Un treno in corsa contro la foresta canadese

Il candido manto dell’inverno che ti opprime da ogni lato, mentre le rotaie si nascondono sotto la neve. I rami schiaffeggiano i lati della locomotiva, quando addirittura non si trovano distesi innanzi al suo passaggio. E il pilota assieme a loro, i testimoni della follia, che ridono, sghignazzano come un branco di jene. Quale terribile evento meteorologico ha colpito questa ferrovia, sperduta tra i recessi delle Rockies, alte montagne dell’inverno nordamericano? Nulla, niente di particolare. O di diverso dalla consuetudine della Columbia Britannica, luogo sito nel distante Settentrione canadese, dove gli influssi del clima artico lanciano strali congelanti e deleteri, mentre i venti di tempesta scendono dall’alto, per delimitare il passo ed i confini della via. Non sono del tutto sicuro che altri ferrovieri, nella stessa situazione, si sarebbero comportati in questo particolare modo: perché consegnare il carico in orario, o portare a destinazione i passeggeri a tutti i costi, dev’essere per costui un vero punto d’onore, o un sacro ordine dall’alto un po’ come per il Tom Hanks naufrago di Castaway, che tenne chiuso l’ultimo dei suoi pacchetti assieme al senso del dovere e l’arduo appiglio alla sua sanità mentale. Oppure costui vive la vita alla ricerca dell’adrenalina, la sostanza psicotropica che tutti abbiamo in circolo nel nostro corpo, senza la necessità di assumere costose e pericolose droghe. Fatto sta che questa corsa non si arresta, ma piuttosto accelera, ad ogni palesarsi d’ulteriori rischi veicolari. E tutti gli altri chiusi in questa mistica cabina di comando, che se non fosse per gli urti e gli impatti sembrerebbe galleggiare nell’Empireo delle possibilità, ridono e sghignazzano, probabilmente per esorcizzare la paura. Oppure forse, perché tutto questo, per loro, rappresenta una semplice routine.
Certo, è un video che insinua il seme del dubbio nelle nostre menti. Siamo cresciuti considerando questi giganti d’acciaio e vetro, i treni, come una sorta di delicati dinosauri provenienti dai presupposti di un’altra era. Grossi e forti, eppure limitati all’uso delle sole ferrovie. Che faticano a frenare, e non possono sterzare neppure di mezzo grado, al fine di evitare un ostacolo di qualche tipo sui binari. Negli Stati Uniti, in particolare, esiste una diffusa credenza popolare secondo cui basterebbe lo spessore di un singolo penny, disposto ad arte sui binari, per guidare le ruote ferrate fuori dagli stessi, causando un deragliamento con eventuale disastro ferroviario. Si, come no. Se così fosse, quanti pazzi avrebbero trovato il loro hobby in questa particolare attività? La legge della conservazione dell’energia ci fa comprendere come è impossibile, semplicemente inconcepibile da un punto di vista fisico, che un oggetto di pochi grammi influenzi in qualsivoglia modo questo veicolo che pesa 200-250 tonnellate per quanto concerne la sola locomotiva.  Ma forse, un albero… Beh, volendo alzare il tiro fino a questo punto, basti dire che esistono diverse scuole di pensiero. La maggior parte delle compagnie ferroviarie, nel caso di oggetti arboricoli sui binari, prevedono una precisa e lunga procedura con fermata straordinaria del treno ed arrivo di un team specializzato (di boscaioli?) con la precisa missione di ripristinare la piena utilizzabilità dell’importante infrastruttura. Fare la stessa cosa nel bel mezzo di una fitta nevicata, tra le dense macchie d’alberi ed il suolo cedevole del muskeg (la palude congelata) sarebbe decisamente molto, molto più complicato.
Ecco dunque la soluzione, il prodotto di un senso pratico che esula da quello in possesso di noialtri gente comune: semplicemente procedere, come se nulla fosse, verso l’obiettivo. È una visione vagamente surreale, perché ogni volta che il treno incontra un albero caduto, sembra impossibile che il macchinista non azioni almeno brevemente i suoi freni. Mentre la realtà, probabilmente, è che farlo avrebbe un effetto anche più deleterio. Proseguendo a gran velocità, invece, l’effetto è chiaro: ogni tronco, non importa quanto largo, viene letteralmente tagliato a metà, sezionato ai lati contrapposti dell’imprescindibile via. La corsa prosegue finché all’ultimo, sul finire del video, avviene qualcosa d’inaspettato: all’improvviso l’atmosfera festosa tra i presenti si placa. Qualcosa di titanico, gargantuesco, ha trovato posto sulla fila parallela dei binari: un intero ramo degno di una sequoia, o in altri termini un intero pino, si è graziosamente sdraiato nel peggiore dei luoghi. Cala il silenzio mentre un pensiero si propaga: ce la faremo, ce la faremo…

