Atari e la leggenda della spada d’oro perduta

Nello storico e memorabile episodio di South Park “Make Love, Not Warcraft” i giovani personaggi a cartoni animati creati da Trey Parker e Matt Stone si ritrovano ad affrontare una crisi senza precedenti per quello che a quell’epoca era ancora l’indiscusso più popolare videogioco online della storia. In una delle scene culmine della vicenda, il padre di Stan, Randy Marsh, riceve dagli sviluppatori del gioco una normale chiavetta USB da 1 Gb, all’interno della quale era contenuta la Spada delle Mille Verità, un oggetto di gioco talmente potente da essere stato precedentemente rimosso e custodito segretamente per anni all’interno di un oscuro cassetto aziendale. L’avvincente parallelismo tra la battaglia finale digitale dei bambini, e la corsa in macchina dell’eroe adulto, in una versione umoristica di uno dei capisaldi della letteratura fantasy fin dall’opera tolkeniana, offre uno spunto d’analisi interessante sulle interazioni tra mondo reale e virtuale, nonché il valore arbitrario che può essere attribuito ad oggetti privi di effettiva sostanza. Qualcosa che forse, soltanto oggi, sta iniziando a prendere effettivamente piede all’interno di determinati generi e contesti commerciali, come il mercato di Steam. E se vi dicessi che già nel 1984, una spada leggendaria dei videogiochi fu fatta oggetto di una cerca negli interi Stati Uniti? Al punto che un impiegato di Atari, la principale compagnia del settore, arrivò a credere di vederla sopra il caminetto nella magione del suo capufficio Jack Tramiel scatenando i media del settore, soltanto per far scoprire in seguito che si trattava di un vecchio cimelio di famiglia. Per la cronaca, non stiamo parlando stavolta di un qualcosa che possa essere contenuta all’interno di bits & bits, “fantasma nel guscio” di uno scrigno di plastica senza un peso. Bensì di una vera lama di almeno 70 cm, completamente ricoperta d’oro e gemme preziose, dal costo stimato di 50.000 dollari. Ovviamente, era questa la differenza.
Nel qui presente lungo e articolato video di AVGN (non dimenticate di attivare i sottotitoli in italiano) l’eponimo “Nerd Arrabbiato dei Videogiochi”, celebrità di vecchia data nel suo settore, racconta per filo e per segno una delle più strane e popolari vicende legate alla compagnia americana che per prima, nella storia del media digitale interattivo, riuscì a manifestare un considerevole profitto positivo, fino all’improvviso e repentino collasso nel 1983. Per una questione di eccessive produzioni scadenti, l’insufficiente controllo da parte dei produttori dell’hardware e il generale, quanto improvviso, disinteresse del pubblico per qualcosa che precedentemente aveva profondamente amato. Questa è una storia, dunque, legata al più grande crash commerciale che un intero media in crescita abbia mai subito, ma anche del suo breve e selvaggio trionfo, quando poteva bastare una singola pubblicità sulle riviste, per guadagnarsi un ritorno d’immagine tale da scaraventare i fan in una sorta di furia emotivo, in cui l’acquisto del prodotto è soltanto l’inizio di una vera e propria ossessione, che trasportasse gli acquirenti in un mondo in cui nulla potesse esistere, tranne l’aspettativa per il prossimo capitolo del racconto.
Swordquest del resto, su specifica concezione del designer di larga fama Tod Frye, era molto più di un semplice videogioco, ed il concorso ad esso associato, molto più di una semplice pubblicità. Le due cose assieme, in modo particolare, potrebbero essere definite come una sorta di esperimento sociale, ovvero la trasposizione effettiva del mito di Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, o volendo effettuare un paragone più moderno ed anacronistico, le scapestrate avventure del protagonista sovrappeso del romanzo Ready Player One. Tutto nacque da una fortuita, tripla sinergia: proprietaria dell’Atari a quell’epoca, infatti, era la compagnia Warner Communications, futura Warner Bros, che vantava nel suo eclettico parco di subordinate anche la DC Comics di Superman e una zecca privata specializzata nella creazione di gioielli a tema, la Franklin Mint di New York. Per il primo episodio della nuova serie dello stesso autore che aveva portato Pac-Man sull’Atari 2600 soltanto due anni prima, fu dunque deciso che la scatola includesse un albo a fumetti di Gerry Conway e Roy Thomas, con le illustrazioni di George Perez, all’interno del quale sarebbero state nascoste delle parole. Completare il gioco interattivo quindi, e mettere in relazione gli indizi presenti alla fine di ciascun livello con la carta stampata, avrebbe permesso di indovinare una frase e partecipare a un torneo finale, il cui vincitore avrebbe vinto una serie di premi. La natura di questi premi, almeno su carta, era a dir poco…Priva di precedenti.

