Uno sguardo allarmante sul domani della realtà aumentata

Hyper-Reality

Una domanda…Estenuante. Quella che sceglie di porsi il designer pubblicitario ed artista con base a Londra, Keiichi Matsuda, creativo che ospita sul suo curriculum dei grandi nomi e loghi dell’attuale panorama commerciale, tra cui il colosso italiano Bulgari, per il quale ha realizzato un affascinante cortometraggio pubblicitario intitolato Vedute di Roma. Ma se quella è la parte del suo lavoro che potremmo anche considerare, se vogliamo, come maggiormente remunerativa, all’altro lato dello spettro troviamo un’opera come questo HYPER-REALITY, una breve sequenza di apparente fantascienza speculativa che appare al tempo stesso, tuttavia, distopica e stranamente seducente, sia pure solo per il semplice fatto che è così terribilmente simile alla nostra situazione attuale. Con l’unico corollario, tutt’altro che improbabile allo stato attuale dei fatti, di aver sostituito i nostri inseparabili smartphone con un visore virtuale in grado di creare la AR (Augmented Reality) ovvero una sovrapposizione basata sui nostri gesti e movimenti di fisicità e finzione, un vero e proprio “miglioramento” di tutto ciò che condiziona e osteggia il più utopistico svolgersi del nostro quotidiano.
Chi tra voi frequenta assiduamente certi lidi dello spazio digitale, come forum, bulletin boards, gruppi di discussione o addirittura videogames, avrà probabilmente familiarità con l’espressione spesso usata, sopratutto dagli anglofoni, di “IRL” ovvero l’acronimo che sta per “In Real Life” (nella vita reale). Una locuzione dai molti utilizzi, che tuttavia scaturisce dalla fondamentale astrazione, più o meno veritiera, che esista un velo impenetrabile che separa Internet dalla nostra fisica quotidianità, esattamente come c’è tra mente ed anima, muscoli e sentimenti. “Vedo che siete amici! Conosci quello stregone di livello 45…IRL?” Oppure: “Ieri non mi hai risposto fino a tarda sera, per caso hai avuto qualcosa da fare…IRL?” Sono soltanto due esempi di comunicazione efficace, perché trasmette in pochi termini un concetto che il ricevente, a meno d’imprevisti, comprenderà senza grossi presupposti di fraintendimento. Eppure, pensateci: non c’è niente di più “Vero” del web. In questo preciso istante, posso visitare un sito di e-commerce ed inserire la mia carta di credito, per ottenere che un’azienda sita a molti chilometri da me prepari un pacco coi prodotti di cui ho bisogno, quindi li spedisca prontamente fino a casa mia. Oppure, potrei aprire Facebook per rivelare istantaneamente i miei pensieri segreti a una compagna di università, per intraprendere un sentiero che potrebbe rivoluzionare, chi può dirlo, entrambe le nostre vite prevedibili e noiose. Posso trovare lavoro, su Internet. Potrei addirittura utilizzare un simile strumento per violare la legge, se mi svegliassi un giorno con una diversa personalità. Ed io dovrei pensare, a questo punto, che tutto ciò sia ancora niente più che”Virtuale”… Suvvia! Dev’esserci un’ottima ragione se un tale termine, tanto popolare verso la metà degli anni ’90, al punto che si ritrovava addirittura sulle buste delle patatine, è finito per passare in secondo piano rispetto a ben altri, assai più pregni e significativi. Come per l’appunto, la realtà aumentata. Ed anche…Un qualche tipo di ottimismo, immotivato e latente.
Una vita trascorsa di fronte al computer. Svegliarsi la mattina, di buon ora, per recarsi fino al luogo di lavoro, dove nella maggior parte dei casi ci si troverà dinnanzi ad uno schermo fluorescente. È una semplice realtà del mondo di oggi: non importa che si faccia gli avvocati, i commercialisti, gli impiegati delle poste. Addirittura ormai, i professori o i commercianti. Un’alta percentuale del proprio sapere professionale, acquisito magari tramite i molti anni di esperienza, dovrà tradursi nella pressione ripetuta di una serie di pulsanti su tastiera, al fine di ottenere un qualche prezioso, desiderabile risultato. Come in una sorta di materialistico MMORPG (gioco di ruolo online). E parlando di quest’ultimo, o altri simili passatempi, non è nemmeno improbabile che consumato il proprio pasto serale, l’impiegato al di sotto di una certa età scelga d’accendere nuovamente il PC di casa, per mettersi a combattere gloriosamente contro orchi, nani, carri armati ed elfi. In quella stessa, identica, fisicamente statica maniera. Così l’unico momento in cui siamo davvero liberi, in un certo senso, diventa quello degli spostamenti tra un computer e l’altro, quando nonostante tutto ci troviamo costretti a fare attenzione a dove mettiamo i piedi, al colore dei semafori e alle schiene da schivare, oppure i fanalini di coda, dei nostri consimili e conviventi, in pura carne e dure ossa. E se persino quei fugaci momenti in cui torniamo simili alle generazioni dello scorso secolo (e tutti quelli venuti prima) d’un tratto all’improvviso, dovessero sparire?

