Nella scena culmine del film, un gruppo di persone impara a conoscere se stesso e il proprio rapporto con l’arte, osservando attraverso una drammatica sequenza in time-lapse l’articolata creazione di un qualcosa d’eccezionale. Mentre il creatore opera, un singolo mattone alla volta, in base a calcoli precisi e iniziative del momento, in egual modo utili a dar forma alla propria idea. Una visione che parrebbe includere, sotto l’immaginaria volta celeste di un antico soffitto, l’erezione di una piccola ma dettagliata torre di Babilonese memoria. Ed è proprio l’indiretto paragone con il più problematico degli edifici della Bibbia, che ora emerge nei pensieri degli spettatori e a volta quelli che ne osservano le immateriali peregrinazioni filosofiche, mentre Raffaele Salvoldi (alias WoodArc) scende dalla scala usata come impalcatura temporanea e dopo aver scattato qualche foto come sua legittima prerogativa prende in mano l’unità più piccola del mondo ideale per il quale ha lungamente, intensamente faticato fino ad ottenere la struttura onirica del proprio singolare exploit di turno. Si tratta, niente colla, nessun trucco ed altrettanti inganni, di una semplice tavoletta rettangolare in legno di pino, simile ad un pezzo del domino ma in realtà facente parte del famoso kit di costruzioni olandese “Kabouter plankjes” (le Tavolette degli gnomi) nome trasformato per il marketing nell’acronimo KAPLA. Ecco, allora, quello che succede: ogni singola persona ne riceve una identica. E con un’energica esortazione, invitata a seguire l’esempio dell’autore, che lancia la propria proprio nel bel mezzo delle straordinarie architetture immaginifiche da lui create. Che un poco alla volta vengono smontate un pezzo dopo l’altro. Ed infine crollano, in maniera rovinosa, come un cumulo d’indifferenti macerie.
Creazione ed Apocalisse, intento e nichilismo, magnificenza e devastazione. Opposti che sembrano avvicinarsi, in molteplici occasioni operative, nell’esperienza di coloro che amano le Costruzioni, ovvero il tipo di divertimento che si basa e in qualche modo agevola l’innato intento creativo di chi dimostra un sufficiente grado di passione in materia. Nella maniera facilmente confermata, oggi giorno, da una frequentazione meramente occasionale dei canali social digitalizzati, entro cui figurano i molteplici utilizzatori di LEGO ed altri simili implementi, egualmente produttivi di molteplici imponenti meraviglie al giro di ogni singola settimana. Obiettivo chiaramente perseguibile, di volta in volta, soltanto tramite lo smontamento dell’opera mostrata nel servizio videografico antecedente. Eppure anche in questo, il nostro artista di Grignasco (NO) riesce ad essere originale, poiché riesce a esprimersi mediante il complicato linguaggio dell’architettura, che sembra sottintendere solidità e definizione degli ambienti incline a tendere verso tempistiche concettualmente imperiture. Finché fattori esterni, lungamente parte del progetto, non raggiungono il momento di manifestarsi…
italia
L’opportunità costante di acquistare online piccoli cannoni medievali funzionanti
Avere di più, investendo meno, è da sempre uno dei principali obiettivi dell’ingegneria applicata. Occasionalmente superato, in determinate circostanze, dall’avere “di più in meno spazio” ovvero concentrare tutti i propri componenti all’interno di un guscio più compatto, possibilmente inseribile all’interno della tasca dei pantaloni. Un cruccio niente meno che determinante, a dire il vero, nella progettazione dei moderni telefoni cellulari, ovvero l’interfaccia tecnologica che ci permette di essere una parte imprescindibile del grande flusso delle informazioni, traendone beneficio. C’è stato un tempo tuttavia, in cui lo scambio principale d’opinioni tendeva ad avvenire tramite l’impiego di pesanti bolidi scagliati contro e giù dall’alto ammasso di mattoni, intonaco e calce, che frequentemente costituiva il muro invalicabile di una fortezza o altro edificio fortificato. Un’epoca in cui il superamento di baliste e catapulte, intesi come ponderosi meccanismi in grado di proiettare oggetti più grandi, fu il frutto graduale dell’implementazione sempre maggiormente diffusa della miscela di sostanze denominata come polvere nera o “da sparo”. Il che presentava, indubbiamente, un pratico vantaggio: la potenziale validità di un processo di miniaturizzazione. Dalla bombarda al falconetto, alla serpentina, alla schlange e mezza schlange purché si fosse sempre pronti a far girare le accoppiate ed immancabili ruote dei loro carriaggi. O facendo a meno di quelle, con cadenza cronologica anticipata o coincidente, l’implementazione di un qualcosa di ancor più piccolo, la lunga asta che i cinesi chiamavano tūhuǒqiãng 突火槍 – lancia di fuoco (o “da” fuoco). Proprio perché sormontata, nella parte da rivolgere verso il nemico, di una sorta di pentola o capiente tubo di metallo. Pronto ad esplodere, proiettando in avanti… Qualcosa.