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La grande spada ittica del principe della Baviera

Come mi vedono i miei genitori: erede dei Wittelsbach e figlio di una Savoia, lungamente atteso per salvare il preziosissimo cognome. Alla mia nascita, fu festa grande nell’intero Sacro Impero. Come mi vedono i miei amici: Maximilian il munifico, principe “Azzurro” dal colore preferito dei miei abiti, la gran parrucca d’epoca Barocca, sempre splendido, elegante, colto ed istruito. Come mi vedono i miei nemici: stratega rinomato, militare esperto, flagello dei turchi, che assieme al re di Polonia Giovanni III Sobieski riuscì a rompere l’assedio di Vienna del 1683, potendo contare sulla fede dei suoi soldati e il soldo concesso a schiere interminabili di mercenari. Come vedo me stesso? Questa non è… Una domanda facile…. In un’epoca storica in cui il concetto di ego era ancora stato inventato, e l’introspezione una pratica nota soltanto nel più distante Oriente, i potenti amavano descriversi attraverso i loro averi. La reggia, le terre, l’armatura col lungo mantello…. Il cavallo e le armi che legavano alla loro immagine e amavano impugnare nei dipinti. È perciò estremamente significativo, che la spada più famosa di Massimiliano II Emanuele di Baviera fosse una mostruosità spropositata, che lo stesso Conan il Barbaro avrebbe faticato non poco a far vorticare sopra la linea dei suoi celebri occhi color del mare. Un’arma che definire ancorché medievale, nonostante tale epoca fosse ormai soltanto un ricordo da almeno un secolo, sarebbe apparso quanto meno riduttivo, facendo essa piuttosto pensare agli implementi bellici di talune culture polinesiane, rimaste nei fatti ancora al grado tecnologico dell’era della pietra. E delle ossa. E degli squali.
Se davvero quest’uomo, colui che aveva ordinato la costruzione dello splendido castello di Nymphenburg dopo aver conosciuto il progetto della reggia di Versailles, l’icona e il simbolo di un’intero ambiente nobiliare dominato dallo stile e la cultura della Francia, avesse considerato l’incredibile spadone legato indissolubilmente al suo nome come un qualcosa di diverso da una semplice decorazione fuori dal comune, appesa sopra il suo camino o in condizioni similari, questo non ci è dato di saperlo. Certo è che, se pure dovesse mai averla tenuta stretta in pugno tra le sue mani, ciò deve essere avvenuto durante una parata o per altre occasioni ufficiali. Difficile sarebbe, in effetti, immaginare un altro impiego per una simile giganteggiante assurdità, che sarebbe del tutto anacronistica se pure costruita in solido metallo. Le proporzioni e la forma dell’oggetto, ricavato da null’altro che il caratteristico rostro di un enorme pesce sega (fam. Pristidae) appare in effetti come l’ultima rappresentante di un intera classe di armi, concepita per soverchiare in battaglia una compatta formazione di picchieri o alabardieri, deviando le loro aste con il peso stesso e l’energia della propria carica selvaggia. Zweihander, amavano chiamarle nell’intera area mitteleuropea, mentre in Spagna e Italia erano note come Montante. Ma già oltre 50 anni prima della nascita di Maximilian, l’impiego bellico di tali armi impressionanti era largamente decaduto, lasciandole appannaggio unicamente dei maestri schermidori, che amavano brandirle come semplice dimostrazione della loro forza e abilità. Questo fa capire chiaramente, direi, il prestigio che poteva derivare dal semplice possesso di un simile oggetto. Perché il possesso sottintende l’utilizzo. Le voci girano… E quale nobile attivo in campo militare non amerebbe essere temuto, dai suoi pari e tutti coloro che potrebbe, un giorno, ritrovarsi ad affrontare in duello?
