Il sogno del jackpot che supera le incertezze

 

Il filo della lama tagliente dell’astro lunare s’insinuava attraverso la finestra rivolta a ponente, tingendo di un rosa tenue il cappello da capitano di Zed. Oltre il parapetto del piccolo yacht da diporto, Barnard’s Star, le frastagliate cime dei monoliti calcarei della baia di Ha Long, teatro di mille battaglie tra i diversi tenori della realtà. “Non voltarti, giovane protagonista, guarda innanzi.” Sembravano sussurrargli: “Questo è il giorno. Questa è la tua… Notte.” Con un sogghigno appena visibile, il più ardito giocatore del Regno Lucente impugnò il suo scettro, un mouse da battaglia settato a 12.000 dpi (Starcraft? DOTA 2? Non fatemi ridere. Siamo dei veri professionisti, quaggiù). Smontandolo dal gancio a fissato a fianco del portellone d’ingresso, indossò l’ultimo modello di visore virtuale, valido investimento delle sue vincite online. E alla velocità del fulmine, aprì il suo singolo sito più visitato. The Golden Age of Laputa… Ah, yes. Oltre i limiti del tempo e del tuono. Già la voce suadente di Tina, mazziera predefinita, risuonava nel paio di cuffe surround “Benvenuto, guerriero. Vuoi salvare il mondo, stasera?” Si. Nessuno scambio d’opinione verbale era possibile, tra l’ospite e l’interfaccia neurale, alias androide, l’intelligenza artificiale. I gestori del sito tendevano a considerarla un’inutile distrazione. Qualcuno, tra i più scettici, amava ripetere che Tina e le sue colleghe non fossero altro, in realtà, che mere persone di carne. Ma lui ormai da tempo, sospettava qualcosa di ancora diverso… Non c’erano concorrenti multipli, nelle sale da gioco del Golden Age. Ciascuno riceveva la sua singola istanza personalizzata, incapsulata in una specifica bolla indipendente. Come il pozzo di lava in bilico sul Krakatoa, scenario impiegato per il Blackjack. Sopra il tavolo da gioco, costruito da un singolo diamante del peso approssimativo di mezzo quintale, comparvero quindi le prime tre carte, tutte scoperte secondo il regolamento europeo. La lava incandescente illuminò il risultato: un 5 ed un 4 cuori, per Zed. Un 6 di picche per il banco. La puntata, ovviamente, era segreta. Con la sicurezza dell’esperienza, il pirata spostò il puntatore verso l’icona centrale, quest’oggi presentata come una boccia fluttuante di berillio viola. “Raddoppio” Pronunciò lui, pur sapendo che era del tutto superfluo impiegare la voce. Tina annuì con fare solenne. Attraverso un gesto attentamente studiato, estrasse la quarta carta. Era il 7 di quadri. Dopo una tale scelta, l’ospite non avrebbe potuto chiamarne delle altre. Totale: 16. Lei sorrise di nuovo, con appena l’accenno di un inchino. Interessante, pensò lui. Ma tutt’altro che eccelso. Quindi la mano della donna artificiale tornò verso il mazzo, per tentare di nuovo la sorte. Avrebbe fatto, stavolta, le veci del suo misterioso padrone…
Incertezza. Equilibrio. Azzardo. L’indelicata mano pesante del destino. Tutto questo e molto altro, potrete scovare tra i mazzi di carte. Ma non troppo spesso, se stiamo parlando del Blackjack. Qualcuno di molto saggio (esatto, si trattava di Sherlock Holmes) affermò una volta che gli scacchi non erano un vero gioco di strategia, bensì un mero esercizio matematico, poiché le variabili possibili non sono sufficienti a tracciare un sentiero creativo per la vittoria. E se in quello specifico caso letterario il Dr. Watson ebbe ben più di qualcosa da dire, di sicuro non avrebbe ragione di protestare in relazione al popolare gioco della carte che fanno 21. Messo in pratica già verso l’epoca del medio Rinascimento, come possiamo desumere da almeno una storia del famoso giocatore d’azzardo Miguel de Cervantes, scritto ancor prima del suo universale capolavoro, El ingenioso hidalgo don Quixote de la Mancha. Naturalmente, allora si chiamava venturina, e lì tutto appariva incerto, poiché la matematica stessa, in assenza del metodo scientifico e contrariamente alla proverbiale espressione, era ancora vittima delle alterne computazioni umane. Mentre oggi ben sappiamo che in effetti, ogni possibile esito di ciascuna giocata è come inciso in una stele di pietra, per quanto la scienza statistica riesca a determinarne le implicazioni. Esiste a tal proposito, nei giochi di blackjack online, un concetto primario che ha il nome di “strategia standard” il quale si basa sullo studio probabilitico delle conseguenze. Se avete 9, ad esempio, mentre il banco ha dal 3 al 6, raddoppiate la puntata e fermatevi lì (vedi sopra). Altrimenti, chiedete comunque un’altra carta, ma lasciatevi aperta ogni possibilità. Alcuni giocatori, questo piano lo seguono religiosamente. Per il mazziere è il più delle volte un obbligo contrattuale. Per altri ancora, costituisce un mero canovaccio, su cui improvvisare in base al fluido del sentimento. Volete acquisirne la piena conoscenza? Provate su Wikipedia. Ci sono le app per il cellulare. Oppure semplicemente, Google: a tal punto ci spiana la strada, lo strumento informatico della modernità.
E se per caso siete parte di una specifica categoria umana, e avete costellato le vostre giornate di “quel” particolare passatempo, allora lo avrete già inconsciamente chiaro nella memoria: si tratta di un piano d’attacco, una ramificazione dell’albero delle tecnologie di fazione. In altri termini, uno script.