Buongiorno. Sono il tenente del Corpo Ingegneri della Seconda Armata affiliato al Comitato di Ricerca sulla Difesa Nazionale di Claiborne-Polk, proveniente dal penultimo anno della seconda guerra mondiale: 1944. Oggi giunto proprio qui in bianco e nero, innanzi a voi, per dimostrare qualcosa di probabilmente inaspettato. Ovvero, l’estrema resilienza e adattabilità di un comune treno a vapore. Quando siete pronti, osservate il breve film soprastante. Come potrete certamente notare, ci sono io, assieme ai miei colleghi, che mettiamo in pratica un particolare esperimento, mirato a dimostrare la complessità di effettuare un sabotaggio dietro le linee nemiche. Che ci volete fare, in guerra tutto è lecito, come in amore. Intendo l’amore per i trenini elettrici, ovviamente. A-hem. Signori, per piacere. Le domande alla fine. Come in ogni applicazione del metodo scientifico che si rispetti, quel giorno ormai distante in Louisiana decidemmo di fare le cose procedendo per gradi. Perché è ovvio, assolutamente scontato, che disponendo 30 Kg di plastico su una curva in montagna di una ferrovia tedesca o giapponese, si potrà ottenere facilmente il blocco a lungo termine della stessa, con molte potenziali vittime tra il personale militare (o civile) a bordo del mezzo stesso. Ma a nessuno piace andare in giro con tanto esplosivo addosso, senza contare l’immediata fucilazione a cui si sarebbe andati incontro in caso di cattura da parte del nemico. La nostra domanda per questo, signori, era di tutt’altro tipo: “Qual’è il minimo sforzo necessario per far deragliare un treno?” Beh, a questo punto lasciate che ve lo dica. Molto, ma molto più di quanto persino noi ci aspettavamo. Perché una locomotiva, sostanzialmente, è un po’ come un mulo. Testarda e una volta acquisito le specifiche del suo percorso, quasi impossibile da inviare altrove. Persino distruggendo sistematicamente quanto possiede di più importante al mondo, ovvero i suoi binari. Vi presento a seguire, per meglio comprenderlo, i risultati dell’esperimento compiuto in più passaggi dalla stessa, condannata locomotiva:

1 – Nel primo caso, abbiamo disposto una piccola quantità di esplosivo su un lato dei binari, rimuovendone una sezione di circa 30 cm. Sostanzialmente, si tratta di un approccio soltanto lievemente più aggressivo della proverbiale monetina, che molto prevedibilmente, non ha sortito alcun effetto significativo.

2 – Il foro è stato replicato, con un pezzo di binario da 60 cm lasciato integro in mezzo ai due punti danneggiati. Di nuovo, il treno è sembrato accorgersi appena del problema.

3 – A questo punto, la sezione centrale è stata rimossa, ottenendo un solo buco di quasi un metro. Di certo, penserete, sufficiente a far deragliare la locomotiva? Sbagliato. Anche se da questo punto in poi, le carrozze vuote trainate dalla stessa hanno iniziato a sobbalzare nel punto del singolo binario mancante, con un effetto certamente piuttosto preoccupante.

4 – Cosa fare, a questo punto? Se non replicare il danno anche sull’altro lato, sperando che ciò fosse sufficiente a fermare il treno. Che come dovremmo tutti sapere fin tropo bene, viaggia soltanto sui binari, e senza gli stessi…Dovrebbe certamente finire fuori strada. Un altro errore: la locomotiva passa tranquillamente, le carrozze sobbalzano vistosamente ma tornano ben presto in carreggiata.

