Perché vedi, a pensarci bene, aria ed acqua sono entrambe dei fluidi sebbene il grado di viscosità risulti drammaticamente diverso. Ed è per questo che una volta raggiunta la generazione numero 6 o 7.000, iniziammo a padroneggiarle entrambe. Un vantaggio notevole, dal punto di vista evolutivo, per l’intera famiglia di uccelli appartenenti al gruppo degli alcidi o alche, tra cui conoscerete assai probabilmente la graziosa pulcinella di mare. Famosamente colorata in bianco e nero, con il becco grosso e colorato assieme all’andatura un po’ goffa di chi al di là di tutto, mantiene una certa goffaggine deambulatoria sulle alte scogliere dove è solita scavare il suo nido. Laddove esistono generi distinti ma confinanti che, grazie a una forma maggiormente affusolata e un peso inferiore, possono affermare di trovarsi a loro agio persino mentre attraversano il più solido degli elementi; vedi gli Aethia o auklet (letteralmente, piccole alche) ed, in modo particolare, tocca tra questi il loro memorabile rappresentante, perfettamente riconoscibile dalla colorazione nero corvino e il becco di un colore arancione intenso: l’A. cristatella o alca minore crestata, vivace abitante delle coste laviche scoscese delle isole affacciate sui mari di Bering ed Okhotsk, sebbene la maggiore concentrazione della loro popolazione complessiva stimata attorno agli 8 milioni di esemplari si trovi concentrata principalmente all’estremo Nord del continente americano. Molti, moltissimi uccelli, quando si considera come una creatura tanto carismatica risulti essere, al di fuori del suo ambiente originario d’appartenenza, quasi letteralmente sconosciuta.
Questa particolare tipologia di alca minore, che è incline a partecipare a gigantesche colonie interspecie che vivono, cacciano e si spostano assieme, come molti altri uccelli dell’area artica non presenta un dimorfismo sessuale particolarmente accentuato, con le principali distinzioni individuabili nella forma del becco (leggermente più curvo nei maschi) e per quanto concerne le dimensioni del singolo, importantissimo ornamento sessuale presente in entrambi: l’insolita nonché vistosa cresta ricurva in avanti, che ricade come un riporto oscillando con fare sbarazzino nel vento. Parte anatomica che può essere formata, a seconda dei casi, da un numero variabile tra le 2 e le 23 piume, che tendono ad essere lievemente più corte nella femmina, pur rappresentando anche nel suo caso un importante accessorio di selezione finalizzato alla ricerca di un partner per la riproduzione durante l’intero corso della stagione degli amori. Un periodo durante il quale, come l’incredibile Hulk, le alche si trasformano vedendo la parte cornea del loro becco (chiamata rampoteca) acquisire, come avviene nelle pulcinelle, una serie di placche addizionali dalla colorazione ancor più intensa, mentre un gruppo di minuscole piume situate sulla loro schiena inizia a secernere una fragranza particolarmente utile a segnalare la propria intenzione di procedere alle manovre d’accoppiamento. Profumo presente anche in altri membri della famiglia delle alche, sebbene risulti particolarmente intenso nel caso della cristatella, venendo talvolta associato a quello del piccolo agrume dolciastro maggiormente apprezzato come ammazzacaffé, che prende comunemente il nome di mandarino…
piume
La pernice con la cresta che primeggia tra i punk dell’Asia meridionale
Baldanzoso uccello dal comportamento solitario e superbo, che si staglia tra i cespugli della foresta, momentaneamente intento al tuono di un ruggito distante. Silenziosamente attento a pattugliare, da un lato all’altro, l’intera estensione del tuo territorio. Combattivo quando serve. Rapido a fuggire, se dovessero mancare i presupposti di una situazione interamente sotto il tuo controllo! Qual è il segreto di un simile successo evolutivo? Forse il becco corto ma acuminato, in grado di cercare con furtiva efficienza frutta, semi o vermi tra la terra lievemente smossa. Forse le zampe forti e rapide, capaci di sfuggire dalle tigri, leopardi, serpenti e varani troppo attenti ai movimenti di allettanti merende aviarie. Oppure chi lo sa, le tue corte ali, capaci di portare quella forma tondeggiante in cima ai rami quando lo ritieni veramente necessario. Ma soltanto come ultima risorsa, poiché la stessa soluzione non risulti applicabile alle preziose uova e colei che le cova, vista l’abitudine per entrambi di fare il nido in terra, in mezzo a una catasta vegetale con la forma di una cupola, costruita nel momento in cui riesci a rintracciare l’indizio per il più importante momento della tua volatile esistenza, l’amore.