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Un video con le sostanze più letali per l’uomo

Mentre la telecamera scorre lentamente da sinistra a destra, in uno spazio privo di reale sostanza, la sagoma di una persona lascia il posto, gradualmente, a taniche, bottiglie, fiale e poi minuscoli bicchieri. Ciascun recipiente colmo, secondo il vezzo del creatore, di un certa quantità di morte. C’è n’è un po’ per tutti i gusti: la morte per soffocamento, la paralisi cardiaca, l’insorgere di crisi sistemiche dell’organismo. La liquefazione di ogni organo dotato d’importanza. Ed è un’elenco alquanto sorprendente, quello creato dallo youtuber Reigarw, perché contiene un’elenco equilibrato di sostanze quotidiane, qualche altra familiare, poi man mano che si scende verso il piccolo, sempre più insolite e inaudite. Già perché questa è una classifica all’inverso, in cui più è piccola è la quantità presa in analisi, maggiormente merita il composto di essere considerato “superiore”. Se questa è una parola, dopo tutto, adatta a questo regno delle circostanze. In cui niente è più considerato una certezza, neanche l’opportunità di superare l’alba della prossima giornata. A meno, ovviamente, di osservare il giusto grado di cautela. Ecco, forse, a cosa serve: prestare attenzione significa conoscere quello che può annichilirti, distruggerti e nel buio incatenarti. Questo video potrebbe, un giorno, salvarvi la vita!
Già, perché non ci vuole in definitiva molto per sfuggire all’auto-annientamento. Sapete qual’è la prima causa di morte per avvelenamento da acqua? La partecipazione a una scommessa o un gioco a premi. Si tratta di persone, del tutto inconsapevoli che sia possibile subire un’overdose da questo fluido di cui siamo composti al 60%, che accettano per scherzo a berne a dismisura. E ad un certo punto, iniziano a subire conseguenze simili a quelle di un’insolazione. Poco prima di cadere a terra, e non rialzarsi mai più. Poiché essenzialmente, una quantità eccessiva di H2O tende a saturare le nostre cellule, creando un disequlibrio tra sodio, elettroliti e liquido, che inizia quindi a farle aumentare nelle dimensioni, causando, tanto per cominciare, un pericoloso aumento della pressione intracranica. Con questo non intendo che dobbiate smettere di bere più del necessario, soprattutto in estate, quando la traspirazione nuoce alla naturale umidità dell’organismo. La quantità da ricordare: 5-6 Kg o litri. Oltre tale eccesso, se bevuto tutto insieme, la metà dei soggetti muore. Volendo fare una media. Perché è proprio questa in effetti, la base scientifica della breve sequenza, espressa in un valore scientifico che ha il nome di LD50 dove le lettere indicano lethal dose mentre il numero sottoscritto sta per il 50% delle vittime designate. Un concetto che si esprime normalmente con una quantità matematica che rappresenta il rapporto tra i kg o grammi di sostanza rispetto ad ciascun kg o grammo dell’organismo impiegato per effettuare il test. Si tratta di una semplice statistica, però niente meno che fondamentale nella ricerca medica. Dove spesso, l’introduzione di un nuovo farmaco comporta l’elaborazione di un dosaggio che si trovi esattamente in bilico tra la dose minima di efficacia sulla metà dei soggetti (ED50) e quella in grado di uccidere un essere umano adulto, attraverso una condizione nota come avvelenamento acuto (diverso è il concetto di quello cronico, che causa la morte nel tempo). Un problema che continua a sussistere, ad ogni modo, per qualsiasi altro protagonista apparentemente innocuo delle nostre tavole imbandite. Vedi ad esempio, il sale. Per il quale Reigarw, che  senza sfruttare lo strumento scientifico del rapporto frazionato impiega una semplice proporzione per “persona media” (il cui peso non viene neanche ipotizzato) fissa la dose mortifera sui 2,5 Kg. In questo caso, ritengo, il fato del malcapitato sarà chiaro: tachicardia, aumento della pressione venosa e un progressivo assottigliamento del sangue, le cui sostanze nutritive vengono prosciugate come la radula di una lumaca. Seguono altri elementi dalla capacità di nuocere evidente, quali liquore, alcohol puro ed olio di paraffina. Con l’intruso inaspettato della vitamina C, che può causare ipotetiche complicazioni gravi intestinali. Non che nessuno sia effettivamente mai riuscito a berne una quantità sufficiente. Ricordatevi che non stiamo parlando di semplice succo di frutta, bensì della sostanza concentrata effettivamente inesistente in natura. Mentre a questo punto, si entra nel vivo della questione. I fluidi citati successivamente sono dei veri e propri veleni.