Detriti e rottami nella sua versione primordiale, risalente all’incirca all’undicesimo secolo ed impiegata largamente nei conflitti tra le antiche dinastie dei Jing e dei Song, finché l’andamento e reciprocità degli intercambi tra i due estremi della Via della Seta non portò quel meccanismo e potenziale approccio alla guerra fino in Medioriente e poi da lì, giù in Europa. Non prima, s’intende, di una significativa ed importante scoperta; quella della maniera in cui impiegando munizioni del corretto “calibro” ovvero larghe esattamente quanto la suddetta “canna”, esse potessero esser proiettate in modo ragionevolmente prevedibile ed una distanza interessante. Fino a mezzo chilometro, paragonabile a quella di un arco lungo in legno di tasso, albero tra i più preziosi e ricercati nelle sempre più rare foreste d’Occidente, grazie all’implementazione tecnica destinata a rimanere iscritta nelle cronache col nome anglofono di handgonne (“cannone portatile”). Una scoperta la quale colpì nell’immediato, assai famosamente, le compagnie militari mercenarie impiegate dalle fazioni in perenne conflitto sulla penisola italiana, come esemplificato da preziosi documenti quali il De Nobilitatibus, Sapientis, et Prudentia Regum redatto per Firenze da Walter de Milemete nel 1326, contenente la più antica immagine europea di un’arma da fuoco, il cannone a ciotola pot-de-fer, probabile antenato del nostrano schioppo da guerra. Soluzioni pratiche a problemi assai diffusi, come quello di annientare una formazione di fanteria dai ranghi serrati, per colpire la quale non era molto importante fare fuoco con particolare precisione. Bensì colpire, semplicemente, qualcuno, con l’energia cinetica impressa nel pallino stimata in condizioni ideali attorno al migliaio di joule, inferiore soltanto del 10% a quella di un moderno fucile da combattimento. Abbastanza per bucare da parte a parte un’armatura costruita con l’acciaio migliore. Vanificando lunghi secoli di privilegi ed alterigia della classe nobile sui dolorosi campi di battaglia…
L’implacabile vitalità del fico che ha smarrito la direzione del cielo
Il territorio italiano è letteralmente disseminato di risorse archeologiche che in altri luoghi potrebbero giungere a costituire il simbolo di una nazione, semplicemente inserite all’interno di elenchi raramente consultati, restando per lo più sconosciute a chi non abita nelle immediate vicinanze. Una di queste potrebbe essere individuata, senz’altro, nel parco delle terme di Baia, antico sito termale risalente al III secolo d.C, dove figure politiche di rilievo e diversi imperatori di Roma erano soliti recarsi per trascorrere un periodo di vacanza e (possibilmente) meritato relax. Vasto e affascinante, il sito colpisce soprattutto per l’avanzata qualità architettonica di taluni edifici, tra cui l’enorme “tempio” di Mercurio, in realtà un frigidarium ospitante l’accogliente piscina, mantenuta a una temperatura ideale per rinfrescarsi dopo l’immersione nelle acque solforose dei Campi Flegrei. Ciò che in modo atipico ha saputo colpire l’immaginazione del grande pubblico, tuttavia, è la notizia rimbalzata su diversi social network a partire da una decina di anni a questa parte, relativa alla presenza in uno degli edifici annessi al suddetto di una volta a botte, ornata dalla più inimmaginabile creazione pendula del regno vegetale. Quello che potrebbe solamente essere definito, se non sembrasse impossibile, come un albero voltato al contrario. Un Ficus carica a voler prestare maggiore attenzione ai dettagli, della specie non soltanto più comune ma anche resistente alla siccità di tale tipologia di pianta, sebbene qui il rapporto tra le forze in gioco appaia assai diverso dalla convenzione largamente data per acquisita; sul come, esattamente, e perché un tale fenomeno possa aver avuto luogo ad essere la maggior parte degli articolisti non si esprime, e tutto considerato si può ben comprendere la ragione. Siamo innanzi, d’altra