L’imprescindibile collegamento professionale tra i piloti di elicottero e le ciliegie

“È tutto andato secondo il mio piano” medito tra me e me, continuando a interpretare la parte del perfetto anfitrione “Un pranzo degno di essere chiamato… Da manuale.” Indossando un rapido sorriso di circostanza, afferro quindi con la mano destra un piccolo frutto vermiglio. Lo porto all’ingresso della bocca. E lo mangio. Una profonda sensazione di dolcezza assale quindi le mie percezioni, mentre risalgo con la mente la precisa e articolata filiera che ha contribuito a trasportarci tutti quanti in questa sede conviviale, all’apice di un giorno uguale a tutti gli altri. Soltanto… In apparenza? Semi, semi che attecchiscono nel suolo fertile di una pianura vasta ed accogliente. Teneri virgulti che all’unisono si ergono, dividono, fioriscono ed infine danno vari i tipi di quel frutto che i latini definivano cerasus, oggi radunato sotto il termine ad ombrello di ciliegia. Seguìti dal possente rombo dei motori aeronautici, intenti a segmentare l’aria con il massiccio potere di almeno due spade sovradimensionate da samurai. Ma soprattutto convogliarla nella sua relativa secchezza, con notevole insistenza ed energia, all’indirizzo di quel luogo da cui normalmente tende ad elevarsi, il suolo terrigeno ed ingombro di vegetazione, sia selvatica che ordinatamente posta in essere dall’operoso consorzio agricolo degli operatori umani. Che ha specifiche e decise aspettative gastronomiche, in materia di ciò che può essere chiamato di valore, o in altri termini venir venduto a prezzo rilevante nei mercati globalisti delle circostanze presenti. Per cui ad esempio quella naturale tendenza del fragile dono al termine del ramo, a spaccarsi dall’interno ogni qual volta entra in contatto con eccessiva umidità ambientale, non è giudicata ragionevolmente accettabile né in alcun modo produttiva, nel perseguire l’obiettivo principale di chi pianta pratici filari di alberelli verdi ed ordinati, con lo scopo di raccoglierne i preziosi frutti, sia in termini commestibili che finanziari. Ecce, dunque, il ruolo dell’Oggetto Volante Facilmente Identificato, ovvero l’aerodina largamente utilizzabile soltanto grazie alle logiche dell’economia di (larga) scala a partire da un’epoca individuata convenzionalmente attorno alla metà degli anni ’90. Laddove qui da noi in Italia, o in altri luoghi coltivati a ciliegi come la Turchia o la Grecia, ci si accontenta infatti di coprire i frutteti con immensi teli impermeabili o trattare i frutti stessi con appositi prodotti idrofobici, sussiste negli Stati Uniti, in Canada ed Australia un particolare approccio alternativo. Che potremmo facilmente immaginare accompagnato dall’epico susseguirsi armonico della Cavalcata delle Valchirie. Wagneriana e quasi bellica esultanza, nell’eterno perpetuarsi del conflitto senza limiti tra uomo e natura. Condotto al suono assai riconoscibile e assordante del secondo apparecchio volante più diffuso nell’odierno contesto commerciale dei cieli…

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Lo stadio dove i treni arrivano sempre in tempo per il calcio di rigore