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Gara di auto elettriche, svanisce la zavorra del pilota

Se funziona nei videogiochi, perché non dovrebbe farlo anche nel mondo reale? Beh, “funziona” è una parola grossa. Nel vasto catalogo di esperienze digitali interattive in cui siamo chiamati a dirigere un missile su ruote lungo i percorsi soliti noti, l’intelligenza artificiale è sempre un gran punto interrogativo. Poiché può basarsi, essenzialmente, su due direttive molto differenti, seguire semplicemente la linea di gara, oppure interpretarla. La differenza non potrebbe essere maggiore: nel primo caso, al giocatore sembrerà di essere come una scheggia impazzita, inserita artificialmente nel bel mezzo di un ingorgo a più di 300 Km/h. I diversi concorrenti, in realtà avatar dello stesso pilota privo di un corpo, marceranno ordinatamente lungo il tracciato, inscenando qualche volta la figura di un sorpasso. Neppure urtarli, accidentalmente o di proposito (magari per la frustrazione) potrà fare molto per alterarne il rigido copione. Fu questo il caso del primo, storico Gran Turismo per PSX, e di un buon 80% dei driving game venuti dopo quel momento. Ma c’è stata un’epoca, costellata di nomi come il game designer Geoff Crammond, la compagnia Papyrus e Simbin dei tempi d’oro, in cui le automobili venivano effettivamente programmate. Con una serie di comportamenti, non soltanto direttive, talvolta inclusivi di “episodi” umani, come errori di calcolo, pressione psichica o paura. Ecco, quest’ultima parte, sconsiglierei di eliminarla dal futuro della quattroruote Robocar. Dopo tutto, stiamo parlando di un bolide che dovrà girare nel mondo fisico, con tutti i rischi connessi ad una tale finalizzazione. Tranne quello, fino ad ora, considerato inevitabile: le gravi conseguenze per chi guida. Per il semplice fatto che non ci sarà più un “Chi”. Avete capito di cosa sto parlando? A partire dal 2014, nello scenario automobilistico mondiale esiste questa realtà in grado di rompere con il passato, identificata con una singola lettera dell’alfabeto. Formula E, ha deciso di chiamarla la FIA organizzatrice, dove la E vorrebbe simboleggiare, ovviamente, la parola ed il concetto di Elettricità. Il che sottintende assai evidentemente, questa serie di gare in cui il rombo del motore viene sostituito da un sibilo intenso, che sottintende una velocità massima inferiore ma il più delle volte, un’accelerazione niente meno che bruciante. C’è poi l’altro piccolo dettaglio di sfondo: la stessa macchina per tutti i team. Benché nell’ultima edizione, ci si stia muovendo in direzione diametralmente opposta, con la nuova regola che consente qualche grado di personalizzazione al gruppo motopropulsore, cuore stesso del veicolo in questione. Ma questo non è l’unico punto di rottura netta della serie, caratterizzata da un certo numero di altre caratteristiche distintive: intanto, i tracciati. Nove proposte disseminati tra altrettante città di larga fama, come Parigi, Hong Kong e Marrakesh (l’ottava, la decima e la dodicesima gara riutilizzano per la seconda volta, rispettivamente, Berlino, New York e Montreal) . Senza mancare ovviamente, di fare una visita al celebre circuito di Monaco, con prospettive ancora più intriganti all’orizzonte. Chi non sa ormai quasi tutto, ad esempio, del progetto confermato di portare presto questo grande show a Roma?