Domestic Robocop
Il progetto HYPER-REALITY, in parte finanziato da Matsuda grazie ad una sua pubblicazione sull’immancabile portale Kickstarter, costituisce in realtà il coronamento di una ricerca artistica intrapresa già all’epoca della sua tesi “Domesti/city: lo spazio della casa dislocato nella realtà aumentata”. Un tema analizzato, con modalità vagamente umoristiche, anche nel qui presente cortometraggio del 2010, Domestic Robocop.

È un vero piccolo capolavoro di attenzione ai dettagli e ricercatezze estetiche pregne di significato, questo suo nuovo HYPER-REALITY (vedi link di apertura) in cui ogni elemento del contesto narrativo è usato per veicolare un messaggio complesso e stratificato, che tuttavia non viene mai esplicitamente reso noto allo spettatore, il quale viene piuttosto chiamato ad elaborare una sua specifica impressione. Il semplice racconto segue una parte della giornata di Juliana Restrepo, un’abitante come tutte le altre della città colombiana di Medellìn, centro abitato da due milioni e mezzo di persone che negli anni ’70 fu celebre come quartier generale di uno dei più forti, ed operativi cartelli della droga dell’intero continente americano. Un luogo dunque, così apparentemente conforme alle tipiche ambientazioni cupe del genere cyberpunk, tuttavia selezionato da Matsuda anche per la capacità delle amministrazioni cittadine, più volte encomiata anche dalla comunità internazionale, di ripulire il centro urbano e riammodernarlo tramite infrastrutture finalizzate alla diffusione della cultura, biblioteche e musei.
Siamo quindi chiamati a conoscere la nostra eroina in un momento particolarmente prosaico, ovvero mentre si sta spostando grazie a un autobus verso il suo luogo di lavoro di giornata: un comunissimo supermercato. La ragazza gioca ad un’evidente parodia dei nostri giochi per cellulare più basici ed istintivi, che tuttavia riesce, in qualche modo a noi mai chiarito, a visualizzare come un’immagine sospesa al centro del suo campo visivo. Ella è infatti, completamente connessa ad un mondo multiforme e probabile di servizi fondati sulla realtà aumentata, che la tiene informata sullo stato degli attraversamenti pedonali, sulla posizione delle persone e sulla distanza da percorrere fino alla sua meta. Nel giro di pochi secondi, l’evocazione di una sorta di “fantasma motivazionale” con evidenti finalità di sprone personale a fare la cosa giusta, nonostante il poco desiderio, comprendiamo l’obiettivo della sua svogliata escursione, che consisterebbe nel fare la spesa per conto di un certo Mr D. Jurado. La scena successiva è forse quella maggiormente accattivante, con Juliana che cammina tra i corridoi del negozio, avendo “adottato” sul suo visore misterioso una sorta di cagnolino, il quale seduto sul suo carrello della spesa attende di essere “nutrito” grazie al bonus dei prodotti in promozione, mostrati in AR come piccoli ossi o biscottini. Un fatto a cui viene data notevole preminenza, e che appare particolarmente caro alla protagonista, è che i punti accumulati in questo modo rimarranno suoi al termine della missione, permettendogli di accumulare un qualche tipo di status o livello nella sua scelta di carriera (non necessariamente volontaria) che il sistema identifica chiaramente come Job Monkey (scimmia lavoratrice). Ed alla fine, si elabora un pensiero: è possibile che in questa società futura, superato il concetto di denaro, il successo delle persone venga unicamente misurato da un portafoglio non spendibile ma soltanto destinato ad accrescere gradualmente, in qualche modo simile ai livelli di un odierno videogame…E tutto sembrerebbe, nonostante tutto, procedere per il meglio. Finché non si verifica all’improvviso la più orribile Peripezia….