parte, ad un qualcosa che non ha termini di paragone al mondo, per lo meno nell’esempio integro e finito offerto nell’eccezionale scenario di un siffatto insediamento. La stessa epoca a cui un tale arbusto atipico può esser fatto risalire resta d’altra parte misteriosa, sebbene sia ragionevole immaginarne una longevità pari almeno alla metà dei 60 anni di durata massima della vita di una di queste piante. Cronologia coerente con i primi scavi di epoca contemporanea risalenti alla metà degli anni ’90, quando pare che l’originale albero, voltato un tempo nella direzione tipica prevista dalla convenzione, sia stato accidentalmente distrutto (come, esattamente, non si sa) portando la sua mente lenta ma del tutto inesorabile a tentare una direzione di crescita diametralmente contraria. Qualcosa di teoricamente possibile, persino documentato, ma eccezionalmente raro in natura…
Il significato pratico e spirituale di un incontro con il lupo nero del Minnesota
La ragione per cui la natura è giudicata “semplice” o “selvaggia” va generalmente ricercata nel rapporto molto umano tra le immagini e il pensiero, ovvero l’interpretazione pratica delle diverse contingenze situazionali, che realizzano la propria essenza nel susseguirsi delle passeggiate o escursioni di ciascun giorno della nostra vita. Con i presupposti più inimmaginabili e distinti, vedi quello dichiarato dallo stesso Conrad Tan, fotografo del cosiddetto stato dei 1000 laghi, che volendo visitare il favoloso parco naturale dei Voyageurs, dice ora di averlo fatto per lo scopo di “Poter guardare un wallpaper che lui stesso aveva creato” unendo in questo modo l’utile al dilettevole, ovvero l’informatica del mondo moderno all’ancestrale fascino della natura, intesa come il tipo di soggetti, animali e inconsapevoli, che meglio riescono a far bella figura tra le fronde digitalizzate e gli altri pixel che compongono il tipico desktop dei nostri grigi PC. Il che non toglie la possibilità, a noi persone dalle più accessibili esigenze, di apprezzare il suo lavoro e incorniciarlo in quel contesto, senza preoccuparci necessariamente della provenienza o di non disturbare con il flash l’affascinante cane… Lupo che campeggia al centro dell’inquadratura frutto di una tanto approfondita competenza fotografica ed il senso imprescindibile dell’avventura.
Poiché questo non è l’animale che semplicemente incontri nel cortile, bensì la versione originaria di quel tipo di creatura, intesa come il Canis lycaon della classificazione al tempo erronea di Linneo, proprio perché almeno in apparenza ben diverso dal C. lupus di cui Cappuccetto Rosso sembrava non conoscere la ferocissima fisionomia. Ma in merito al quale, resta chiaro, colei o colui avrebbe potuto giovarsi di un più istintivo ed immediato terrore se soltanto fosse stato nero come la notte, rispecchiando nella sua tonalità la cupa fame che riusciva a connotare ogni potenziale interazione con eventuali bambine umane. E “Che occhi grandi che hai!” avrebbe potuto rispondere l’animale stesso, dinnanzi all’espressione del celebre naturalista svedese trovatosi dinnanzi a una creatura tanto rara e preziosa. Proprio perché, contrariamente a quanto si potrebbe essere inclini a pensare, il lupo nero è una creatura ben distinta con un percorso genetico particolare, che l’ha relegata al giorno d’oggi solamente in dei particolari ambienti tra cui l’Europa meridionale (incluse parti dell’Italia, tra cui il Trentino e l’Appennino Tosco-Emiliano) ed un paio di grandi parchi nazionali statunitensi: Yellowstone e i Voyageurs. Dove ormai soltanto un numero particolarmente ridotto di visitatori ancora ricorda il vero significato dell’incontro con un Lupo dello Spirito, come tendevano a chiamarlo con indubbia deferenza gli abitanti indigeni di queste due regioni, ogni qual volta lo incontravano lungo il sentiero variabilmente onirico delle proprie peregrinazioni. Un esperienza capace di rivelarsi, ogni singola volta, trasformativa…