Partner speculare di uno specchio che riflette molte cose, fatta eccezione per i colori; poiché tanto riescono a sembrare differenti, questi lui con la usa lei, da aver fatto credere per lungo tempo ai naturalisti che potessero appartenere a specie distinte. Il primo nero come il fumo, fatta eccezione per i grandi occhi cerchiati di rosso e il glorioso ornamento di piume irto sulla testa, di un colore degno del leggendario uccello che risorge dalle fiamme d’Arabia. E la seconda, invece, con il corpo e le ali verdi raganella, tranne le chiazze marroni in punta, e una testa grigio come la foschia dell’alba. Stiamo parlando, d’altra parte, di una specie appartenente alla famiglia dei fasianidi, uccelli razzolatori per cui il dimorfismo sessuale è il fondamento stesso dell’incontro e comunione tra i sessi, benché ciò finisca spesso per comportare una diversa strategia mimetica, metodologia d’autodifesa e stile di vita. Come avviene indubbiamente nel caso della pernice crestata o Rollulus rouloul, dallo stravagante nome scientifico probabilmente derivante dall’onomatopea usata per riferirsi al suo caratteristico verso ripetuto dall’alba al tramonto, ovvero, per l’appunto, roul-roul. Ragionevolmente noto alle popolazioni indigene che vivono nelle aree rurali di Tailandia, Malesia ed Indonesia, così come avviene per la sua cognata paleartica chukar (Alectoris chukar) il cui suono ripetuto risulta essere una vera e propria colonna sonora che risuona dalla Siberia al Medio Oriente. Benché l’uccello del Sud Est Asiatico risulti essere, di contro, relativamente raro e difficile da incontrare, tanto che si dice sia maggiormente probabile conoscerlo di persona all’interno di uno zoo, piuttosto che nel suo habitat naturale. Una questione, quest’ultima, purtroppo esacerbata dalla classificazione dello IUCN come creatura soltanto a “lieve rischio” d’estinzione, e la conseguente assenza di alcun tipo di protezione normativa all’interno del suo pur vasto areale. Riconfermando ancora una volta, se pure fosse necessario, il più ostinato ed invincibile invasore di quel contesto. Colui che tutto cerca di sfruttare a suo vantaggio, inclusi i più preziosi e inimitabili tesori della natura…
L’eleganza che contraddistingue il pollo più socievole dell’Africa subsahariana
Con l’avvicinarsi del periodo festivo ed il bisogno percepito, sebbene un po’ smorzato dalle circostanze, di creare una scintilla estranea al quotidiano incedere dei giorni, aree del supermercato normalmente prive di attenzioni iniziano a venire saccheggiate dai più esperti cuochi casalinghi. Come quella delle carni più “pregiate” o che giustifichino in qualsivoglia modo un costo per l’acquisto ragionevolmente superiore, sinonimo per molti di accertata Qualità, indipendentemente da quale sia l’effettivo significato di una simile aleatoria idea. Ecco dunque comparire sulle tavole, con spezie, aromi, alloro e salvia quel particolare pollo dalla pelle scura, e un gusto intenso e ragionevolmente delizioso, che il senso comune ha scelto di chiamare per antonomasia la gallina faraona, proprio perché ritenuto provenire, erroneamente, dalla terra misteriosa di piramidi e sfingi. Eppure resta assai probabile che se il consumatore medio di una tale prelibatezza gastronomica, soltanto per un attimo, avesse modo di conoscere la naturale bellezza e il dignitoso contegno della bestia in questione, assai probabilmente ci penserebbe più di un attimo prima di sostenere il suo sfruttamento intensivo con finalità commerciali. Quelle che accomunano i numididi, maculati e striati galliformi africani imparentati alla lontana con le pernici, famiglia cui appartiene, tra gli altri, la crestata N. meleagris, ormai largamente allevata nell’intero territorio europeo. Con il rigido ornamento cranico che ci ricorda la maniera in cui gli uccelli siano non soltanto discendenti dei dinosauri, ma in effetti i dinosauri stessi trasferiti all’epoca dei nostri giorni, senza eccessivi compromessi in merito all’effetto programmatico dei loro tratti evolutivi più interessanti. E se ora vi dicessi che, lungo i secchi territori della savana etiope, kenyota e tanzaniana, si aggira una creatura che pur condividendo con la faraona alcuni aspetti e qualità cromatiche, assomiglia a una versione più feroce e minacciosa di quest’ultima, lunga 70-80 cm, dal peso di 2 Kg, con lungo collo d’airone oltre a un becco aguzzo che ricorda vagamente quello di un avvoltoio… E faraona vulturina è il suo nome comune proprio in forza di una simile associazione, benché il mondo scientifico abbia preferito inserirla entro il genere Acryllium, proprio a identificare il suo retaggio genetico significativamente diverso ed unico rispetto a quello dei suoi vicini tassonomici maggiormente acclarati. Con un associazione al gentil sesso e un ruolo stereotipato di chioccia materna tipico dell’intero ordine dei galliformi, benché nel caso specifico risulti essere piuttosto immeritato, data la poca propensione ad accudire i piccoli da parte di colei che li ha messi al mondo. Un compito gestito, in genere, dal suo consorte oltre all’opera comunitaria dello stormo, che può essere composto da una quantità di fino a 20-25 individui. Proprio in forza della loro propensione, assai caratteristica, a formare strutture sociali dall’elevato grado di complessità.
