Le avventure del ciclista che pedala nello spazio-tempo

I sogni sono una breve pazzia, e la pazzia un lungo sogno. (Arthur Schopenhauer) E adesso, qualcosa di diverso. Per un pubblico, quello di Internet, da molto tempo abituato alle sfrenate evoluzioni, le discese a rotta di collo, le corse folli organizzate dagli sponsor più importanti, come la Red Bull. Tutti abbiamo sognato, almeno una volta, di staccare i nostri piedi dal terreno e mettere le ali. E voi pensate, forse, che gli uccelli non si sentano incompleti, quando guardano qualcuno camminare? Così come uno sportivo, nelle ore diurne, può tentare di seguire i grandi nomi, per tentare di veder iscritto il proprio nome negli annali. Ma è soltanto nel profondo della notte che può esprimere il suo vero io. Tutto, tutto, TUTTO questo non può che si svolgersi all’interno di una stanza. Della quale, a conti fatti, ci viene mostrato molto poco: il cuscino azzurro, i quadri alle pareti, la coperta a righe stile Navajo, Mike Hopkins a occhi chiusi, dormiente placido e sereno. Già lo conoscevate? Mike Hopkins, il ciclista e discesista del freeskiing, protagonista ormai da qualche tempo delle splendide pubblicità della compagnia Diamondback, specializzata in biciclette in materiali dell’epoca spaziale, adatte per gli impieghi più diversi. Visto il prezzo medio, preferibilmente di tipo professionale. Oggetti in grado di aprire molte porte. Soltanto chi davvero lo capisce, può trovare la chiave segreta per aprirle. Come…lui? Anzi loro: perché siamo appena alla terza o quarta inquadratura, quando di ciclista ne compare un altro uguale, a palesarsi lì, dal fondo della stanza. Il doppelgänger, l’alter-ego, il Puer aeternus, l’interiore spirito di Peter Pan? Può essere. Io preferisco pensare che si tratti di quello vero, mentre l’altro, addormentato, resta solamente un guscio vuoto fino al ritornare della sua anima incorporea. Per la quale, a quanto pare, il copione della scena aveva in serbo una sfrenata serie di avventure. Titolo: DreamRide 2.
Quindi forza, bando ai sentimentalismi. “Vecchio amico, eccoti qui” (un saluto nostalgico alla nuovissima bicicletta Release 3, prezzo di listino appena sopra i 4.000 dollaroni, ma mentre scrivo… È scontata, che fortuna!) Si comincia… Dalle Hawaii, l’isola omonima dell’arcipelago volendo essere specifici, forse dalle parti delle coste di Hamakua. Prima Vera Scena, il Viaggiatore è in mezzo a una foresta. Primordiale, ancor prima che pluviale, di un verde intenso come la polpa di un Kiwi, grazie a un mare di eucalipti e alcuni dei bambù più grandi che io abbia mai visto. Ma poiché siamo in un sogno, dove tutto è lecito come direbbe Assassin’s Creed, non poi c’è una grandissima attenzione alle ragioni dell’umana prudenza, né del resto è un corpo vero, soggetto ad alcun tipo d’infortunio… Il protagonista corre dunque a una velocità ben oltre l’umano, schivando tronchi a destra e a manca come fossero fuscelli, in una fedele riproposizione dell’inseguimento celebre nell’unico e solo terzo film di Guerre Stellari. Meno gli orsetti assatanati, i nazisti spaziali e l’incombente raggio della morte planetario. Meri e semplici dettagli. Finché non si giunge, giustamente, all’imboccatura di un’oscura caverna, dentro la quale pare che albergasse il buco nero a verme della misteriosa Singolarità. Visto come, al primo giro dei secondi, Mike si trova all’improvviso sopra un lago ghiacciato, che dalla regia ci svelano essere, molto gentilmente, Abraham Lake, nell’Alberta canadese. Subito seguìto da una ripida discesa per i monti della zona di Revelstoke, Columbia Inglese, fino ad un paesaggio di nubi incorporee, turbinanti, sopra un grande e incomparabile vuoto. Per poi tuffarsi nuovamente, nelle fiamme del Monte Fato, ed al di là di esse, una pianura d’ossidiana fusa, di ritorno sulle coste di quell’isola, perennemente in crescita, dalla furia mai sopìta. Dove sulla costa, finalmente, si ritrova quella porta che conduce alla sua camera da letto. Nient’altro che un rettangolo d’assi di legno, il cui contenuto, a conti fatti, appare totalmente scollegato dall’ambiente circostante. Una volta attraversata, quindi, essa sparisce. Ma chi può dire, realmente, quando avrà ragione di spalancarsi di nuovo con tutta la sua luce?

Le location del primo DreamRide includevano Utah, Nevada, California, Oregon, e lo stato di Washington, ripresi durante l’autunno del 2015. L’impiego di una vera e pesantissima porta d’epoca come “varco spazio-temporale” in quel caso, comportò non pochi grattacapi per il team di produzione.

