Sbiancamento delle nubi: l’ultima speranza di salvare la barriera corallina?

Tra gli svariati disastri, ecologici e non, di questo drammatica prima parte di 2020, il più recente e ancora meno discusso può essere individuato nel più grave processo entropico da cinque anni in grado di coinvolgere uno dei più importanti monumenti, non soltanto dal punto di vista paesaggistico, dei grandi territori oceanici del nostro mondo. Così mentre, verso l’inizio di aprile, il mondo intero si svegliava in quarantena, attraverso una perlustrazione aerea prevista da tempo veniva riportato l’improvviso, nonché diffuso, impallidimento di una vasta zona dell’intera Grande Barriera a largo dello stato australiano del Queensland, costruita dal corallo e importantissima dimora di una vasta serie di specie animali e non. Evento causato, come sappiamo dalle precedenti occorrenze, da rapidi e sfavorevoli mutamenti climatici, che causando uno squilibrio nella biologia dei polipi (cnidaria del corallo) porta quest’ultimi ad espellere dalle proprie colonie il protozoo simbiotico zooxanthellae, simile ad un’alga ed importante fonte di cibo per questi minuscoli animali. Al che segue, oltre che l’antiestetica perdita di pigmento, una progressiva deriva verso l’inedia, l’incapacità di nutrirsi ed infine, la morte. Ciò che l’uomo ha causato in maniera più o meno diretta, tuttavia, egli stesso può tentare di risolvere, seguendo quella strada che, nonostante i latenti pericoli virali, ha non di meno scelto di percorrere il ricercatore Daniel Harrison dell’Università Southern Cross del Nuovo Galles del Sud, mettendo in atto giusto negli ultimi giorni un piano preparato da tempo.
Staticità, rassegnazione, indolenza, senso di aspettativa ancora oggi totalmente privo di soddisfazione: per molti ma non per tutti, data l’opportunità, senz’altro rara, di portare a termine importanti progetti messi in moto da tempo. Iniziative come quella della semina delle nubi marine, perseguita da questo specifico sostenitore del processo attraverso almeno tre anni di studi statistici e di fattibilità, fino alla partenza, verso l’inizio di aprile, del suo staff a bordo dell’imbarcazione da ricerca Riverside Marine, con a bordo quello che poteva senza dubbio assomigliare, sotto molti punti di vista, a un tipico cannone per la neve. Lungi dal servire in ipotetiche battaglie navali tra vascelli, d’altra parte, l’apparato tubolare recante i loghi identificativi del Sims (Sydney Institute o Marine Science) e la EmiControls, compagnia specializzata nell’abbattimento polveri e sistemi antincendio, era in effetti una turbina con un’obiettivo ben preciso: proiettare verso l’alto, a fronte dell’atomizzazione dell’acqua marina, letterali triliardi di particelle infinitesimali di sale, idealmente valide a creare un qualche cosa di potenzialmente proficuo: uno scudo di vapore riflettente, chiamato normalmente nube, in grado di proteggere da parte dei raggi del sole coloro che ne hanno maggiormente bisogno…

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L’incontenibile cannuccia idrostatica del Prof. Pascal