Al 78° minuto il centravanti del TJ Tatran, dribblando sulla parte sinistra del campo, si avvicinava minacciosamente alla porta della squadra che giocava fuori casa. Avendo faticosamente oltrepassato la ferrea difesa dei vorkunesi, per quella che doveva essere al massimo la terza… O quarta volta dall’inizio della partita, egli sapeva che questa poteva benissimo essere l’ultima occasione di riportare il match in pareggio, evitando una sconfitta che i ragazzi gli avrebbero rinfacciato questa sera al bar del club e per molte altre occasioni a venire. Mentre il portiere avversario seguiva pedissequamente ogni suo movimento, il suo ultimo terzino rimasto sulla strada del Cannone di Balog si preparò a intromettere il suo corpo lungo l’ipotetica traiettoria del pallone, flettendo le ginocchia per il salto poderoso della tipica strategia difensiva detta “alla Slovacca”. Così il leggendario pezzo d’artiglieria umano, valutando i pro e i contro, prese un’improvvisa decisione: avrebbe passato la torcia dell’onore al suo affidabile centrocampista, con un traversone calibrato attentamente per cadere qualche metro all’area di rigore della porta nemica. Vibrato il colpo, la parabola iniziò a salire e in base a una triangolazione per lo più acclarata, lo stesso fecero le grida emozionate di un pubblico di tifosi magari numericamente ridotto, eppur tanto eccezionalmente affiatato. Giusto mentre il piede del centrocampista stava per deviare l’energia notevole del colpo nello specchio dell’obiettivo, il fischio dell’arbitro riempì improvvisamente l’aria calda del pomeriggio. Era… Fallo? Fuorigioco? Cosa diamine stava succedendo? Molti dei presenti, s’immobilizzarono immediatamente. Un secondo suono sibilante, molto più forte, risuonò da oltre il cancello principale del campo di gioco. Che come in un film di Harry Potter, si spalancò in maniera del tutto automatica, lasciando che la grande bestia stagliasse il suo profilo di metallo contro l’erba verde delle meritate speranze (di vittoria). Accidenti, un treno a vapore! Serpeggiò il pensiero tra i presenti, in un raro caso di sincronicità perfettamente coordinata, mentre il colpo vibrato dal giocatore del TJ Tatran, più che vagamente perplesso dall’estemporanea contingenza, finiva per scagliare il pallone a perdersi nella nube di fumo bianco generato dal fiabesco convoglio della Čiernohronská železnica, giunto sulla scena in un momento particolarmente inappropriato. Rimbalzando contro la caldaia ferrosa della locomotiva, tuttavia, il pallone sembrò essere guidato dalla mano di un qualche tipo di Essere Supremo. Quando rimbalzando ad esattamente 45 gradi, ritornò verso il centro dell’area di gioco e saettando fulmineo sopra il suolo, impostò la straordinaria traiettoria necessaria per passare in mezzo alle gambe semi-aperte del portiere vorkunese. Ogni voce tacque, in un momento destinato a rimanere ben cristallizzato nella mente e gli occhi dei presenti.
Verso l’epoca dei pionieri americani, quando gli ampi spazi di un remoto continente parevano una letterale sfida al manifesto desiderio di conquista dell’uomo, sussisteva largamente la diffusa convinzione che il passaggio del treno fosse un momento ritualistico in grado di trasformare interamente il significato e il senso di un’intera vallata. “Se ci faccio passare i binari, diventa mio” pensavano tra se e se i facoltosi industriali del XVIII e XIX, mentre utilizzavano a tal fine luoghi incontaminati, riserve naturali, tradizionali villaggi indiani. Rocce preistoriche venivano tranquillamente traforate, con tutto l’entusiasmo di moderni saccheggiatori longobardi o le orde mongole di Cinggis Khan. E che dire, invece, del caso diametralmente opposto? Quello vissuto, ad esempio, da un piccolo paese della regione di Veporské vrchy, nel bel mezzo dei Monti Metalliferi (Rudohorie) dove alla chiusura di uno snodo ferroviario, la brava gente del popolo pensò bene di riutilizzare un punto di transito dell’antica strada ferrata al fine di giocare le proprie partite di calcio. Finché la caduta di un regime, e l’inizio dell’epoca contemporanea, non portò a un’assoluta marcia indietro sull’originale idea di partenza…

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Il più famoso ingegnere preistorico sfrutta i microbi per progredire all’Età del Ferro (di palude)

Esistono punti di svolta, nella progressione tecnologica dell’uomo, che aprono immediatamente i portali del cambiamento, lasciando indietro il semplice ricordo delle metodologie impiegate fino a quel momento. Vedi il modo in cui, attorno al XIII secolo a.C, tra i ritrovamenti archeologici della parte centrale del territorio europeo iniziano a scomparire quei particolari manufatti, creati dalla lega che è l’unione del rame e dello stagno. Questo perché la migliore alternativa, più resistente, duttile quando portata fino al punto di fusione, potenzialmente affilata, aveva la caratteristica di arrugginirsi e disgregarsi progressivamente al contatto diretto con gli elementi. Caratteristiche determinanti, di quel metallo bianco argenteo che siamo soliti chiamare “il ferro”. Apparentemente simile come presupposti di lavorazione, benché derivante da processi generativi totalmente differenti e non più basato sull’esistenza di un efficiente sistema dei commerci, causa la distanza geografica dei due componenti della lega impiegata fin dal tempo di culture risalenti ad oltre un millennio prima di quei giorni. Come esemplificato dalla famosa lettera su tavoletta d’argilla del 1.750 a.C. indirizzata ad Ea-nasir, mercante accadico che aveva venduto dei lingotti di rame di scarsa qualità al collega Nanni, il quale chiedeva indietro la somma corrisposta secondo “le norme del buon vivere civile”. Difficoltà pratiche, e commerciali, che sarebbero un giorno state lasciate indietro, con la scoperta del metodo a disposizione per poter sfruttare quella che costituisce una tra le più comuni e diffuse sostanze chimiche del pianeta Terra. Ce ne mostra i presupposti il nostro vecchio amico John di Primitive Technology, l’archeologo sperimentale della regione australiana del Queensland che diventò famoso anni fa per i suoi silenziosi video dimostrativi delle tecniche di architettura, ingegneria e lavoro utilizzate dai nostri più remoti antenati. Il quale senza l’utilizzo di profondi scavi o miniere, realizza in questo caso un metodo capace di permettere una via d’accesso alla terza, e più duratura, delle tre principali culture materiali dell’umanità pregressa. Partendo da un passaggio semplice ed altrettanto tradizionale, se applichiamo la logica alle nostre conoscenze dell’antica arte metallurgica di molte civiltà: l’individuazione di un acquitrino in cui l’acqua appare rossastra e le piante sembrano crescere a fatica, avvelenate da una qualche sostanza di provenienza assolutamente “naturale”. Poiché tale risulta essere, in fin dei conti, il processo di ossidazione di sostanze solforose e tetrationati di origine biologica da parte del gruppo batterico cosmopolita dal nome di Acidithiobacillus, capace di trarre sostentamento da due fonti estremamente differenti: l’anidride carbonica e l’acida trasformazione delle suddette sostanze nel minerale idrato della limonite. Così che l’amico digitale e celebrato costruttore di capanne, una volta raccolta con un bricco di terracotta (creato da lui stesso in episodi precedenti, inutile dirlo) il suo fluido colmo di segreti, provvede a riversarlo in una ciotola porosa, affinché agisca da filtro naturale capace di lasciar correre via l’acqua, conservando nel conseguente residuo terroso le particelle minerali contenute al suo interno. Preparando coerentemente una certa quantità di carbone da pezzi di legno raccolti in giro, prima di passare a quella che potremmo definire la fase principale del suo processo arcano di stregoneria, ciononostante assai tangibile ed utile al raggiungimento dello scopo finale…

