Un atteso riconoscimento al lago che occupava l’intera metà orientale d’Europa

L’estrema antichità della Terra era fondamentalmente un’epoca di assoluto dualismo. Quando le placche continentali risultavano ancora unite in una singola entità e qualsiasi mappa fosse stata tracciata della superficie di questo pianeta avrebbe mostrato l’evidente contrapposizione tra il singolo altopiano e l’antistante pianura; l’entroterra, una lunga e frastagliata linea costiera; la foresta popolata di creature, la steppa desolata prossima alla desertificazione. E soprattutto, UN oceano, UN lago. Soluzione molto pratica all’incombente giustapposizione topografica, di cosa contrapporre ad una massa d’acqua che avvolgeva totalmente i globo destinato ad ospitare un giorno le multiformi civilizzazioni umane: questo era il vasto Tethys e il suo “minuscolo” gemello, Parathetys (o Paratetide, o Sarmatico) non molto meno salmastro e popolato di creature ad oggi oggetto di molteplici ipotesi contrastanti. Così definito per la prima volta nel 1924 dal geografo Vladimir Laskarev, che ne aveva teorizzato l’esistenza dall’osservazione di taluni strati di sedimenti risalenti all’epoca del Neogene (23,03 – 2,58 milioni di anni fa) in grado di sfidare la percezione per lo più unitaria degli ambienti appartenenti ad un talmente vasto trascorso della massa eurasiatica presa in esame. Il che non significava, d’altra parte, che qualcuno si sarebbe affrettato ad aggiornare le mappe pubblicate sui libri scientifici e di scuola, per almeno un altro mezzo secolo a venire. Poiché la presa di coscienza che un lago ci fosse non sottintendeva informazioni specifiche sulla sua forma e dimensioni, tanto che teorie molto diverse ebbero a succedersi per tutto il corso del secolo successivo. E fino al 2021 quando, finalmente, una ricerca approfondita avrebbe posto un significativo sugello a questa interminabile diatriba. Per l’iniziativa e i metodi impiegati da Dan Valentin Palcu, del dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Utrecht, che per primo ebbe l’idea di applicare la moderna disciplina della magnetostratigrafia allo studio degli strati geologici rintracciati nella zona della penisola russa di Taman, che si avvicina nella parte settentrionale del Mar Nero alla propaggine orientale della Crimea. Così da rintracciare, attraverso una datazione conseguente dalla periodica inversione della polarità terrestre, l’intera storia pregressa del vasto territorio che incorporava, o per meglio dire conteneva, l’attuale bacino idrico di un tale asset strategico al centro d’innumerevoli conflitti fino all’era contemporanea. Unendola in quei tempi remoti con il Mar Caspio in quella che era una singola distesa in grado di estendersi fino alle Alpi da una parte, ed il mare di Aral dell’Asia Centrale dall’altra. Non è perciò alquanto stupefacente, ed al tempo stesso innegabilmente ingiusto, che il mega-lago Paratetide non sia mai effettivamente comparso, fino all’edizione attuale, negli augusti e celebrati elenchi del Guinness dei Primati?

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Tiepido lucore nel torrente, è il ritmico sussulto della ranocchietta

Quanto dello straordinario corso dell’evoluzione è l’indiretto risultato, più meno ineluttabile, del bisogno imprescindibile di far trovare a ciascun maschio, la compagna ideale! Poiché senza l’interscambio genetico, e la conseguente moltiplicazione di ogni essere, non può esserci la nascita di nuove generazioni, né il progressivo perfezionamento dei fenotipi che porta al perpetuarsi dell’intero sistema della natura. Così magnifici piumaggi, creste svettanti, zanne appuntite, corna dalle ottuplici diramazioni. Così canti conturbanti e trilli melodiosi, nonché all’interno di un diverso ambito, il rauco gracidìo della rana. Eppure esistono determinati ambienti topografici, nella foresta più profonda dove cascatelle o rapide producono un chiasso costante, dove un simile approccio auditivo non può più affermare di essere abbastanza. Soprattutto quando si sta prendendo in analisi un tipo di essere non più grande di due centimetri e mezzo, ovvero in grado di trovare posto in mezzo al palmo di una mano. Ovvero non più rumoroso, se vogliamo, di un giocattolo elettronico con le pile prossime all’esaurimento. Dal che deriva la necessità di fare uso di segnali multipli per dare luogo al produttivo incontro tra i sessi, compreso un certo distintivo, e indubbiamente memorabile comportamento da parte di lui. Stiamo perciò parlando, se non fosse ancora chiaro, del genere Micrixalus nella famiglia Micrixalidae, diffuso unicamente tra i boschi della regione dei Ghat Occidentali in India, e all’interno di pozze montane tra i circostanti massicci di Sahyadri. La cui inclinazione può essere riassunta nel nome comune, ampiamente utilizzato anche a livello internazionale, di “rana danzatrice”. Ma come riesce a ballare, esattamente, un anuro? Per prima cosa, egli si premura di trovare una roccia o altro tipo di palcoscenico stabile presso la riva del suo acquatico ambiente abitativo. Non sarebbe certo appropriato, a tal proposito, se l’esserino in corso d’esibizione finisse per capovolgersi assieme alla piattaforma della propria scenografica ninfea, finendo magari tra le fauci di un pesce carnivoro che passava da quelle parti. Quindi con totale ed assoluta nonchalance, solleva alternativamente le due zampe posteriori, le allunga indietro e ruota in modo paragonabile alla lancetta di un orologio. Mentre apre a ventaglio i grossi piedi palmati, mostrando lo spazio bianco tra le dita e ruotandolo ripetutamente in senso perpendicolare la suolo. Dando conseguentemente luogo, sul fondale che contribuisce normalmente al mimetismo, al palesarsi di una serie di lampeggiamenti, ancor più irresistibili dei forti bicipiti di un culturista tra gli attrezzi californiani di Muscle Beach, LA…

