Le crudeli e storiche radici americane dell’uomo falena

Mistiche leggende, orribili creature, ali nella tenebra che incombono sopra la testa della gente: nonostante la reputazione di luogo ameno in cui trascorrere giorni sereni in mezzo alla natura, anche lo stato federale della Virginia Occidentale possiede il suo imponente bagaglio di segreti, sia della sfera materiale che all’interno di quella filosofica, ovvero teorica ed immaginifica, fatta d’atavico timore e tremebondo senso d’aspettativa. Una repertorio in mezzo al quale, tra la consueta sequela di leggende metropolitane e misteri irrisolti, spicca per celebrità imperitura la breve ed inspiegabile vicenda del criptide, o creatura semi-leggendaria, destinata a diventare celebre con l’appellativo di Mothman (Uomo Falena) prima ancora di acquisire fama imperitura grazie al film sul tema del 2002, con un’ottima e inquietante interpretazione di Richard Gere, in un racconto liberamente ispirato al libro del 1975 “Le Profezie di Mothman” del rinomato ufologo John Keel. Ma quando dico prima, intendo con quasi quattro decadi in anticipo, fino ad una serie di date successive concentrate a partire dal 12 novembre del 1966, e per un periodo di 13 mesi dopo i quali ogni avvistamento sarebbe repentinamente cessato. Non prima del verificarsi della più grave tragedia umana nella storia di una cittadina come Point Pleasant, capoluogo della conta di Mason non lontano dal confine con l’Ohio: il crollo del ponte sul fiume omonimo durante l’ora di punta, costato la vita di ben 46 persone.
Un’epilogo tristemente appropriato, per una storia (o associazione folkloristica) che aveva avuto inizio in un cimitero. Quello di Clendenin, situato poco fuori i confini del centro abitato, dove cinque uomini si trovavano quella sera rinfrescante intenti a seppellire una salma nelle ore del crepuscolo autunnale. Quando videro, come avrebbero riportato soltanto in seguito, una “figura umana dotata di un grande paio d’ali” che si sollevava verticalmente e con un’agile manovra, puntava verso il tramonto scomparendo sui confini dell’orizzonte. Qualcosa d’inspiegabile, ma che sarebbe forse rimasto relegato ai discorsi da bar degli operosi scavatori, se non fosse stato per un’ancor più eclatante e impressionante conferma dell’esistenza di Qualcosa, destinata a concretizzarsi nel giro di appena una settimana. Il tipo d’esperienza che sarebbe stata normalmente associata ad un caso di avvistamento UFO, se non fosse per il modo in cui le quattro persone coinvolte, due coppie di giovani sposi di ritorno da una scampagnata in auto, concordarono nel descrivere il preciso aspetto della creatura. Un essere di pura tenebra fluttuante sopra l’asfalto della strada i cui occhi, illuminati dai fari delle automobili, brillavano di rosso come catarifrangenti da bicicletta. Colpiti dalla scena ma incerti su quello che avevano visto, furono quindi i due mariti Steve Mallette e Roger Scarberry a fare ritorno in un singolo veicolo, qualche ora dopo, per venire a capo del bizzarro avvistamento. Una scelta di cui avrebbero avuto modo di pentirsi amaramente, quando l’essere alato calò nuovamente sopra il tetto del veicolo, iniziando ad inseguirli per un lungo tratto a velocità stimate di circa un centinaio di miglia orarie. Al suo ritiro nei dintorni della luce cittadina, tuttavia, il dado era ormai tratto. I due si recarono presso l’ufficio dello sceriffo per segnalare l’accaduto ed il giorno successivo, parlando con la stampa locale, avrebbero creato uno dei misteri più strani ed ostinati della critpozoologia contemporanea.

