questione si nutra primariamente dei primi ed usi la seconda per fare il nido. Nei momenti occasionali in cui sceglie di muoversi dalla ponderosa posizione neutrale. Secoli fa, quando la sua popolazione totale non si era ridotta a soli 9.000 esemplari distribuiti tra Uganda, Ruanda, Congo, Tanzania ed il nord dello Zambia, doveva costituire una vista piuttosto comune tra i popoli di questi luoghi, che lo catturavano facilmente per farne un pasto luculliano; dopo tutto, stiamo parlando di un’animale alto più di un metro e mezzo dal peso di fino a 7 Kg. Mentre oggi, nello scorgerlo esplorando il terreno paludoso al confine della savana, sarebbe giustificato essere colti da una forte ondata di dissonanza: eccolo lì, perfettamente immobile. Un bambino con la maschera, uno stregone avvolto nel suo mantello. La cicogna dal becco a scarpa, che in realtà secondo studi di classificazione recenti dovrebbe appartenere all’ordine dei pelicaniformi, non si comporta come un comune uccello, non ne ha la aspetto né il contegno. Per le dimensioni notevoli, ma anche a causa della sua postura straordinariamente verticale, e l’inizio delle ali, che viste da davanti sembrano braccia incrociate dietro la schiena. Poi c’è la piccola questione del suo sguardo fisso e indemoniato che, incidentalmente, potrebbe anche bucare una parete.
C’è un che di preistorico, in questa creatura, che sembra prescindere le divisioni attuali tra le specie. Tutto, in essa, si configura in qualità di un riferimento diretto agli antichi dinosauri volanti, come lo pterodattilo o il quetzalcoatlus. Il che ha gettato per lungo tempo nello sconforto intere schiere di scienziati, che hanno lungamente faticato nel tentativo di trovargli una posizione precisa nell’albero della vita. Il fatto, da sempre estremamente problematico, è che il Balaeniceps non ha vicini parenti nel catalogo delle specie attualmente in vita. Tranne, secondo alcune teorie, l’umbretta o uccello martello (Scopus umbretta) dell’Africa Subsahariana e del Madagascar, che supera difficilmente il mezzo metro di lunghezza. Ma come dice il naturalista Cottam (1957) non ha molto senso mettere in relazione un uccello dalla genesi incerta ad un altro. L’unico effetto ottenuto da una simile prassi, generalmente, è infittire il mistero. Come se non fosse già abbastanza profondo, parlando di un animale che appare come una commistione di elementi provenienti da specie diverse, alla maniera di un criptide mitologico o il disegno di un artista della fantasy moderna. Le lunghe zampe degli aironi abbinate ad un collo relativamente corto, l’apertura alare paragonabile a quella di un condor (230-260 cm!) e il grosso becco dalla forma estremamente peculiare, che è una caratteristica appartenente soltanto a lui. Paragonata per ovvie ragioni a una scarpa, ma anche talvolta a una balena (altro nome dell’uccello: whalehead) per la forma vagamente idrodinamica, derivante in realtà da esigenze specifiche di tutt’altro tipo. Tale strumento primario per la sopravvivenza, in effetti, è un vero capolavoro dell’evoluzione, con una capienza sufficiente a dragare il fondale dell’acqua preferibilmente stagnante, dove i pesci devono restare più attivi per procurarsi l’ossigeno di superficie, e mortalmente affilato, per decapitare la preda in un semplice assalto letale. Il vistoso rostro posizionato in corrispondenza della parte anteriore dello stesso, infine, assicura che nessuna vittima di questo insolito predatore possa sfuggirgli con facilità. Proprio tale caratteristica, per inciso, lo accomuna da vicino al familiare e ben più diffuso pellicano. Ma le somiglianze con il candido pescatore di buona parte dei mari della Terra, dalla temperata Tasmania alle acque semi-ghiacciate del Canada, non vanno molto più avanti di così. Esso non possiede, in effetti, lo spaventoso cipiglio del Balaeniceps, non ha lo stesso rapporto passivo con gli eventi e le situazioni della vita, che lo portano a sollevarsi in volo soltanto se assolutamente necessario, ed al massimo per qualche centinaio di metri. Questo emblema vivente dei calzolai africani, sotto numerosi punti di vista, percorre l’anacronistica leggenda di se medesimo.

Le vocalizzazioni del becco a scarpa si limitano a un occasionale muggito e qualche fischio leggero ogni tanto. Ben più frequente, invece, è il rumore che fanno battendo il becco, allo scopo di attirare l’attenzione di una potenziale compagna. I piccoli nel loro nido, invece, producono un pianto che assomiglia in maniera impressionante al singhiozzo umano.

