Le tegole istantanee del maestro d’ascia americano

Cedar Shingles 1

Cresce un albero, nel Pacific Northwest degli Stati Uniti, che ha dei meriti davvero fuori dal comune. Thuja plicata, o cedro rosso gigante, fa di nome. Appartiene alla stessa famiglia del Cedrus libanese, a noi più noto, benché il genus sia del tutto differente. Ha un aroma straordinario. E si adatta, facilmente, negli ambienti di ogni tipo: prospera dalle paludi sul livello del mare, fino alle foreste costiere dell’Oregon, rese temperate dalla vicinanza con l’Oceano sconfinato. Puoi scorgerlo fin sulle alte rupi delle Rocky Mountains, sopra i picchi delle Olympic o della porzione canadese dell’esteso Cascade Range, in contrapposizione con il ripido orizzonte; sempre spicca quel suo fiore solitario, tra una corona di foglie aghiformi, posto in alto come uno stendardo illuminato dalla luce del mattino. E il suo legno di sostentamento ricompare, come se niente fosse, anche ben oltre le propaggini remote degli agglomerati urbani, fra l’asfalto delle strade, circondato dai lampioni e dalle mura di cemento.  È un perfetto materiale per la costruzione, forse tra i migliori.
Gerald M. Chicalo, viaggiatore esperto di foresteria, titolare di un canale su YouTube e soprattutto autore rinomato per la manualistica di settore, ha approntato il suo sgabello in mezzo a una radura. Tutto intorno, come niente fosse, si può ammirare il risultato di una lunga e fruttosa avventura in mezzo al grande verde: molteplici segmenti, perfettamente levigati, ricavati dai possenti fusti del nostro Redcedar tree. C’è giusto il tempo di ammirarli per un paio di secondi. Lui ne prende uno, lo dispone in verticale, poi vi appoggia un’ascia dalla lama particolarmente longilinea. Quindi, con un piccolo e rusticissimo mazzuolo, dà un colpetto attentamente calibrato: meravigliosamente, si materializza la perfetta lamina di legno. Sarà, questo particolare oggetto, già una tegola, perfettamente pronta all’uso. Il gesto si ripete più e più volte, finché cala la materia prima. Trasformata, tanto facilmente, in un tetto intero. I rivestimenti costruiti con questo legno non richiedono particolari trattamenti. Già l’albero naturalmente, per quanto possa sembrare straordinario a dirsi, secerne un olio profumato che lo rende impervio all’acqua. Oltre a scoraggiare di pari passo, secondo l’opinione comune, l’attacco di tarli, larve di imenotteri e di tutti gli altri insetti xilofagi, inclusa la temutissima termite, vera dannazione di chi costruisce abitazioni fatte prevalentemente di materia vegetale. Come si usa fare, per l’appunto tra gli stati di Washington, dell’Oregon e dell’Alaska. Secondo l’opinione dei rivenditori locali, facilmente reperibile online, mettersi sulla propria bicocca un tale tipo d’impervia protezione sarebbe non solo consigliabile, ma la migliore scelta disponibile. Per chi riesce a procurarselo, cosa non facile con tutto l’Atlantico nel mezzo! Un tetto in Redcedar resiste anche 40 anni, senza altro tipo di manutenzione che quella, del tutto occasionale ma altamente consigliata, di rimuovere il muschio, che vi attecchisce facilmente. Facendolo a pezzi usando come punto di partenza le sue venature. Proprio per questo, il materiale è consigliato in modo particolare a chi dispone di una buona esposizione solare (ma non solo). Ha il vantaggio, inoltre, di avere un peso relativamente contenuto:  tra i 390 e i 400 kg/m3 quando asciutto, circa il 30% in meno delle sue maggiori alternative. Anche per questo, si usa spesso e volentieri in campo musicale, per fabbricare le chitarre.
Trovi un albero, lo abbatti, sorge al posto suo una casa. Nella gestualità di Chicalo, così rapida e spontanea, ancora si intravede il modus operandi del pioniere delle grandi esplorazioni. Colui che si muoveva solitario, armato di tutti gli strumenti, sia fisici che mentali, per sfruttare al meglio la natura. Uno dei metodi migliori di onorarla. Che del resto, anche qui in Italia, trova degli ottimi e diversi fautori…

