L’insetto a causa del quale non tutta la frutta è vegana

Sarebbe bello, sarebbe pratico senz’altro, se il colpevole si presentasse immediatamente visibile sotto i nostri occhi: il vorace verme del lucente pomo, nel suo buco prelibato, parassita della pianta che è sfuggito, in qualche modo, al processo di trattamento, preparazione e commercializzazione del frutto. Quando assai più subdola e decisamente meno facile da rilevare, si prospetta l’indiretta presenza del minuscolo Kerria Lacca, creatura affine alla comune cocciniglia europea, che dalle foreste dell’India e il meridione d’Asia è stato portato a trascendere la sua forma fisica meno affine; per entrare a far parte, in maniera indiretta, della stessa rete industriale che intrappola e circonda il mondo. Se avete mai preso una pillola, l’avete assaggiato. Se vi piacciono le caramelle, o i cioccolatini colorati tipo le M&M’s, ne avete assunto la più pura essenza nelle oscure profondità del vostro organismo. Se vi piacciono mele, pere o gli agrumi come arancio, mandarino etc, dovreste ormai chiamarlo una parte importante della vostra dieta quotidiana. E non per una situazione meramente accidentale, come si potrebbe essere indotti a credere considerata la natura di un simile parassita dei vegetali, bensì a causa di una ben precisa scelta operativa dell’uomo, che getta le radici in un’epoca straordinariamente remota e culmina con l’utilizzo in forma di spray, finalizzato a incrementare la durata della frutta prima di essere consumata. Si parlava già brevemente, in effetti, di un impiego architettonico di tale materiale nella sua forma più solida già nel grande poema antico del Mahābhārata, risalente al IV secolo a.C, al fine di costruire il gran palazzo dei Kaurava per commemorare la vittoria nei confronti dei Pandava. Sebbene in epoca moderna, a nessuno verrebbe in mente di edificare delle alte mura utilizzando la gommalacca o shellac, come viene chiamata in lingua inglese.
E probabilmente ne avrete già sentito parlare: la copertura solida e lucente, dalla colorazione in genere uniforme, impiegata in buona parte dell’Estremo Oriente al fine di rifinire una vasta quantità di oggetti, mobilia ed opere d’arte. Tale lacca tuttavia, estratta dalla resina della pianta Toxicodendron vernicifluum, è quanto di più indigeribile e potenzialmente nocivo sia possibile immaginare per l’organismo dei suoi utilizzatori; tutt’altra storia rispetto al corrispondente prodotto indiano, giunto sulle nostre tavole attraverso le lunghe e tortuose vie della storia. Considerate, a questo punto, la secrezione di una piccola e innocente creatura, affine a ciò che rappresenta il miele per le api e allo stesso modo, causa di un allevamento intensivo finalizzato alla produzione sistemica di un tale approccio al miglioramento della qualità della vita. Mediante un processo che risulta essere, inerentemente, assai diverso…

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La statua dei record che commemora l’uomo di ferro dell’indipendenza indiana