Tutto il caravanserraglio inclusi gli elementi di contorno, tra cui dovrebbe figurare, entro la fine di quest’anno, anche il campionato collaterale di Roborace. O almeno questo è ciò che sperano gli organizzatori. Di certo. a guardare il video appena rilasciato, proveniente dal circuito tedesco dell’ex-aeroporto Templehof situato nella capitale berlinese, sembra oggi di essere notevolmente più vicini all’obiettivo. L’automobile impiegata per la prova, in realtà non quella definitiva prevista dagli organizzatori, sfreccia ad ottime velocità lungo le 17 curve di questo vero e proprio labirinto d’asfalto, tutt’altro che un circuito veloce, ma proprio per questo, anche molto tecnico dal punto di vista di coloro che dovrebbero guidare. La Devbot, in realtà nient’altro che una Ginetta LMP3, ovviamente con motore al 100% elettrico, guida con una cautela pari a quella di un pilota di abilità medio-bassa. È stato dichiarato a tal proposito che la velocità complessiva sia inferiore dell’8% a quella media dimostrata dai partecipanti umani; ma questo non è necessariamente disastroso. Poiché, per tornare alla questione dell’IA (Intelligenza Artificiale) che si occupa di pilotarla, questo non è un veicolo che segua un copione particolarmente stringente. Altrimenti, cosa avrebbe di speciale? Forse ricorderete l’incredibile realizzazione dell’Università di Stanford a partire da un’Audi TTS nel 2010, che venne fatta girare sul circuito di Pikes Peak con punte di 209 Km/h ed un tempo finale, comparabilmente, decisamente più notevole di quello della Devbot. Per poi replicare il successo sul circuito di Top Gear, in una precedente puntata del famoso programma Tv inglese. Ma il punto è proprio questo: l’Audi andava tanto forte, poiché la sua navigazione si basava su una speciale tipologia di GPS reattivo, in grado di determinare la sua posizione sulla pista con pochi centimetri di errore. Questione ben diversa dal proposito di questa erede, che piuttosto alla maniera delle driverless cars di Google ed Uber, si propone di fare affidamento su telecamere a infrarossi, radar e lidar, finalizzati ad uno studio in divenire degli eventuali pericoli su strada, nonché un presa di coscienza, a livello di algoritmo, dell’effettiva linea da seguire. In gergo, si parla di un’automobile senza guidatore di livello 5. Neppure all’epoca degli anni d’oro dei simulatori ludici su PC, fu mai raggiunto davvero l’equivalente del livello 5. Ma in futuro, come dicevamo…

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L’insignificante medusa che ha sconfitto la morte