Molto importante nello stile d’insegnamento statunitense è la cognizione che sapere un qualcosa, e testimoniarne l’evidenza, siano due valori culturali profondamente differenti. Così che il metodo scientifico, continuamente messo in discussione, si trova sottoposto a prove quotidiane, dinnanzi al pubblico della nuova generazione, in aule di scuola, laboratori universitari ed altri spazi architettonici finalizzati a tal scopo. Resta tuttavia evidente che ogni abitudine, inclusa simile tendenza, possa venire proporzionata sulla base del proprio ambiente operativo, raggiungendo e coinvolgendo le fervide menti in quantità determinata dalla grandezza del proprio palcoscenico ed il tipo di risorse a disposizione. Come nel caso della Prof.sa Katerina Visnjic di Princeton, che nel 2016 tra tutti i megafoni a disposizione, scelse d’impiegare il più imponente: quello di Internet, creando il canale di YouTube chiamato a tal proposito Physics4Life. Idealmente finalizzato, in linea di principio, a contenere un’ampia antologia di materiali ma la cui Alfa e Omega per ragioni inconoscibili sarebbe stata invece questa singola scenetta, il cui svolgimento e risultato, d’altra parte, appaiono chiari e al tempo stesso, poco meno che straordinari. Stiamo parlando, d’altra parte, di una delle più famose prove pratiche finalizzate alla scoperta di una legge naturale, per l’appunto nominata in base al nome del suo scopritore, il matematico francese appartenuto al secolo della scienza Blaise Pascal (1623-1662) a sua volta strettamente interconnesso all’immagine particolarmente strana e imprevista di un lunghissimo tubicino, fatto discendere dalla sommità di una torre, all’interno della prototipica botte costruita in doghe di legno. Nient’altro che un’esperimento, a conti fatti, ma del tipo migliore. Poiché quasi nessuno, senza una preparazione precedente, avrebbe potuto prevederne l’esito finale.
Osservate, ponderate, traete le vostre conclusioni: su questo gruppo di studenti iscritti all’università più prestigiosa e importante del New Jersey che, seguendo le istruzioni della loro guida in questo viaggio sorprendente di scoperta, approntano la configurazione già descritta con alcuni significativi gradi d’adattamento. A partire dalla sommità del dipartimento di fisica, il mini-grattacielo noto come Fine Hall, ove trova collocazione il punto d’origine della succitata, angusta e flessibile condotta (probabile tubicino in gomma trasparente) fino al bersaglio finale di una grossa ampolla in vetro, a sua volta inserita all’interno di un contenitore più grande poggiato attentamente al livello della strada. Questo per evitare che al verificarsi dell’effetto finale qualcuno possa rimanerne, assai spiacevolmente, bagnato. Quindi al trascorrere di qualche attimo di suspense, seguito dalla relativa apertura delle menti grazie alla descrizione del concetto di pressione idrostatica, con gesto solenne l’aiutante della Prof.sa Visnjic spinge uno stantuffo dal piano rialzato di 35-40 metri, dando inizio a una serie di conseguenze strettamente interconnesse tra loro. Prima tra tutte, la compressione del liquido nella cannuccia, tramite espulsione inevitabile di fino all’ultima bolla d’aria rimasta intrappolata al suo interno. Subito seguita, con rapidità fulminea, da un aumento di pressione pressoché immediato nell’ampolla al termine di quel sistema chiuso, immediatamente portata fino al limite massimo concesso dalla sua struttura. Fino all’irrimediabile esplosione in un migliaio di frammenti, causata dalla semplice pressione, neanche tanto forte, del pollice umano sovrastante. Il che richiede, senza il benché minimo dubbio, l’approccio ulteriore di una breve discussione esplicativa…

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Svelata la ragione di un mucchio di topi al volante

Il camino totalmente fuori misura, le sedie imbottite dall’aspetto retrò, la pianta sopra il tavolo di forma circolare, il folto tappeto orientalista. Loro che si guardano negli occhi, senza mai voltarsi per la telecamera, trasportata innanzi a quella scena quasi per un puro caso. C’è grande formalità nella presentazione dell’Università di Richmond, in cui l’intervistatore lascia descrivere alla professoressa di neuroscienze Kelly Lambert l’argomento principale della sua ultima pubblicazione, un intero libro dedicato all’effetto delle “buone decisioni” sulla salute mentale umana. O per usare il termine da lei coniato, i cosiddetti behavior-ceuticals (contrazione del concetto di farmaci-comportamentali) potenzialmente capaci di liberare ampie fasce di popolazione affetta da disagi mentali di vario tipo dal bisogno di sostanze chimiche potenzialmente problematiche, costose o a lungo termine pericolose. Eppure neanche lei riesce a trattenere una risata, quando la sua controparte sposta l’argomento sull’ultima ricerca in ordine di tempo svolta nel suo laboratorio (eravamo a maggio di quest’anno), capace di condurre soltanto una settimana fa alla pubblicazione finale sulla rivista Behavioural Brain Research dell’articolo intitolato “L’esposizione ad un ambiente arricchito migliora le capacità di guida dei roditori”. Con un’espressione indecifrabile, inizia la sua spiegazione “In effetti, si è trattato di un’idea che abbiamo elaborato assieme. Io e i miei studenti, permettendo loro di divertirsi costruendo le automobili, mentre stabilivano le sfide e gli obiettivi posti innanzi agli amici topolini…”
Ma non si dilunga eccessivamente per approfondire l’argomento. Del resto in quel momento, senz’altro non credeva che un simile aspetto collaterale del suo intero iter di carriera potesse far conoscere, nel giro di appena 7 giorni, il suo nome a letterali centinaia se non migliaia di giornalisti sparsi per il mondo, e attraverso il loro tramite, quella brulicante macchina collettiva che è l’opinione pubblica, istintivamente catturata da un così bizzarro concetto. Eppure, gli elementi c’erano tutti: un personaggio estremamente noto, l’animale protagonista d’infinite favole o vicende di assoluta fantasia; il gadget tecnologico, passione inveterata della nostra intera epoca, segno sublime dell’intento innovativo generazionale; e il gusto un po’ curioso di un’esperimento comportamentale, per una volta niente affatto crudele o inquietante, quanto piuttosto mirato formalmente a far, letteralmente, divertire i proprio involontari partecipanti.
Già perché nei fatti, proprio di questo si tratta, come esemplificato dal titolo a posteriori dello studio e in un certo senso, l’intero trend della ricerca rilevante degli ultimi anni, che soltanto nel corso di questi ultimi ha iniziato a distanziarsi dalle originali idee messe in campo dall’effettivo padre della scienza comportamentale, il professore americano B. F. Skinner (1904-1990). Inventore del concetto della scatola, che viene oggi definita col suo nome, buia e priva di elementi, all’interno della quale il topo veniva tradizionalmente messo per tirare le sue leve, pulsanti o compiere altri tipi d’interazione, in cambio di sollecitazioni positive (cibo) o in più rari casi, ricevendone di negative (lievi scosse di corrente). Approccio gradualmente abbandonato dall’opera degli studiosi contemporanei, per il semplice fatto che un topo nella scatola non è semplicemente una casistica di controllo valida a riprodurre l’effettivo stato della mente umana, soggetta a una marea di sollecitazioni allo stesso tempo. Ecco, quindi, l’idea rivoluzionaria della Lambert e il suo team: “E se la scatola fosse del tutto trasparente? E dotata di un paio di ruote? E se il topo avesse la capacità di farla muovere, verso degli obiettivi bersaglio, in cambio di una ricompensa particolarmente piacevole e al tempo stesso, non necessaria?” (Nella fattispecie, un anellino dei tipici corn flakes statunitensi, modello Fruit Loops) Era dunque nato, nel preciso momento in cui vennero trovate le risposte a simili quesiti, il concetto totalmente nuovo del R.O.V. (Rodent Operated Vehicle). Nulla, nel mondo, sarebbe stato più lo stesso!