Augmented City 3D
Un altro excursus dell’autore anglo-giapponese nel fantastico mondo della realtà aumentata si è verificato nel 2013, con questo intrigante Augmented City 3D, nel quale lo spazio urbano viene ridefinito grazie ad icone, texture, sovrapposizioni…

È un qualcosa che molti di noi, sopratutto tra gli utilizzatori di computer più di vecchia data, hanno sperimentato in qualche breve momento allarmante della propria vita: l’attacco di un non meglio definito virus informatico. Mentre Juliana procedeva stoicamente la sua spesa, d’un tratto il suo account è “sotto attacco” ed il visore inizia a visualizzare, al posto del rassicurante cagnolino, quella che potrebbe essere l’interfaccia personalizzata da un diverso utente, con una sexy girl che fa capolino dal cestino del carrello, armata di una conturbante quanto improbabile mini-pistola. La periferia del campo visivo, nel frattempo, si riempie di pubblicità per un diverso target, come quella per un prodotto che “migliora la forma fisica ed aumenta la fertilità.” La vittima di questa situazione suo malgrado, non esita più che qualche secondo e chiama immediatamente il supporto tecnico, che dopo un passaggio dell’utenza al secondo livello degli operatori, si occupa di riavviare il suo dispositivo di visualizzazione. Durante lo spegnimento, per un attimo, ci viene mostrato il supermarket privo degli abbellimenti artificiali: una serie di comunissimi corridoi, ornati dai codici visuali di posizionamento, ovvero grandi cartelli a quadrettoni, usati dall’effettiva realtà aumentata dei nostri giorni per il posizionamento corretto delle immagini mostrate. Portato a termine un tale passaggio, la voce amica dell’operatore consiglia a Juliana di recarsi presso un punto di assistenza, arrivando a disporre una linea azzurra sul pavimento, che lei dovrà seguire fino all’obiettivo. Se non che, all’uscita dal supermarket, al situazione precipita ulteriormente: una donna malintenzionata, con il volto offuscato da un effetto digitale, l’aggredisce fisicamente colpendola in qualche modo alla mano. Quindi, forse usando il DNA del suo sangue, le ruba immediatamente l’identità.
Segue una scena piuttosto angosciante, con la ragazza che si dispera mormorando fra se qualcosa di simile a “I miei punti, i miei preziosissimi punti…” Senza preoccuparsi in modo eccessivo, apparentemente, della perdita di emoglobina che fuoriesce copiosa e rossa dall’arto ferito. Quindi ad un tratto, come colta da un’irrimediabile pulsione, la ragazza inizia a dirigersi verso una figura sull’alto lato della strada: molto presto si capisce che si tratta di una statua della Vergine Maria. Nel momento della più terribile disperazione, ella pare per un attimo apprestarsi a pregare, quando invece effettua un doppio gesto a scorrimento (lo “slide” dei cellulari) come in una sorta di versione tecnologica del segno della croce e riavvia il suo essenziale device, qualunque cosa esso sia. In un tripudio di scritte sfolgoranti, quindi, si affretta a stringere un nuovo patto: da quel preciso momento, Juliana è parte della Chiesa Cattolica, fedele di Livello 0.
Una vera e propria Rivelazione sulla via del quartiere commerciale di Medellìn? O forse soltanto una scelta temporanea e pienamente razionale, fatta per godere di una qualche protezione delle istituzioni fino all’arrivo della polizia? Questo non ci è dato di saperlo, almeno prima del concludersi del presente episodio. Ma niente paura, le nostre incertezze saranno (almeno parzialmente) chiarite: Matsuda ha già promesso che nei prossimi mesi rilascerà almeno altri due cortometraggi della serie Hyper-Reality, con protagonisti rispettivamente Emilio, un operaio e giocatore d’azzardo che troverà l’amore in un luogo inaspettato, e Marly, una celebrità locale dei social media, che subirà un qualche tipo di monumentale tradimento. Non possiamo che continuare a seguire i suoi profili con estremo interesse. Tramite uno schermo, per nostra fortuna, ancora ben lontano dalle nostre retine oculari.

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