L’effettiva location in cui si trovi questa spada, ad oggi, risulta stranamente confusa. La didascalia originale dell’immagine, che la mostra di fronte ad un possibile attuale proprietario o custode, reca la didascalia in francese: “Une pièce rare dans les mains de l’expert: une forte épée a 2 mains […] / Photo J-M Lamboley” e in questo thread del forum myArmoury.com gli utenti sono pronti a giurare di averla vista presso il sito del Museo di Storia della Germania a Berlino, benché le foto di quell’arma appaiano in realtà sensibilmente diverse, con la guardia ricurva invece che diritta e dimensioni, almeno all’apparenza, minori. Sembra dunque che fosse esistita almeno un’altra spada ricavata dal pesce sega, ed in effetti ce ne furono diverse. Non si tratta, dopo tutto, di un impiego tanto originale per ciò che la natura stessa ha concepito come arma, per l’impiego di quello che è sempre stato, fin da prima della nascita stessa del concetto di società, un astuto predatore dei fondali oceanici e marini. Costituita essenzialmente di tessuti cartilaginei induriti, poiché questi formidabili pesci, come le razze e gli squali con cui sono strettamente imparentati, sono privi di uno scheletro vero e proprio, e ricoperta di strutture simili a denti, perfette per infilzare letteralmente le vittime del colpo arrecato dall’animale. Le quali, in un’ipotetico impiego bellico umano, avrebbero trovato la funzione di una sorta di dentellatura per intrappolare e spezzare la lama del nemico, limitando per il resto molte delle manovre effettuabili contro un nemico corazzato. Ma non esiste l’acciaio, nella profondità del mare…

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L’esercito invisibile della città di Graz

“Per ordine del vescovo di Roma, il Capo della Chiesa e vicario di Cristo in Terra, sono qui a portare in questo esercito la voce della ragione. Cessate, Sire, i questo assalto ingiustificato contro il vostro Imperatore.” Le parole latine usate da Bartolomeo Maraschi, vescovo di città di castello e legato papale, riecheggiarono per il campo dell’assedio di Graz. Il dito alzato in un ammonimento, il pastorale come un parafulmine contro gli sguardi ed il potere transitorio dei viventi. Era l’anno del Signore 1482, quando Matthias Corvinus, re dell’Ungheria, fece la sua mossa per riscuotere il debito contratto da Federico III d’Asburgo, l’austriaco che attualmente rivestiva il manto di protettore in terra dell’intera Cristianità. Il lunghi capelli che scendevano fino alle spalle ricadendo sul mantello rosso, la corazza in un solo pezzo di splendente acciaio lavorato e i guanti d’arme, l’uno dei quali ricadeva, quasi per caso, in prossimità del pomolo della sua spada lunga due spanne. L’altro poggiato sul destriero di Brabant, coperto dalla rigida bardatura a piastre. L’elmo incrostato di gemme e con l’immagine della sacra croce dorata dinnanzi alla visiera, ancora da una parte, tenuto in mano con reverenza dal fedele scudiero. Ci fu un attimo di assoluto silenzio, tra i fidati luogotenenti riuniti in consiglio informale prima di condurre l’ultimo assalto. L’arrivo del rappresentante del Vaticano era atteso, ma nonostante questo, sopraggiunse come un fulmine sopra le tombe dei soldati morti durante la sanguinosa campagna. Tirando un lungo sospiro, il re parlò: “L’Austria brucia, Eminenza. Questo è un fatto. Dieci anni fa, ricacciai i turchi dalla Moravia e dalla Wallachia, quindi marciai con il mio esercito fino in Polonia. Fu l’Imperatore stesso, allora, a stipulare con me la pace in cambio di un’indennità di guerra che non mi è stata mai concessa.” Soltanto allora re Corvinus passò le redini al suo servitore, quindi si inchinò profondamene alla figura religiosa: “In verità vi dico, se un governante non è in grado di mantenere la sua parola, che si faccia da parte. Egli non è degno di difendere la cristianità.”