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Scoperti vermi dalla tripla identità sessuale nell’arsenico del Mono Lake

Arido, immoto, privo di vita: non è certo questa una serie d’aggettivi che possano essere attribuiti al più bacino idrico endoreico (privo di emissari) della parte settentrionale della California, non troppo distante dal Nevada, dove torri ultramondane di contorto tufo si specchiano nelle acque lievemente increspate dal vento secco proveniente dall’entroterra degli Stati Uniti, mentre enormi stormi d’uccelli migratori calano a più riprese, per cercare un pasto particolarmente nutriente. Nonostante neanche un solo pesce, da un periodo di almeno 10.000 anni, abbia nuotato sotto la sua superficie, in forza di una quantità di sale così elevata da portare il valore del pH tra 9 e 12, fino ad una condizione basica talmente estrema da impedire lo sviluppo di organismi di tipo convenzionale. Il che, d’altra parte, non ha fatto altro che rimuovere dall’equazione ecologica qualsivoglia possibile rivale di quelle creature che, invece, hanno trovato il modo di sfruttare tale situazione a proprio vantaggio. Primo tra tutti il gamberetto Artemia monica, qui presente in quantità superiore al trilione di esemplari, così come la mosca Ephydra hians, le cui gustose larve si nutrono di un ricco letto d’alghe verdi, prima di spiccare il volo, non smettendo ad ogni modo di tornare a immergersi sfruttando la propria capacità di trascinarsi dietro una bollicina d’aria. Gustose perché mangiate, sin dall’alba dei tempi, dai volatili locali oltre alla popolazione indigena dei Kucadikadi, il cui nome in lingua algonchina significa per l’appunto “Mangiatori della Pupa di Mosca del Lago Salato” Ma è nel regno delle cose ancor più minute, come spesso capita in simili ambienti, che la situazione inizia a farsi decisamente interessante: con colonie del batterio endemico Spirochaeta americana, dotato di un flagello estremamente atipico, che gli permette di nuotare con un movimento a spirale. O il suo simile GFAJ-1 (fam. Halomonadaceae) scoperto nel 2010 dalla scienziata della NASA Felisa Wolfe-Simon e ritenuto capace, per qualche tempo e prima che arrivasse la smentita in laboratorio, di generare le copiose quantità di arsenico rilevate in determinate zone del lago, come parte inscindibile del proprio DNA.
Ciò che non era mai stato trovato, tuttavia, in un così interessante luogo era l’essere che più di ogni altro, caratterizza e connota il concetto stesso di vita sulla Terra: che non è l’essere umano, e neanche la formica, bensì l’intera genìa di piccoli vermi cilindrici appartenenti al Phylum Nematoda, la cui onnipresenza sia come parassiti che esseri indipendenti è stata confermata ricoprire ogni singolo ambiente, naturale o artificiale, pianta, animale o essere umano del nostro pianeta. E sarebbe stato ragionevole affermare: perché non si era ancora fatto in modo di cercarlo nella maniera/luogo giusto, come oggi riconfermato dall’ultima ricerca dei due recenti PhD della Caltech assunti dal laboratorio Sternberg Pei-Yin Shih e James Siho Lee, pubblicata verso la fine del mese di settembre, capace d’incrementare ulteriormente la stima che abbiamo nei confronti della capacità di adattamento e plasticità ecologica di queste quasi-onnipresenti creature. Oltre a presentarne una quantità di 9 specie tra cui alcune, inserite solo temporaneamente nel recente genere Auanema (sotto-classe Rhabditia) dotate della caratteristica riproduttiva piuttosto rara in natura di presentare un sistema trioico, ovvero dotato di tre possibili sessi: maschile, femminile ed ermafrodita. Un vantaggio dalle significative implicazioni evolutive…

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