Giusto un anno fa veniva a tal proposito pubblicato, sulla rivista Current Biology, uno studio dell’Istituto Max Planck sul Comportamento Animale ed altre prestigiose istituzioni accademiche europee, relativo ad un’analisi più approfondita mediante il tracciamento GPS del particolare comportamento di questa faraona, la più imponente e distintiva rappresentante della sua intera categoria…
A proposito del Sakabula, passero con la coda di un pavone in miniatura
Non è del tutto chiara quale sia l’associazione tra il mostro leggendario del folklore sudafricano, vagamente simile a Piedone o l’Uomo Nero, e l’uccellino piuttosto comune della famiglia Ploceidae, tessitore d’accoglienti nidi, la cui caratteristica principale si trova in opposizione al becco usato per dare la caccia ai semi e qualche volta, insetti piccoli ma nutrienti. Forse il colore, forse il fatto che numerose tribù guerriere, tra cui quella dei temuti guerrieri Emasotsha degli Zulu indossassero le loro piume caudali come parte di un impressionante copricapo, composto in egual misura di parti d’uccello e puro ed inadulterato terrore. Questo perché la vedova codalunga (Euplectes progne) è diffuso nell’intera zona centrale del continente africano dall’Angola al Botswana, dal Kenya allo Zambia, passando per il Congo e lo Swaziland, dove riesce ad essere famoso proprio per il suo comportamento caratteristico e lo stile usato per volare, condizionato in massima parte dall’estensione alquanto esagerata presentata dal comparto retrogado del suo affascinante mantello: mezzo metro contro gli appena 140 cm di apertura alare risultando in altri termini, tre volte e mezzo più lungo di quanto è largo. Così sollevati da terra ad un’altezza non superiore a quella del capo umano, gli esemplari maschi sorvegliano dall’alto il proprio territorio, senza curarsi eccessivamente di attirare l’attenzione di un eventuale predatore. Non c’è molto che possa fare d’altra parte il goffo e inoffensivo uccello, quando inseguito da rapaci o carnivori felini, causa proporzioni sconvenienti ed il profilo certamente poco aerodinamico dettato dalla forma che più di ogni altra riesce a definirlo. Fatto quindi oggetto di una serie di approfonditi studi fin dall’epoca della sua prima classificazione nel 1779, ad opera del sempre rilevante naturalista Georges-Louis Leclerc, Comte de Buffon, quello che culture africane molto distanti tra loro chiamavano col nome inter-lingua di etimologia incerta sakabula ha lungamente lasciato perplesso il mondo scientifico recentemente accomunato da un metodo d’analisi comune, almeno parzialmente per la collocazione cronologica esattamente 80 anni prima delle teorie sull’evoluzione di Darwin, ma anche per una semplice discordanza logica tra forma e funzionalità. Che cosa, infatti, aveva potuto dare l’origine ad un uccello che non sembrava trarre alcun tipo di vantaggio dalla sua mancanza d’agilità, tranne quello assai transiente di occupare una doppia pagina sui cataloghi biologici dell’habitat oggetto di tanto interesse da parte umana? Interrogativo la cui risposta può essere immediatamente più chiara, quando si considera come non soltanto le femmine della stessa specie presentino una semplice colorazione marrone a macchie e code di dimensioni ragionevoli, ma lo stesso discorso si applichi ai maschi subadulti e tutti quelli che non hanno ancora sperimentato la propria prima stagione degli accoppiamenti. Passeriformi normali a tutti gli effetti, esattamente come se la natura stessa avesse chiaro come la progettazione originale dell’uccello in questione risulti essere poco efficiente, soprattutto nel suo competitivo contesto geografico d’appartenenza. Ecco perché l’Euplectes progne, il cui nome è un composto della parola greca eu (bello) + quella latina plectes (tessitore) seguite dal termine che significa “rondine”, viene ad oggi considerato uno degli esempi più estremi di condizionamento fisico dettato dalla selezione naturale, non per semplici ragioni di sopravvivenza bensì l’obiettivo di portare a compimento con successo la missione più importante, quella di andare, per così dire, a meta. Portando a termine l’accoppiamento che così tanto, attraverso i secoli, è costato alla sua antica specie…