La Styria: terra di confine. Un luogo in cui, attraverso i secoli, nazioni ed armate mercenarie, austriaci ed ottomani, cristiani e musulmani si combatterono strenuamente, finché di ogni città di questo Land non restò altro che un cumulo fumante di macerie. Tutte, tranne una: nella valle del fiume Mur, all’ombra dello Schlossberg, il “monte castello” fortificato originariamente dagli sloveni, Graz si era dimostrata imprendibile persino ai colpi dei più moderni e terribili cannoni. Nessuno, non importa quanto preparato, si era dimostrato in grado di oltrepassare quelle spesse mura. Fino a quel momento! Rialzatosi voltando le spalle al vescovo, il sovrano passò in rassegna i più fidati tra le sue truppe: la temuta Armata Nera d’Ungheria, composta dagli eredi stessi dei guerrieri delle antiche steppe, in una schiera di armature brunite cupe come la notte stessa, punteggiate con l’occasionale vessillo rosso e bianco dalla doppia croce, un simbolo mutuato dai commerci pregressi con il decaduto regno di Bisanzio. Ciascuno armato di una spada, una mazza e una picca, ed uno ogni quattro di ciò che li aveva resi imbattuti in una buona metà dell’Europa d’Oriente: il temutissimo archibugio. In un’epoca in cui ancora tutti si chiedevano cosa ci fosse di tanto utile, in un’arma che imitava malamente l’arco o la balestra senza averne la stessa affidabilità, Corvinus aveva compreso soprattutto il suo potere psicologico, del rombo che diventava come un grido di guerra, gettando lo sconforto dentro il cuore dei suoi nemici. Ormai a cavallo da cinque minuti, la mano destra alzata in un gesto imperioso, il re gridò il segnale prestabilito, che venne fatto riecheggiare per le schiere come l’eco di una riscossa sulle ragioni del Fato. Avanti, miei prodi, andate avanti. Il capo di un popolo cavalca innanzi ai suoi guerrieri, ma non certo durante gli assedi. E a molti altri, tra i nobili, era concesso di pensarla nello stesso modo. Fu una lunga cavalcata… Quando finalmente lo stemma degli Asburgo comparve chiaro sopra la porta della città, saldamente serrata con la doppia anta in legno di quercia, esso lo fece accompagnato da una seconda visione, ben più preoccupante. Centinaia, anzi migliaia di persone tra le merlature, ciascuna delle quali intenta nello scrutare l’orizzonte. Nessuno di loro poteva vantare l’aspetto di un soldato. Erano artigiani, mercanti, contadini. Soltanto alcun indossavano l’armatura. Ma nel momento in cui la schiera degli ungheresi fu finalmente a tiro, accanto al volto di ognuno prese a sollevarsi l’arma con cui si addestravano da lunghe settimane: un fucile della più pregiata forgiatura, oppure una pistola con la lunga miccia scintillante. Sembrava invero che l’intera popolazione della capitale regionale fosse pronta a fare fuoco contro gli assalitori in arme provenienti da Est. Fu proprio allora, se vogliamo continuare in questa fantasia, che Matthias Corvinus ebbe una visione. L’arcangelo Michele in persona, probabilmente richiamato dalle parole del legato papale, comparve in una sfera fiammeggiante sopra la polvere dell’antica strada di fattura romana: “Saggio governante, ricevi la mia profezia: oggi Graz non cadrà. Oggi, non cadrà.” Gli occhi strabuzzati, richiamato lo scudiero al suo fianco, il re chiese di suonare la ritirata. Torante indietro, indietro fino in Ungheria…

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La lega dei più straordinari spadaccini di YouTube