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La risata del corvo abissino, attrezzato dinosauro tra i passeriformi

Molto sulle caratteristiche e le abitudini di un animale preistorico può essere desunto dalla forma del suo cranio. Il più prezioso tra i fossili, scatola nera, o bianca, o grigiastra del processo di evoluzione, tale parte dello scheletro originario costituisce lo spazio ospitante il cervello, l’apparato visivo e tutto ciò che occorre per poter procacciare e fagocitare il cibo. Eppure, talvolta, determinati misteri tendono a restare irrisolti: vedi il caso della lucertola di Muttabburra, erbivoro bipede del Cretaceo inferiore con la testa ragionevolmente piatta in senso longitudinale, ma che appariva triangolare quando vista dall’alto. E soprattutto fornita di una vistosa gobba o gibbosità in prossimità del muso, la cui funzione costituisce un saliente mistero della paleontologia contemporanea. Forse costituiva una caratteristica visuale utile alla riproduzione? Possibilmente favoriva la produzione di un verso altamente riconoscibile tra i consimili, per avvisare dell’arrivo dei terribili Afrovenator o Tyrannotitan? Di sicuro, esso non poteva condividere l’origine del fenotipo con la struttura biologica che oggi tende ad avvicinarvisi maggiormente: l’impressionante becco del Corvus crassirostris, il più imponente (ed impressionante) tra i tutti i passeriformi. Un volatile lungo tra i 60-64 cm, con 8-9 di “attrezzatura” nella parte frontale dedicata a strappare, sminuzzare, trangugiare bocconi degni di un un’aquila di medie dimensioni. Pur non essendo, d’altronde, primariamente né principalmente un carnivoro, bensì fagocitatore di praticamente qualsiasi cosa gli capiti a tiro, tra cui le carcasse scartate da praticamente qualsiasi altro uccello condivida il suo ambiente di provenienza, presso l’estremità del corno d’Africa e zone limitrofe del continente nero. Dove sussiste, non a caso, un nome alternativo per tale essere, che lo vede definito “corvo avvoltoio” il che in ultima analisi, evidenzia soltanto un aspetto della storia completa. Poiché una creatura di questa schiatta, lungi dall’essere un mero praticante della vita aviaria sulla base dei comportamenti istintivi e tutto ciò che questi comportano, è anche una presenza tra le più intelligenti ad essere ricoperte di piume e dotate d’ali, capace di comprendere concetti sofisticati come il desiderio, il lutto e la coscienza di se stessi, riuscendo facilmente a riconoscersi quando si guarda allo specchio. Il che dimostra, comparativamente a primati o delfini, la maniera in cui non soltanto una parte del corpo dall’utilizzo pratico, ma anche le strutture responsabili delle interconnessioni tra le diverse zone del cervello possano avere origini chiaramente distinte, giungendo a conseguenze innegabilmente parallele. E voci che si rivolgono, nella propria maniera, a zone distinte dell’umana ed incontrollabile immaginazione…

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La mangiabile sorpresa tra le spine del “cappello” che accomuna la Turchia e il Brasile

Il fatto che le ogni rosa sia dotata di una significativa quantità di spine non altro che la prova di come tali aculei siano quasi sempre posti attorno a un qualche cosa di desiderabile, o attraente. Dopo tutto la difesa principale delle piante, utilizzata da una varietà notevole di erbe, cespugli o arbusti di molteplici recessi e territori è necessariamente la risposta alla pressione evolutiva imposta da fameliche creature che tendevano a mangiarne la fibrosa e pura essenza, suggerne la linfa più segreta e consumarne le opportunità di vivere e riuscire a riprodursi su questa Terra. una finalità naturalmente perseguita dall’eterno ciclo che produce in un preciso ordine il miracolo floreale, subito seguito dal suo frutto e infine, il seme. Tre sfaccettature di un solo processo, tra cui la seconda è di gran lunga quella più desiderabile per colui che giunge a constatarne la presenza dal gremito regno animale, sia questi erbivoro, onnivoro o semplicemente incline al vandalismo. Non è infatti sempre desiderabile, per tutta una serie di ragioni, che la pianta offra il proprio dono commestibile su di un proverbiale piatto d’argento, soprattutto quando lo strato carnoso esterno che ricopre il suo gambo (ah, cactus!) tende a danneggiarsi con la rimozione troppo anticipata di quel pomo, generando possibili fori d’ingresso per infezioni parassitari del contesto ambientale circostante. Problema, originariamente notato dallo stesso Carlo Linneo autore della prima classificazione, e che doveva nei fatti risultare assai gravoso negli ambienti sudamericani e caraibici, da cui egli iniziò a classificare l’intero genere da circa 40 specie dei Melocactus o cactus “melone”, o testa del Papa, o cappello del Turco. L’ultimo notevole appellativo creato per costituire una diretta risultanza di quella metafora, istintivamente facile da contestualizzare, derivante dall’aspetto della sommità di queste piante: un letterale groviglio di lanugine puntuta, di colore rosso, arancione, giallastro, che ricorda per aspetto e proporzioni il caratteristico copricapo a fez del tardo Impero Ottomano. Pur avendo una funzione che potremmo definire diametralmente all’opposto…

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