Nell’intento nazionale finalizzato a perseguire un’immagine moderna e al passo coi tempi, la costruzione di statue monumentali non è propriamente al centro dei pensieri di un grande numero di capi di stato. Il che può chiaramente offrire, nel contesto di un’investimento significativo di fondi pubblici, una relativa facilità al raggiungimento del proprio obiettivo per chiunque desideri, per una ragione o l’altra, figurare all’interno di un’elenco che ospita, allo stesso tempo, il tempio del Buddha della Primavera in Cina (153 metri) quello di Ushiko in Giappone (120) e l’ormai relativamente piccola, ma nondimeno celeberrima, Statua della Libertà statunitense. Ciò detto tutto cambia nel momento in cui s’intenda non soltanto comparire, bensì occupare il primo posto in quel convegno dei giganti, particolarmente se s’intende farlo a partire dalla fine dell’ottobre del 2018, quando un grande consorzio internazionale guidato dalle compagnie Turner Construction, Michael Graves e Meinhardt, ha portato a termine dopo un periodo di 57 mesi quella che potremmo definire l’opera pubblica più impressionante, nonché notevole, desiderata dall’India in quest’epoca contemporanea. Un’immagine antropomorfa alta quanto un grattacielo, con i suoi 183 metri che si richiamano al numero di seggi nell’Assemblea Legislativa del Gujarat, stato in cui è posizionato, e completamente ricoperta in lastre di bronzo rese scintillanti dall’intensa luce dell’astro solare. Per la maggiore e sempiterna gloria di un personaggio che, pur non essendo famoso su scala internazionale quanto il politico, filosofo e influente figura storica Gandhi, condivise con lui parte dei successi che avrebbero portato, attraverso la disobbedienza civile, la nonviolenza e una lunga serie di astute macchinazioni diplomatiche, alla sofferta indipendenza del paese nel fatidico 1947. E sebbene ci sia una buona probabilità che non molti conoscano ed associno ad un volto, in Occidente, alla figura del vice-primo ministro del paese per i tre anni successivi, Vallabhbhai Patel, persiste da generazioni una corrente di pensiero in patria che l’avrebbe visto, al posto della figura talvolta controversa del suo capo di governo Jawaharlal Nehru, come l’ideale successore del percorso cominciato dal Mahatma, grazie alla notevole integrità e fermezza, che gli avrebbero riservato il compito di convincere a rinunciare al potere, l’uno dopo l’altro, i principi del 565 stati autogestiti oggi corrispondenti a una significativa parte del territorio indiano.
Missione almeno in apparenza impossibile, come doveva sembrare in linea di principio anche la costituzione del più grande omaggio offerto dai suoi discendenti alla memoria di costui, entro cui confluiscono una grande quantità d’innovazioni tecnologiche ed accorgimenti finalizzati a massimizzarne la durevolezza, permettendogli di resistere almeno sulla carta a raffiche di vento di fino a 180 Km/h, terremoti del 6,5 della scala Richter e un qualsiasi cedimento ragionevolmente immaginabile della vicina diga di Sardar Sarovar, grazie alla posizione elevata scelta per disporre le sue notevoli fondamenta completamente in metallo, create in parte con gli attrezzi agricoli donati dalla popolazione attraverso una campagna condotta nelle regioni più remote dello stato del Gujarat. Già perché a ulteriore corredo della sua esistenza così memorabile ed insolita, come sito per la statua è stato scelto il paesaggio alquanto inaccessibile della valle del fiume Narmada nella regione di Kevadia, a 100 Km dalla città più vicina di Vadodara ed oltre 150 dalla grande metropoli di Surat, senza nessun tipo di collegamento ferroviario e costringendo quindi i visitatori a raggiungerla con mezzi propri o un servizio di corriere che potremmo paragonare a quelle usate per i pellegrinaggi religiosi presso i siti sacri della nostra distante penisola europea. Per una collocazione capace di donare al monumento, visibile dalla distanza di circa 7 Km in ogni possibile direzione, quella valenza quasi paesaggistica che sembra renderlo una parte inscindibile del suo stesso territorio, piuttosto che l’opera urbana ed arbitraria dell’uomo. Quale miglior modo, di accrescere e custodire il mito di un eroe!

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L’estemporaneo merletto floreale della zucchina-serpente

Lunga e complicata riesce ad essere, senza limiti o confini nazionali, l’annosa questione su cosa possa essere definito un “frutto” e cosa di suo conto, una “verdura”. Così che tecnicamente, la definizione scientifica secondo cui la parte della pianta che contiene i semi rientri nella prima delle due categorie ed invece tutto il resto, viceversa, decade non appena ci si sposta nel contesto culinario, dove gusti, tradizioni ed abitudini riescono a modificare le acquisite convenzioni. Basandosi sul gusto, invece che l’essenza naturale del prodotto vegetale; così che nessuno, normalmente, penserebbe che il cocomero e la zucchina possano venire dalla stessa famiglia tassonomica, così come la zucca ed il melone, sia estivo che d’inverno. Il che del resto si applica, in maniera parimenti valida, a una pianta assai particolare dei climi tropicali e sub-tropicali, largamente associata con il suo nome scientifico Trichosanthes cucumerina ad India, Cina e Sud-Est Asiatico, benché abbia saputo trovare terreno fertile anche in Africa, Australia e Sud America. Che pur non arrivando a fare parte del mondo “animale” parrebbe richiamarsi vagamente ad esso, data l’oblunga forma serpeggiante che saremmo istintivamente inclini a paragonare a quella di una serpe in agguato. E chi potrebbe, senza un’adeguata preparazione preventiva, soffocare un sentimento di stupore innanzi alla visione di tali e tante infruttescenze, che discendono formando spire dalle propaggini più alte di quel forte rampicante. E forte deve essere, per forza di cose, quando si considera l’eccezionale lunghezza e peso di quegli oggetti, come si confà ad una degna portatrice dell’emblema delle cucurbitacee, che ogni essere riescono ad affascinare, con l’aspetto notevole dei propri peponidi carnosi.
Ciò detto e nonostante la striatura appetitosa, non aspettatevi un sapore dolce o zuccherino, né a dire il vero in qualsivoglia modo appetitoso, da una simile abitante della giungla, in grado d’invaderla grazie al servizio di distribuzione semi offerto da insetti ed uccelli. Lei che nasce, e assai rapidamente cresce, a partire dall’ora tarda del tramonto, quando il notevole fiore che la caratterizza inizia puntualmente ad aprirsi, arricciarsi ed attorcigliarsi, verso la creazione di uno spettacolo assolutamente unico al mondo: incredibile non è in effetti un aggettivo sufficiente, per riunire sotto un solo termine l’eccezionale visione di tali e tanti piccoli asterischi bianchi, la cui eleganza e regolarità parrebbero richiamarsi a un chiaro tipo d’intervento da parte dell’artistica mano degli umani. Proni ad arricciarsi ed attorcigliarsi su loro stessi, creando l’illusione che decade, puntualmente, al sorgere del Sole quando tali odorosi doni del paesaggio cominciano rapidamente ad appassire, avendo assolto al compito affidatogli con enfasi dal sistema tecnologico della natura. Il che si applica sia ai fiori maschili generalmente alti e solitari, che a quelli femminili raccolti sul ramo sottostante, di un organismo monoico in cui il principio dei due sessi convive senza nessun tipo di conflitto. Per lasciarsi dietro il timido germoglio, di quel ramo profondamente modificato il quale lentamente, inesorabilmente, si trasforma nella vipera tentatrice. Chi avrebbe mai potuto resistere all’aspetto non del tutto falsamente appetitoso, d’altra parte, di una tanto mirabile ed insolita creazione vegetale?