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L’ardente metamorfosi del tubo che diventa un’imbarcazione

Lepidottero cangiante che galleggia tra le onde di salmastre contingenze; quale albero ha ospitato la tua camera del cambiamento? Quale aroma, di stupenda infiorescenza, accompagnava le tue giornate in guisa di brucante essere peloso e variopinto, quasi totalmente ricoperto di peluria urticante? Bruco che percorre le distese della verdeggiante nutrizione. Bruco ovvero l’ottimo vampiro delle piante, anche quando di piante, tutto attorno, non parrebbe sopravviverne nessuna. Fin dove quei tozzi pseudopodi ti hanno trasportato, tra il fragore delle macchine al servizio dell’industria concepita dall’umanità insapore. Cotto in mezzo ad una pasta resa fluida e malleabile, grazie al calore di una stella che non possiede alcun nome. Ma brucia, arde ininterrottamente, finché l’addetto all’altro lato della macchina non grida: “Fermi, fermi tutti. Un insetto è entrato nell’imbuto!” parte esplicita […Potrebbe rovinare il parison.] Parte implicita. Ma che cos’è, in parole povere, l’oggetto da cui prende il nome tale iconico passaggio intermedio di un certo tipo di processazione dei materiali… Un lungo tubo, essenzialmente, ma anche largo, a ben vedere, per lo meno nell’accattivante sequenza alla testa dell’articolo che state leggendo. Il tipo di breve video, tra il ricco novero di Internet, che ha cominciato negli ultimi tempi a fare la sua comparsa nei canali Instagram o TikTok, accompagnato da un roboante ritmo musicale da discoteca. La via d’accesso, se vogliamo, all’effimera attenzione della gente, per un tempo abbastanza lungo da apprezzare l’ingannevolmente semplice serie di passaggi e l’oggetto finale che ne consegue: ad esempio uno scintillante, giallissimo, idrodinamico kayak. Del tipo pronto a solcare le onde, ogni qualvolta l’orologio settimanale dei giorni raggiunge l’ora metaforica del week-end. Parrebbe quasi un’arcana manovra in grado di plasmare la materia, ma non lo è. Poiché siamo dinnanzi, direi che è giunta l’ora di rivelarlo, all’avanzata e vetusta tecnica dell’ormai quasi secolare stampaggio per soffiaggio, sebbene la sua applicazione in campo nautico paia essere alquanto recente. Per lo meno, dal modo in cui taluni dei protagonisti delle varie dimostrazioni online agiscono apparentemente sorpresi dal peso del natante ultimato, lasciandolo cadere rovinosamente sul rigido suolo dell’opificio. Dopo tutto, come ben sapete, questo tipo di termoplastica è “praticamente indistruttibile” una volta che ha raggiunto la temperatura ambiente. E a patto che non sia coinvolta dalle fiamme vive come avviene in certi gravi casi ad un tutt’altro altro tipo di scafi letteralmente imbevuti di petrolio. Ma navi cisterna qui non prendono di certo forma, bensì piuttosto la versione navigabile del sostanziale approccio figlio di un bisogno molto rappresentativo dei tempi contemporanei: avere la cosa subito, perfettamente conforme, essenzialmente pronta all’uso fatta eccezione per il bisogno di tagliarne delicatamente i contorni inesatti. Soltanto per gettare la materia di troppo nuovamente nel magico calderone. Da cui possa, quasi subito, ridiventare un parison.

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