Un altra difficoltà che condiziona la cicogna/pellicano nel mondo moderno è come talvolta sembri che nessuno zoo possa realmente fregiarsi di tale nomina, se non ne possiede almeno una coppia di esemplari: il parco zoologico di Ueno a Tokyo, quello di Lowry in Florida, il celeberrimo zoo di San Diego… Ovviamente, l’effetto di una simile presenza all’interno di una voliera sarà pressoché assicurato. Il becco a scarpa è tanto inusuale e rigido nelle sue movenze, da poter sembrare al primo sguardo una sorta di animatronic, finché non ci si avvicina abbastanza da scoprire d’un tratto la verità: che nient’altro di simile, nei fatti, abita questo pianeta. Ciò senza neppure considerare la sua indole molto mansueta con gli umani nonostante il furioso cipiglio, che permette di avvicinarsi, accarezzarlo e dargli direttamente da mangiare. Il successo sarà assicurato! Ma benché resti indubbio che simili istituzioni abbiano grandemente a cuore il benessere dei loro grandi ospiti pimati, c’è un problema fondamentale nel prelevare l’uccello dall’habitat naturale ed abituarlo alla vita tra gli umani: la riproduzione in cattività, dopo al massimo una singola generazione, tende a diventare pressoché impossibile. Questo perché i piccoli, una volta sviluppato l’imprinting coi loro guardiani umani, perdono qualsiasi inclinazione naturale alla ricerca dell’accoppiamento. Come di consueto, purtroppo, ai margini di questa grande passione dei visitatori stranieri di ogni età per l’uccello africano è nato un commercio clandestino piuttosto ingente, con conseguente riduzione delle future coppie in grado di prolungare l’esistenza nei suo ambienti d’origine naturale.
L’unica cosa che ha salvato, almeno fin’ora, il Balaeniceps dallo sprofondare ancora più in basso nell’indice delle specie a rischio d’estinzione è la sua abitudine a vivere in zone particolarmente remote, non propriamente facili da raggiungere senza una guida nativa delle nazioni occupate dal suo areale. Nelle sue paludi remote, dunque, l’uccello continua a cacciare indisturbato. Con un metodo molto caratteristico, del tutto diverso dalle complesse strategie dell’airone, o la metodica perlustrazione della cicogna: esso, infatti, scruta lo specchio d’acqua torbida da lontano, poi si lancia in una lunga e scomposta rincorsa. Nel momento di ghermire il pesce, si sbilancia in avanti con la sua testa enorme, finendo per prendere anche un ammasso di terra, detriti e vegetazione. Quindi, una volta uncinato adeguatamente il pasto mediante l’impiego dell’apposito rostro, inizia a scuotersi come una sorta d’insolito coccodrillo, gettando ovunque il materiale indesiderato. È quasi comico, a vederlo. Altri aspetti del suo ciclo vitale, invece, non risultano poi così divertenti…

Quale sarà il preciso momento, nella breve vita del piccolo, in cui esso decide di essere il più forte? Quale senso di trionfo esso proverà, inziando a torturare il suo stesso fratello?

La strategia riproduttiva del becco a scarpa risulta essere, in effetti, piuttosto peculiare. Una volta stabilito il rapporto di coppia, il maschio e la femmina diventano molto uniti, ed iniziano a lavorare assieme alla preparazione del nido. Che assume l’aspetto, generalmente, di una zattera intessuta d’erba e terra, dalla larghezza approssimativa di circa 3 metri. Al suo interno, quindi, vengono deposte esattamente due uova. La piattaforma può trovarsi a riva, oppure semi-coperta dall’acqua e sarà difesa ferocemente dai futuri genitori, che pur non avendo predatori una volta adulti, temono giustamente per il benessere della propria prole, che dovrà dipendere strettamente da loro per un periodo di almeno tre mesi. O meglio, se vogliamo essere più crudelmente specifici, del proprio singolo figlio. Perché il Balaeniceps, come sua prerogativa imprescindibile, dopo un breve periodo di prova, ne nutre e riconosce soltanto uno. Mentre il secondo, inevitabilmente, dovrà perire. Non appena determinato il fratello più forte, più vivace e più spietato, la madre e il padre (entrambi contribuiscono alla cura del principe erede) inizieranno a portare il cibo e l’acqua soltanto a lui, riconfermando ed acuendo la debolezza del pulcino più sfortunato. Verso il raggiungimento dello stadio finale, quindi, sarà il fratello stesso a rendergli la breve vita impossibile, beccandolo e ferendolo a più riprese. In molti casi, esso perirà sotto le sferze di quell’arma spietata.
E non c’è niente di innaturale, nonostante ciò che potremmo pensare, in questo particolare comportamento. Fu piuttosto determinato dallo stesso stato dei fatti, attraverso il transito dei secoli ereditati, che soltanto adottando un simile comportamento il Balaeniceps poteva assicurare la continuità della propria specie. Soltanto nella struttura complessa di una società civile può sussistere la realtà in cui tutti hanno un valore, potendo contribuire al benessere ed alla realizzazione comunitaria. Nel mondo degli uccelli, invece, non esiste comprensione, empatia, alcun senso di pietà. Nonostante gli inchini, utili soltanto a salvare le apparenze, e il battito allegro dei becchi affilati come rasoi.

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