Leggi tutto

La leggenda dell’orribile balena carnivora che infestava le montagne del Colorado

Era una mattina di lavoro intenso sulle pendici dell’ombrosa montagna di Evans, tra pini e abeti di un’antichità imponente, destinati a diventare materiali per la costruzione di edifici nei quartieri più pregevoli dell’entroterra statunitense. Il nutrito gruppo di due dozzine di boscaioli, sotto la supervisione del professionista veterano John Stephens, si spostava con un ritmo collaudato da una radura a quella successiva, seguendo la precisa procedura frutto di una logica efficiente. Taglia, rimuovi i rami, carica sopra la slitta di trasporto trainata dai cavalli. Taglia, rimuovi e carica. Sudore, fatica, impegno quotidiano. Cosa si può chiedere di più in campo professionale, della soddisfazione di un lavoro ben fatto? Questo pensavano la maggior parte dei partecipanti alla spedizione, durante l’ora di sosta al volgere del mezzogiorno, radunati attorno alle vivande di un rapido ma energizzante pasto a base d’insaccati e formaggio. Non senza dimenticarsi, ovviamente, di posizionare un paio di vedette ai margini dell’accampamento, al fine di controllare i sentieri d’accesso per movimenti sospetti da parte di membri delle tribù degli Ute, ultimamente inclini a gesti vendicativi ed occasionali dispetti nei confronti dei visitatori pacifici all’interno delle loro terre. “Qualche tronco? E cosa sarà mai?” Subvocalizzò Stephens, pensando tra se e se all’assurdità di un mondo in cui le necessità della natura dovessero venire prima di quelle del progresso e della modernità civilizzatrice. E fu proprio quello il momento, grosso modo, in cui un grido di allerta risuonò a monte della congrega, a causa dell’improvviso sollevarsi di un gruppo di poiane più in alto sulle pendici del massiccio montano. “All’erta, signori, armatevi e restiamo in attesa…” Fece appena in tempo a gridare il vice-capo della spedizione, tirando già fuori il suo fucile dallo zaino, quando un rombo di tuono a ciel sereno sembrò spaccare a metà la quiete della foresta. Come per l’inizio di una frana dalla portata imponente, tale da spezzare alberi, spostare grandi masse di terra e disintegrare ogni residuo presupposto di presenza umana in questi luoghi distanti. “Non si tratterà… Non avranno osato…” Tentò di gridare Stephens al suo secondo, ma almeno in apparenza era già troppo tardi. Una massiccia forma scura iniziò a sollevarsi oltre la frondosa linea della canopia. Come un sacco di patate oblungo, delle dimensioni di quattro locomotive affiancate e poste una di sopra all’altra. Incredibilmente caratterizzato da un vasto buco nero nel suo punto frontale, che soltanto ad un’analisi più approfondita si sarebbe rivelato essere una bocca spalancata con piccoli denti aguzzi simili a quelli di uno squalo, sopra cui due occhietti piccoli osservavano voraci le invitanti forme paralizzate da una sorta di panico inusitato. Fu allora che Stephens, reagendo con riflessi che non sapeva di avere, si gettò in maniera fulminea da una parte, mentre il mostro procedeva a un ritmo estremamente rapido verso il centro esatto del suo gruppo di sottoposti. Con un nitrito spezzato a metà, i primi a sparire furono i cavalli. Ben presto seguìti da circa il 75% dei taglialegna umani, trangugiati come fossero spaurite aringhe sulla strada di un barracuda. Mentre gli passava accanto, senza fermarsi, senza voltarsi dalla sua parte, l’uomo vide quella pelle ruvida e coperta di bitorzoli, mentre sassi e pietre smosse dal gigante minacciavano di trascinarlo dietro la sua scia umida ed appiccicosa. Prima di perdere i sensi, gli riuscì di pronunciare solamente un paio di parole: “S…Slide-Rock Bolter, Dio mi è testimone…”

Leggi tutto

All’improvviso incoronata dalla nebbia, la visione di uno spettro tra le montagne