Tutto quello di cui abbiamo bisogno, l’unica cosa che dovremmo riuscire a fare, è poter riavvolgere un singolo giorno della nostra vita. Importa realmente quale…? Direi proprio di no. Così raggiunta l’ora del tramonto, ritornerebbe l’alba. Ma sarebbe la stessa di 10 ore prima. E poi di nuovo, in un ciclo infinito d’invecchiamento e rigenerazione. Già, perché una cosa non dovrà per forza escludere l’altra! Questo è il significato ultimo dell’esistenza: pensate ad un pollo, che si trasforma in un uovo, il quale nel giro di qualche tempo si schiuderà, ritornando un pulcino. Qualcuno vorrà ancora sapere, a quel punto, quale delle due forme è venuta prima? Chiedetelo a Christian Sommer, il biologo marino tedesco, ed al suo amico Giorgio Bavestrello,  proprietario di un acquario a Rapallo, all’interno del quale negli anni ’80 fu per la prima volta trasferita una creatura, che prima di quel fatidico giorno, non era mai stata notata dall’uomo. E lo credo bene: dopo tutto, la Turritopsis non misura che 2,7 mm di lunghezza, per 3,2 di diametro. Ed per di più semitrasparente, come si confà a una vera medusa. Ciò non significa, del resto, che possa sparire nel nulla. Immaginate dunque la sorpresa di questi due, quando la mattina dopo la fatidica scoperta, ritornando per controllare lo stato della loro cattura, non riuscirono più a ritrovarla in alcun modo. Mentre al suo posto, saldamente assicurato al fondale dell’acquario, c’era quello che gli scienziati chiamano polipo (non un “polpo”) ma che noi potremmo definire per analogia, come una sorta di anemone, minuscolo e sottile, i cui tentacoli protesi verso la superficie sembravano sfidare i perplessi catturatori. Scenari improbabili iniziarono ad affollarsi nella mente degli scienziati: “Forse il secondo animale era nascosto nell’acqua, noi non l’abbiamo notato, e si è mangiato la medusa” oppure “Mi pare evidente che ieri avevamo bevuto un bicchiere di troppo, e tutto il resto l’abbiamo sognato.” nonché ovviamente, la più assurda di tutte: “I nostri occhi stanno guardando la stessa cosa. La medusa di ieri, trasfigurata.”
Possibile? Davvero? Se fino a 30-40 anni fa, un’ipotesi simile fosse stata paventata dinnanzi al mondo scientifico riunito in convegno, svariati insigni studiosi dalla barba bianca sarebbero scoppiati a ridere. Poiché in effetti, molti appartenenti all’ordine degli cnidaria attraversano questa specifica metamorfosi, ma lo fanno all’inverso, come parte di un ciclo che può essere sommariamente riassunto in uovo>larva>polipo>medusa. Ora se realmente, una forma di vita avesse scoperto il segreto per ritornare dalla quarta alla terza fase, e poi nuovamente dalla terza alla quarta, che cosa potrebbe fermarle dal farlo un infinito numero di volte? Essa potrebbe vivere per 100 anni…1.000…5.000, anche 12.000 millenni. Fatta eccezione per la casualità, in realtà statisticamente piuttosto probabile, di finire in bocca a qualcosa o qualcuno. Dopotutto, è difficile mettere radici mentre si viene digeriti. L’intera questione fu dunque sottoposta a uno studio. Finché Ferdinando Boero, un professore dell’università di Salento contattato a suo tempo da Sommer e Bavestrello, non poté pubblicare nel 1996 il suo celebre articolo Reversing the life cycle: medusae transforming into polyps and cell transdifferentiation in Turritopsis nutricula. Tutti quanti, leggendolo, rimasero senza parole. Col che intendo che dal punto di vista dell’uomo della strada, non importò praticamente niente a nessuno. Troppo diverso, appariva, questo insignificante essere tentacolare dalla forma di vita “superiore” di noi possenti e saggi esseri umani. Giusto? Sbagliato, come sappiamo effettivamente dal 2003, grazie al completamento del Progetto Genoma Umano, e ad uno studio del 2005, che mise in relazione il nostro codice genetico con quello di diverse specie animali. Caso in cui fu scoperto, tra un generale senso di stupore diffuso, che in effetti l’unica differenza tra noi e le fluttuanti creature degli abissi sono due eventi evolutivi di duplicazione dei geni. Se soltanto le cose fossero andate in maniera leggermente diversa, nella lunga e articolata storia di questo pianeta, oggi noi potremmo trovarci aggrappati agli scogli, sperando di sopravvivere un altro minuto. E le meduse vivrebbero nelle case, lasciando scie di gelatina dal divano del salotto allo sportello della dispensa in cucina. E fu allora che all’improvviso, l’opinione comune si ricordò della Turritopsis. Questa nostra ritrovata parente, subito popolare poiché in possesso di un qualcosa di altamente desiderabile… Una ricchezza ulteriore… Un segreto che vorremmo anche noi. Oh quanto ci interessava, d’un tratto, la sua minuscola storia….

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