Leggi tutto

Sublimando sperimentali mattoncini

Jason Allemann

La più basilare forma di creatività è senz’altro l’immaginazione. La saggezza svanirebbe, senza il gioco. C’è un processo naturale, indissolubile dalla mente umana, per cui studiare, leggere, mettersi alla prova genera un vasto repertorio di nozioni, dirette o indirette, cui regolarmente si attinge nella vita e sul posto di lavoro: l’accrescimento culturale dell’individuo, da questo punto di vista, potrebbe ricordare da vicino la fotosintesi clorofilliana. La luce dell’esperienza con l’acqua dell’introspezione, beni fondamentali di sostentamento, vengono assorbite, ridiventando sostanze nutritive per neuroni, villi encefalitici e mielina cerebrale. Meditando su se stessi e sugli altri, si prospera. Surclassati da un eccessivo feedback nervoso e fuori luogo, si tende ad appassire, come un fiore. Quindi diventa inevitabile, talvolta, l’accumulo di un certo grado di stress: chiamatelo, se volete, l’anidride carbonica della sapienza. Quest’ultima, in qualche modo, va smaltita, trasformata in cose utili e armoniose. C’è chi dipinge, chi scolpisce, chi scrive o fa di conto. L’ossigeno di Jason Allemann, invece, sono le costruzioni. LEGO, possibilmente.
La sua ultima invenzione potrebbe rappresentare a pieno l’essenza pura del divertimento, fine a stesso per definizione. Si tratta di una scatola. Nera, con sopra un interruttore. Se lo spingi “lei” si apre, poi si chiude. Non prima, però, di aver mosso in senso contrario l’amato interruttore. Si tratterebbe, in effetti, dell’ultima versione di un vecchio classico di Internet, già trattato su questo blog: l’inutile macchinario che sa spegnersi da solo. E basta, nient’altro. Spingi, apre, chiude all’infinito e così via. In questo caso, comunque, c’è un’innovazione davvero significativa. Senza necessitare dell’impiego di un copione o del telecomando, la macchina dispone di un suo cervello (la centralina LEGO della serie Mindstorms EV3) che seleziona, in modo del tutto casuale, la strategia per trarre in inganno l’avversario umano. Nessuno accenderà una scatola robotica randomizzata, se lei non è d’accordo. Fino all’esaurimento delle pile.

Leggi tutto

Penetrazione pneumatica di un tubo sotterraneo

Nodig

Sotto le strade asfaltate di ogni ambiente urbano si nasconde un secondo labirinto di sentieri, affine per funzionalità ed aspetto al sistema linfatico degli esseri umani. Dipendendo nel quotidiano da questi tubi dell’acqua, gasdotti e cavi della corrente interrati, qualche volta ci poniamo l’interrogativo di come ciascuno di essi trovi la sua collocazione finale. Subito ci sovviene l’immagine, tipicamente estiva, delle voragini aperte nel manto stradale per l’ennesimo rinnovamento, con gravi conseguenze sul passaggio degli autoveicoli e la vivibilità degli ambienti cittadini, trasformate in realtà di lunga durata per necessità o sfortunata disorganizzazione. Nessuno, invece, ricorda le volte in cui tutto è andato a dovere, soprattutto grazie alla felice applicazione di una soluzione tecnologica innovativa; quando da un giorno all’altro, strisciando non visto come un verme-drago della Mongolia, il cunicolo cementifero voluto dall’amministrazione comunale si è insinuato da un lato all’altro del centro abitato, mettendo la sua cavità filtrante al servizio della pubblica utilità, con una totale efficienza realizzativa e quasi nessun grado di disagio. Il sistema No-Dig-Construction, della compagnia tedesca HERMES Technologie, trasporta il principio del martello pneumatico ad un contesto e proporzioni del tutto nuove, permettendo al tubo di bucare orizzontalmente ogni tipo di terreno, sospinto dalla potenza dirompente dell’aria compressa. Un colpo alla volta l’estremità del condotto, accompagnata dal suono ritmato del grosso macchinario, si trasforma così nella punta d’ago di una titanica siringa, sbucando ben presto in prossimità della sua metà designata. Il passaggio interno di un potente spruzzatore d’acqua provvederà in seguito alla rimozione dei detriti rimasti al suo interno.

Leggi tutto

1 31 32 33