Poggiando il bastone da passeggio sulle asperità rocciose dell’alto picco di Bracken, rivolsi un pensieroso sguardo verso l’orizzonte. Quattro, cinque speroni di roccia che sbucavano dall’oceano del nulla, come la candida ed evanescente superficie di Saturno, sovrastata da un sole debole e indistinto. All’orizzonte il frastagliato picco del Wurmberg, la più alta montagna della Sassonia. E tutto intorno, nascoste dalle nubi dell’alba, le molte dighe costruite nel corso dell’ultimo secolo, con la finalità di generare energia elettrica, il progresso e la prosperità del mondo. In quel giorno meditabondo, tuttavia, non pensavo affatto a tutto questo. Ma piuttosto valutando il punto a cui era giunta la mia vita, continuavo a interrogarmi sulle mie possibili opportunità future, ovvero quanto fosse vero che con il trascorrere degli anni, il nostro fato appaia sempre maggiormente simile alle catene di un condannato all’insostanziale schiavitù degli eventi. Un umore ormai purtroppo familiare, ed a cui l’unico antidoto sembrava essere spostarsi lungo irti e ripidi sentieri, camminando il più possibile lontano dalla civiltà. Dove i passi riecheggiavano, riecheggiavano nell’astruso silenzio… Strano, d’altra parte. Poiché non dovrebbe essere l’eco di questo, una mera conseguenza della gestualità umana? E non ero forse fermo, ormai da svariati minuti, nell’osservazione del mare di nebbia? Dunque, ci siamo… Pensai. L’ora è giunta, d’incontrarlo e rivolgergli le mie domande. Per tanti anni avevo sospettato l’esistenza, di costui! Mi voltai di scatto, verso quello che il popolo di Scozia definiva l’uomo grigio di Am Fear Liath Mòr. E lui, naturalmente, era lì a guardarmi fisso, dalle profondità del tragitto montano. Una sagoma di almeno quattro metri, le braccia e gambe impossibilmente lunghe, la testa piccolissima e circondata da uno strano alone circolare. Cinque, sei, sette colori, l’immane risultanza di un prisma completo, formato per un vezzo imprescindibile del mondo. Nella speranza di confermare un’importante teoria, alzai quindi il braccio destro, poi il sinistro. Ed obbediente, lui fece lo stesso, in posizione cruciforme al principiar di quella lunga marcia. “Ecce homo” scandii lentamente all’interno della mente. Il vero mistero è risolto; il vero mostro che si aggira tra i boschi era sempre stato parte di me. L’oscuro doppelgänger, fondamento della psicanalisi, posto innanzi a una visione più Romantica del mondo. Poiché indipendentemente dalle proprie aspirazioni, nessuno può sfuggire al progredire della fenomenologia ottica di tutte le cose. Oggettivamente imprescindibile, quanto la morte, le tasse, l’ultimo episodio di un’interminabile telenovela in Tv.
Egli esiste, d’altra parte, veramente. Pur non possedendo nessun tipo di sostanza; si dice infatti che chiunque fosse tanto folle o fortunato da riuscire ad avvicinarsi all’uomo grigio per toccarlo, non potrebbe fare altro che trovarsi ad attraversarlo con le proprie stesse mani. Percependo magari l’unica esperienza fisica di un tenue calore, proveniente dallo stesso astro che ci da la vita. E qualche volta neanche quello. Poiché un tale criptide, se così possiamo chiamarlo per analogia con lo Yeti, Bigfoot e altri individui solitari ricoperti da quel folto pelo primordiale, compare solamente fuori dallo spettro del tangibile e all’interno dello spazio percepibile coi propri stessi occhi, Ma c’è un’importantissima, niente meno che fondamentale differenza. La maniera in cui può essere immediatamente catturato con fotocamere o registrazioni video, non di un tipo impreciso, incomprensibile o sfocato. Bensì dettagliate ed apprezzabili, come il quadro di un maestro del Rinascimento. Quanto lo studio di fattibilità di un grattacielo o di un ponte. In questi termini, egli esiste e non esiste allo stesso tempo. Ma soprattutto può riuscire a mutare forma in base al proprio osservatore, un po’ come il personaggio fantastico del mago di Oz. Questo perché lo spettro di Bracken, in modo materiale e niente affatto filosofico, si trova potenzialmente all’interno di ciascuno di noi. Previo il raggiungimento del sito idoneo ad evocarlo, ovvero un’alta montagna tra le nubi del pianeta Terra, verso le ore della prima mattina quando il sole è sufficientemente basso. Da riuscire a proiettare la nostra ombra nello spazio iperboreo del vuoto. Eppure un’ombra non possiede aureole. Non raggiunge agevolmente il secondo piano di un edificio. Non parla alla coscienza più profonda e irraggiungibile del suo padrone, mettendo in dubbio, rimescolando ogni certezza precedentemente acquisita nel corso della propria esistenza…