5 – Dato che a quanto pare, la simmetria del danno aiutava l’andamento del treno, piuttosto che ostacolarlo, si è deciso di rendere asimmetrica la sezione dei due binari mancanti, facendoli ripartire in punti diversi. Questa particolare soluzione si dimostrò inefficace ad incrementare il pericolo di deragliamento.

6 – “Basta, ci siamo stancati.” Iniziavano a sussurrare alcuni degli ufficiali presenti. Fu deciso a questo punto, in una sorta di anticipazione notevole di quel programma Tv che voi moderni chiamate MythBusters, di far deragliare il treno a ogni costo. Un singolo binario, quindi, fu fatto saltare per un tratto di un metro e mezzo. Determinando, finalmente, la distanza minima necessaria ad ottenere il risultato desiderato: perché a questo punto la locomotiva, che comunque si sarebbe dimostrata in grado di saltare persino un simile crepaccio, fu tradita dai suoi seguaci vagoni, che in funzione dell’ultimo e più terribile sobbalzo finirono per scivolare graziosamente di lato. Missione compiuta, boys.

Mentre al giorno d’oggi, che noia: piuttosto che mandare a scatafascio i treni, si tenta di fare il possibile per salvarli. Di sicuro la soluzione canadese risulta più rapida, ma è pur vero che fermarsi un attimo a pensare, in determinati casi, può giungere a salvare delle vite.

Che cosa vi aiuta a capire tutto questo? Fondamentalmente, che far deragliare un treno è molto più difficile del previsto. Anche se in determinate condizioni, può succedere all’improvviso, tra l’assoluta impreparazione generale: è questo, ad esempio, il caso del celebre disastro di Pomont, in Scozia, quando un intero convoglio fu fatto deragliare dal semplice urto con una mucca, scappata da una recinzione vicina. In quella tragica occasione, ben 13 persone persero la vita (oltre, ovviamente, al bovino). Non si può mai scherzare sulle strade ferrate. Il che ci dimostra, se mai ce ne fosse stato bisogno, che l’apparente incoscienza del ferroviere canadese proveniva in realtà da una precisa preparazione tecnica, che gli permetteva di conoscere il rischio specifico nell’affrontare, e fare a pezzi, ciascuno dei tronchi che si trovavano sui binari. Del resto se è vero che all’interno del logo della Canadian Pacific Railway figura un castoro, dovrà pur esserci una ragione!
Giunti al termine della fantastica scena, come dicevamo, l’ultimo dei treni si trova al cospetto della sua nemesi più temuta. Un ramo, se non un vero e proprio tronco, più grande e spaventoso di qualsiasi altro incontrato fino a quel punto. Scene apocalittiche si profilano nel pensiero degli spettatori, che rivanno con la mente all’impatto diretto con autoveicoli o camion, generalmente alla base di danni, e qualche volta conseguenze fisiche umane, anche piuttosto gravi. Ma caso vuole che il semplice legno che ostruisce il passaggi, allo stato dei fatti, non sia assolutamente nulla, rispetto alla distruzione stessa di tale passaggio, ad opera di un gruppo di soldati sul finire della seconda guerra mondiale. Mordendo ferocemente l’ostacolo, il mostro d’acciaio sembra trasformarsi nell’approssimazione di un articolato T-Rex alle prese con il diplodoco, sbranato e distrutto dal transitare della sua terribile furia. In un attimo, l’ostacolo diventa rametti, quindi inoffensiva segatura. Il sangue dei presenti, invece, resta ghiaccio nelle vene, mentre la calma che nasce dall’esperienza assume il controllo dell’intero personale in cabina. O Canada! Ton front est ceint de fleurons glorieux!
Per fortuna, sembra che il carico di sciroppo d’acero per la festa del Jour de la Confédération sia salvo. La finale del campionato di hockey, a questo punto, potrà svolgersi nel modo previsto e farà la gioia dei più remoti, gelidi, esperti sudditi di Sua Maestà, la Regina.

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