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Il canto millenario che riecheggia nelle grotte di Barabar

Oggetti fuori dal contesto che sembrerebbero ricollegarsi, in qualche maniera, a circostanze sovrannaturali o extraterrestri. Immaginate, a tal proposito, di fare il vostro ingresso in un ambiente sotterraneo, passando attraverso una porta in pietra finemente decorata concepita per riprendere lo stile decorativo dei templi lignei dedicati agli antichi Dei. Per trovarvi in un ambiente, vasto e quadrangolare, le cui splendenti superfici paiono la conseguenza diretta di un qualche processo di lavorazione della società industrializzata contemporanea. Dando nel complesso l’impressione ineluttabile di trovarsi all’interno di un bunker contro i bombardamenti aerei, frutto di un problema totalmente anacronistico per l’epoca in cui tale luogo venne posto in essere. Per ragioni, ahimé, largamente dimenticate…
Tra le tecnologie caratteristiche dell’India classica durante l’intero corso dell’Impero Maurya (325 – 185 a.C.) una in particolare si è dimostrata effettivamente in grado di lasciare tracce durature fino all’epoca odierna: la perfetta lucidatura delle superfici di pietra, ottenuta mediante approcci straordinariamente efficaci. Che si sia trattato dello strofinamento di pelli d’animali o sabbia, di una combinazione delle due cose o ancora la cesellatura di uno strato applicato preventivamente di arenaria ed ematite, l’effetto finale altamente riconoscibile può essere facilmente ammirato nelle svettanti colonne di Ashoka il Prediletto degli Dei (regno: 268 – 232), sovrano che aveva l’abitudine di far incidere i suoi editti nei quattro angoli del regno, sfruttando l’alta visibilità concessa da tali notevoli monumenti. Nipote del fondatore della dinastia Chandragupta e celebre per la sua politica di tolleranza religiosa, questa figura di conquistatore e legislatore tra i più importanti nella storia del suo paese viene largamente lodato con epigrafi, tuttavia, anche in un luogo più lontano dalla luce risplendente del sole indiano: le cosiddette grotte di Barabar o Marabar che dir si voglia, se volessimo seguire la traslitterazione volutamente modificata nell’importante romanzo sul colonialismo inglese Passage to India (E. M. Forster – 1924) che ne faceva un punto chiave della sua trama. Questo luogo che Ashoka concesse in dono, probabilmente durante la parte finale del suo regno, alla setta di asceti degli Ajivika, noti polemisti avversi alle religioni dominanti di Buddhismo e Jainismo, che credevano nell’assenza di divinità e il destino ineluttabile di ogni creatura. Per cui tale lascito architettonico, tra le poche testimonianze sopravvissute all’esaurirsi della loro esistenza, costituiva il luogo di culto principale ed un probabile segno di prestigio, date le eccezionali caratteristiche del territorio di partenza privo di termini di paragone. Collocate nello stato settentrionale di Bihar, grossomodo tra le due città di Gaya e Patna, lo scenario si presenta infatti fin da subito come l’eccezionale risultanza di una serie di giganteschi macigni enormi disseminati in giro da un’antica catastrofe o gigante, alcuni dei quali risultano, ad un’analisi più approfondita, caratterizzati da queste aperture geometriche chiaramente frutto della mano umana. Non tutte, ad ogni modo, sembrerebbero essere state create uguali…

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