Leggi tutto

La città che regola l’orologio in base alla direzione in cui scorre il fiume

La piccola comunità urbana di St. John, nella regione del Nuovo Brunswick, presso la punta occidentale del Canada e a ridosso dell’isola di Nuova Scozia, è tagliata letteralmente in due da una profonda gola. Scavata nel suolo roccioso dalle acque del fiume omonimo, che sorge in Maine per poi estendersi verso settentrione e poi puntare nuovamente verso meridione, passando per questo tratto vorticoso particolarmente celebre per la sua capacità di attirare le foche. Che nei periodi di alta marea si spingono nell’entroterra, risalendo energicamente il canale naturale, per poi attendere qualche ora mentre si rilassano e catturano i pesci che transitano da quelle parti. Finché verso la metà del pomeriggio, gradualmente, il flusso del fiume inizia a rallentare e poi si arresta del tutto. E dopo il passaggio di qualche minuto di pregna aspettativa, inizia a scorrere nel senso diametralmente opposto. Vortici si formano tra le diverse insenature, gorghi e rapide insensate. Mentre i pinnipedi, venendo trascinati in una sorta di appassionante Luna Park, compaiono e scompaiono, s’inabissano per poi tornare a galla più entusiaste di prima. A dire il vero, potrebbero pensare eventuali osservatori dal ponte sospeso posto a 41 metri d’altezza, sembra proprio che si stiano divertendo. D’altra parte, chi potrebbe mai riuscire a dargli torto? Di luoghi come questo, ce ne sono pochissimi al mondo. Senza neppure avventurarsi ed entrare nel merito di come, nel complesso, nessuno possa evidenziare la portata del fenomeno nella stessa misura delle appropriatamente denominate Reversing Falls. L’idraulica effettiva conseguenza di una quantità d’acqua stimata attorno ai 100 miliardi di litri, che ogni giorno abbandonano temporaneamente l’Oceano Atlantico per fare il loro ingresso in questo golfo totalmente al di fuori dell’influsso delle grandi correnti. Poi tornando, senza falla, di la da dove erano venute. Il che tende a fare un certo effetto sulle naturale aspettative della fisica, inclusa quella largamente nota secondo cui le cose fluide dovrebbero tendere a scorrere in direzione del mare, almeno per la maggior parte del tempo. Mentre vige qui la regola per cui ciò avvenga, in modo sostanziale, esattamente il 50% delle volte, mentre per il rimanente segmento dell’arco quotidiano tende a verificarsi l’opposto; un fenomeno già noto agli abitanti ancestrali di questi luoghi, le tribù indigene dei Mi’kmaq, molto prima della venuta dei coloni europei. Che qui collocavano una delle avventure più memorabili del loro Dio e Creatore Glooscap, il quale si trovò a combattere in mezzo ai flutti il castoro gigante che aveva bloccato il fiume. Riuscendo infine a scacciarlo, per poi colpire con una grande mazza la diga che aveva orgogliosamente costruito e lanciarla a molti chilometri di distanza fino alla baia antistante, dove si sarebbe trasformata nell’isola di Partridge. Dando inizio alla vendetta di questa versione nordamericana del mostro di Scilla, antico divoratore delle navi. Ma sarebbe stato l’esploratore francese Samuel de Champlain, all’inizio del XVII secolo, a dare per primo una spiegazione ragionevolmente scientifica del flusso diseguale delle rapide, coniando per riferirsi ad esse il toponimo francese di Chutes réversibles. Ora esiste una teoria effettiva secondo cui un tempo, quando il ghiaccio resisteva in quantità maggiore sulla cima delle montagne a causa di temperature in media più fredde, questo segmento del fiume ospitasse effettivamente una cascata. Grazie al complicato sistema di mensole e declivi che si trova nascosto sotto le acque spumeggianti, tale da incrementare ulteriormente il comportamento erratico della corrente. Persino quando, nei mesi primaverili ed a causa del grande afflusso del freshet (ghiaccio liquefatto) la corrente smette d’invertirsi due volte al giorno. Costringendo gli abitanti di St. John, finalmente, a studiare più frequentemente le lancette dell’orologio…

Leggi tutto