L’evoluzione in atto può riuscire ad insegnarci che quando la situazione è favorevole, determinati tratti giungono ad avere il predominio sugli altri. L’abbondanza può riuscire ad essere utile, ed anche la sovrabbondanza, se si accettano dei rischi. Difficile sarebbe, in tal senso, mettere in secondo piano la capacità deambulatoria di un miriapode, possessore dei cosiddetti millepiedi che se pure non raggiungono tale puntuale quantità, costituiscono il sistema per arrampicarsi e correre su qualsivoglia superficie senza il minimo residuo condizionamento di contesto. Eppure nell’impresa biomimetica situata dentro il pieno campo degli esseri umani, questo fluido che ogni cosa genera sotto l’ampio vessillo della progettazione, parrebbe vigere la necessità di un assoluto e persistente equilibrismo. In cui peso, potenza e costo dei singoli componenti formano idealmente gli angolari vertici geometrici di un inflessibile poligono situazionale. Dove ogni cosa è stata chiaramente definita, mancando di permettere la mutazione delle forme che deriva dalla voglia di cambiare il paradigma latente. Impresa, di sicuro, non alla portata di tutti. Ma obiettivo dominante dal punto di vista di… Alcuni.
Così l’argentino Raul Donatini all’inizio degli anni ’80 (ingegnere? Inventore?) creativo allora quarantenne la cui storia personale è poco nota al punto da non poter conoscere l’effettiva città di provenienza, cercando un repentino cambio di carriera scelse di portare nuovamente innanzi quella che era stata la sua principale passione giovanile. Che ci crediate o meno: le sospensioni. Ovvero la ricerca di un modo migliore per interfacciare le automobili e l’asfalto, cancellando il rischio delle asperità potendo in questo modo perseguire ritmi più elevati di movimento. Il che l’avrebbe indotto, collaborando inizialmente con un misterioso amico che oggi non è più tra noi, nella creazione in via teorica di un prototipo mediante metodologia che viene definita “dall’interno verso l’esterno”. Automobile autocostruita, in altri termini, il cui stesso concetto generativo sarebbe stata l’applicazione di determinate teorie funzionali. Da cui far derivare, un punto dopo l’altro, l’intero comparto estetico della sua eccezionale creatura. Con un punto di partenza che potremmo definire totalmente all’avanguardia per l’epoca ed in effetti capace di risultare ancora oggi tale: l’aggiunta continuativa di un numero di ruote senza limiti, fino all’ottenimento del risultato desiderato. Che ne avrebbe richieste otto, per l’appunto di cui quattro sterzanti nella parte anteriore ed altre quattro accoppiate a gruppi di due, per meglio trasferire il massimo della trazione al fondo stradale. Non che tale aspetto costituisse l’unico tratto distintivo dell’insolito apparato veicolare…
Lavorando lungamente nella sua officina per un periodo di oltre quattro anni, a partire soprattutto dal 1994 e con l’aiuto occasionale della moglie, Donatini avrebbe dunque dimostrato una perizia rara per chi pratica comunemente questo tipo di attività, sfruttando componenti di un telaio Mercedes adattato alle sue specifiche, altamente insolite esigenze. Tanto che il prodotto ottenuto non avrebbe certamente sfigurato, in un contesto fieristico, di fronte ai prototipi di case dalla fama internazionale.
Automobile ben studiata dal punto di vista aerodinamico e non più alta di 1,05 metri, la MB8 presentava d’altra parte un peso piuttosto elevato a causa della meccanica necessaria per i tre assi di marcia e relativi pneumatici, presumibilmente capace di aggirarsi attorno ai 1.300-1.500 Kg. Affascinante fin da subito per la maniera concepita per salire a bordo, con l’intera parte frontale dell’abitacolo che si solleva in alto grazie ad un perno, essa aveva d’altra parte la finalità principale di riuscire a dimostrare fino a che punto, nelle più varie circostanze, la guidabilità e affidabilità potessero essere massimizzate dalle specifiche soluzioni tecniche impiegate dal suo creatore. Esplicitamente descritte nei limitati materiali a sostegno del progetto come l’elaborazione tecnologica del concetto di un tavolo a tre zampe, dotato come implicita prerogativa della predisposizione ad adagiarsi sempre con il pieno appoggio dei diversi sostegni, indipendentemente dalla forma mutevole del sottostante terreno di allestimento. Cognizione che traslata all’automobile argentina, vedeva i suddetti pilastri rappresentati dall’appoggio dei tre assi con le ruote corrispondenti, ciascuno dotato del proprio sistema di ammortizzatori indipendenti che vedeva l’impiego di bracci multipli interconnessi sul retro e barre trasversali di stabilizzazione per quella anteriore. Il motore, posizionato al centro, era invece un Mercedes-Benz M116, V8 da 3,5 litri con circa 200 CV di potenza, realisticamente insufficiente per raggiungere le capacità prestazionali di una vera supercar dell’epoca, finalità che d’altra parte esulava dagli obiettivi esplicitamente dichiarati da Donatini.
Dopo una serie di dimostrazioni private alla stampa specializzata e l’apparizione in alcune fiere automobilistiche argentine (in merito alle quali, nuovamente, la limitata cronistoria disponibile ci lascia privi di dettagli precisi) l’insolito veicolo ha potuto quindi beneficiare di un’estensivo segmento in una puntata del 2004 del programma televisivo argentino “Garage” ricevendo una trattazione entusiastica da parte dei conduttori. Pronti a definirlo, con ragione di causa, uno dei tentativi più ambiziosi d’istituire un’eccellenza argentina nel campo degli autoveicoli, che avrebbe potuto costituire in linea teorica l’inizio di un nuovo processo nazionale. Se non fosse stato per alcune casistiche sfortunate, destinate a condizionare il successo dell’idea di Donatini.
Proprio egli cita nelle limitate dichiarazioni reperibili online, a tal proposito, la figura di un misterioso italiano che gli aveva garantito di poter dare il massimo risalto alla MB8 nel campo estremamente competitivo della produzione di automobili sportive. Il quale riportando nella nostra penisola i progetti dell’innovativa proposta, sarebbe poi venuto meno alle promesse fatte, con la problematica ulteriore che molte delle tecnologie rilevanti non erano mai state brevettate per mancanza di fondi da parte dell’inventore argentino. Ed è qui che l’inventore cita ogni volta, con un sottinteso rapporto di causa ed effetto, i cambiamenti effettuati da regolamento alle sospensioni della Formula 1 a partire dal 2007-2008, a suo dire sospettosamente simili alle soluzioni da lui utilizzate con quasi vent’anni di anticipo sulla tabella di marcia.
Peccato, allora, che l’effettivo merito sia in questo mondo posto in doloroso subordine alla scaltrezza delle metodologie comunicative, nonché la capacità di affidarsi ai giusti reticoli d’interconnessione umana, perseguendo la realizzazione di quelli che dovrebbero soprattutto essere, idealmente, degli obiettivi individuali. Poiché altrimenti, chi controlla con mani agili l’incandescente fuoco dell’industria avrebbe potuto cambiare il corso della storia tecnologica dei nostri tempi pietrificati dalle circostanze di contesto apparente. Insegnandoci che le ruote non sono mai troppe, almeno finché non dimostrano in maniera molto pratica di essere effettivamente abbastanza.