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L’abbiamo sempre fatto, tu ed io. Questa cosa d’incontrarci sui sentieri della vita e dimostrare chi è il più forte, per rivivere le grandi sfide del passato, vestendoci di luce e del tessuto della cappa degli eroi: Ulisse alle Termopili, Achille a Gaugamela. Cesare tra i colli di Agincourt. E Zorro che si lancia all’arrembaggio, scavalcando la murata del galeone del pirata Barbanera sulla Senna, mentre il carcere della Bastiglia trema per le rimbombanti cannonate all’uranio impoverito. Non più bambini, quindi, siamo diventati più sofisticati. Lasciato il ramo cruciforme, o quel righello piatto come una katana, le nostre spade sono diventate più sottili e immaginarie, eppure nondimeno, terribili e taglienti. Come raggi laser. Parole che trafiggono, pensieri che separano, gesti appartenenti al lato oscuro della Forza e della Luna. “Non guardare alle apparenze: quella è una stazione spaziale, giovane Skywalker…” Così come la gente, specie se si guarda più lontano dei propri confini quotidiani, che non è tutta fatta nello stesso modo. Al punto che qualcuno, crescendo, quella scherma che era un gioco ha poi deciso di studiarla. E approfondirla, finché non si è trovato… Ecco a voi la scena: uno scarno corridoio del castello di Kurovice in Moravia, struttura fortificata risalente al XV secolo che è sostanzialmente un grosso cubo, un tempo appartenuto alla nobile famiglia dei Vrchlabsky, prima che venisse trasformato in un museo. Il che non significa, del resto, che i giorni della guerra siano terminati. Mentre il suono del cozzare viscerale, sferragliante e indubbiamente fastidioso, ancora si ode a rimbalzare tra i pilastri degli ambienti privi di riscaldamento. A mostrarcelo, nel nostro caso, ci pensa la semplice telecamera, coadiuvata da un montaggio rapido e più instabile di un film di Jason Bourne, secondo i dettami di un metodo registico molto “contemporaneo” e “appassionante”. Ma se tutto questo fosse vero, e se noi fossimo delle mosche di passaggio, quello che i nostri occhi vedrebbero sarebbe l’ora di un confronto al primo e ultimo sangue (alfa ed omega, la perdizione) tra due uomini determinati a fare fuori l’aspro rivale. Le circostanze non lasciano alcun dubbio: siamo dinnanzi al rituale del duello, un confronto per difendere il prestigio dei propri nomi. Benché portato avanti, guarda caso, da due membri dell’associazione della Repubblica Ceca Adorea Olomouc, dedita alla pratica delle HEMA (Historical European martial arts) e rinomata su Internet per la proposta di un canale video le cui coreografie di combattimento rivaleggiano col meglio del cinema internazionale.
Lo scenario, di per se, risulta già piuttosto insolito. Perché non si è forse mai verificato, nella storia di simili prassi sanguinarie, che due contendenti si siano affrontati in assoluta solitudine, impugnando armi sovradimensionate come una longsword. La famosa spada “da una mano e mezza” o come usavano chiamarla già in quell’era, lama bastarda, perché concepita per usi multipli e sostanzialmente diseguali. Vuoi disarcionare un nemico a cavallo? Perfetto, vibra il colpo alla sua massima estensione, come se stessi usando lo strumento di una falce. Occorre perforare un’armatura? Niente di più semplice, basta posizionare la seconda mano sul ricasso (parte non tagliente della lama) e trasformare il simbolo del proprio onore in una volgare picca, sulla cui efficacia ben pochi oserebbero sollevare dei dubbi. Ma se c’è l’improvvisa necessità, più o meno oggettiva, di far fuori un avversario in abiti civili, ecco, non è che manchino strumenti più efficaci. Proprio per questo, a partire dal XVII secolo, nacque la spada all’italiana o striscia, che gli anglofoni chiamano rapier, concepita per saettare rapida verso i punti vitali di un qualsivoglia corpo umano. Difficilmente, con un attrezzo ponderoso come quello usato dai due figuranti della presente scena, si sarebbe potuto raggiungere un simile grado d’efficienza. Ma prima di allora, tutto era possibile. Anche che due soldati mercenari dell’Europa Centrale, magari dei lanzichenecchi innamorati della stessa donna, si sfidassero impiegando lo strumento con cui avevano maggiore familiarità. Senza ricorrere al vestito corazzato, perché ciò non tollerava il senso di una simile tenzone, ma soltanto ben vestiti per andare all’aldilà. Con tanto di vistosa braghetta per tenere in vista i gioielli genitali nel caso del guerriero in pantaloni verdi, ma soltanto (?) perché ciò esigeva la moda dell’epoca. Cosa non si farebbe, per apparire storicamente corretti…

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