Cosa abbiamo visto, dunque? Molte cose. Ma sopratutto la visione del regista, ciclista e produttore canadese Scotty Carlson, che pur avendo lasciato nei credits finali il merito di questa singola pubblicità ad altri, tra cui sopratutto il ciclista stesso, resta il fondatore ed organizzatore nel quotidiano dei Juicy Studios, agenzia pubblicitaria anti-conformista che, nelle sue stesse parole: “Usa poco Internet, perché si trova in mezzo alle montagne. Passa molto tempo in mezzo alla natura. I nostri clienti devono capirne la ragione.” Non a caso, suo era stato uno dei migliori cortometraggi del settore prodotto nel mezzo dello scorso anno, il primo DreamRide sempre per la DiamondBack.
L’idea, del resto, era per sua stessa ammissione nata da un dialogo con il vecchio amico Mike Hopkins, noto portavoce dell’azienda produttrice di formidabili biciclette. Molti sono gli elementi ricorrenti tra i due video, quali il tema del sogno, la scelta di location estremamente curata e la fotografia pressoché perfetta, più che sufficiente a dimostrare la perizia tecnica di ciascuna delle personalità coinvolte. E poi la voce di sottofondo, appartenente al narratore Graham Tracey, che declama i versi di una semplice ma comunque coinvolgente poesia in rima (alcuni dei commentatori americani la definiscono “seussiana“) sui meriti di realizzare se stessi, abbandonare le convenzioni, pedalare verso l’obiettivo senza alcun tipo di tabù residuo. Tutto piuttosto in linea con le aspettative, insomma. Tranne i meriti estetici e situazionali. Perché in effetti, come accennavo in apertura, quanti sono oggi i video dedicati al ciclismo e la mountain bike che scelgono di avere come unico protagonista e non tanto nascosto solamente lei, la Natura? Per di più, tra quelli realizzati a scopo pubblicitario… Non le fantastiche evoluzioni dello sportivo, né le prestazioni ineccepibili del suo mezzo. Non le ragioni e la finalità della sua corsa folle. Ma il viaggio stesso, tra fronde, rocce, cime scoscese e valli ripide, fin dentro la caverna delle aspettative ormai svanite. Tutto questo Scotty Carlson, è facile intuirlo, deve comprenderlo molto bene, come si può evincere anche dall’intervista rilasciata in occasione dell’uscita del primo video a Mountain Culture Magazine, dove parla della sua infanzia trascorsa nella regione rurale canadese dei Kootenay (di nuovo, Columbia Inglese) mentre suo padre lavorava come addetto in una fabbrica di legno pressato, e lui passava gli inverni in snowboard, e le estati in mountain bike. Una storia non poi così diversa da quella dello sportivo e scrittore Mike Hopkins, protagonista fisico dei due cortometraggi, originario di Rossland (stessa zona geografica) che per dare maggior spazio alle sue passioni, dall’epoca della raggiunta maturità ha iniziato a viaggiare per il mondo, allo scopo, nelle sue stesse parole di “inseguire l’estate” Finché la sua stessa madre non ha iniziato a chiamarlo, scherzosamente, “my global boy.” Personaggi diversi, dunque. Ma grandi amici. La cui sinergia appare più che mai evidente, nell’abilità con cui riescono a trasmettere i maggiori meriti dei rispettivi stili di vita.

Qualcuno ricorda, come ispirazione per la serie Dreamride, il lungometraggio di Derek Frankowski e Ryan Gibb del 2011 Lifecycles, anche complice la stessa voce narrante di Graham Tracey. In quel caso le immagini erano simili, ma il messaggio differente: verteva maggiormente sul significato e l’intera vita di una bicicletta, a partire dalla sua fabbricazione tra le fiamme di una fabbrica giapponese.

E tutto questo è semplicemente fondamentale. Perché l’obiettivo di una pubblicità riuscita non dovrebbe essere, in teoria, meramente mostrare i meriti del prodotto, bensì offrire una chiave interpretativa della sua logica generativa, ed un modo per interpretarne e modularne l’esistenza. Quale miglior modo, dopo tutto, di connotare un oggetto del desiderio, che mostrarne il significato e la logica più profonda… Per questo, quando il protagonista definisce attraverso le rime della voce narrante la bici, appena entrata in produzione, come suo “vecchio amico” non dovremmo quindi sentirci offesi. Lui afferma di conoscerla da tempo, perché ciò che segue non dovrebbe rappresentare il passato. Né il presente. Ma un possibile futuro… Che potrebbe essere anche il nostro, chissà.
In ultima analisi, potete davvero affermare, in tutta sincerità, di non aver desiderato una simile esperienza neanche per un singolo secondo? Qualche volta, sognare costa decisamente meno. Ma è nel fulmineo attimo in cui si sollevano le palpebre verso l’alto, che vengono prese le decisioni più importanti dell’anno.

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