“Io… Noi… Aiutateci, Padre. Abbiamo infranto un Divieto per cercare agi e ricchezze nella vita terrena. Ora lo spirito segreto del Gichi-Gami è adirato con noi. E lo stesso, possiamo presumere, vale per il vostro Dio cristiano!” Claude Dablon, missionario, esploratore, storico e membro della Compagnia di Gesù inviato nel Nuovo Modo per volere di nostra Madre Chiesa, osservò attentamente il nativo degli Objiwe per meglio comprendere la portata del suo terrore. Allorché, facendosi il segno della croce, pose nuovamente la stessa domanda: “Da quale luogo stavate facendo ritorno, figliolo?” Annaspando per riprendere fiato, il giovane atterrito risposte: “Moningwunakauning, dove si posa il piccolo uccello dorato. Là dove Egli, tutt’ora, risiede…” Nel tentativo di decifrare lo strano termine in lingua algonchina, il chierico francese evocò nella mente una mappa memonica delle molteplici isole lacustri che i suoi compatrioti, anni prima avevano battezzato con nomi di varie derivazioni bibliche ed europee. Quindi azzardò un’ipotesi: “Voi state parlando… Dell’isola Madeline, giusto?” Il giovane, sbarrando ancora di più gli occhi, annuì. “La casa del grande manidoog, ahem, lo Spirito protettore delle acque profonde. Che ha difeso e protetto le acque di questo lago dagli… Stranieri.” Qui l’interlocutore congiunse le mani, al fine di enfatizzare di stare riferendo l’opinione di altri. “Ma la cupidigia è peccato, giusto? L’avevo detto a Chayton e gli altri di non andare in cerca del vecchio rame per costruire i tegami. Ma loro non mi hanno ascoltato, Padre, lo giuro!” Lentamente e laboriosamente, Dablon estrasse il significato fondamentale del racconto, che avrebbe in seguito annotato nei suoi diari del 1669-70. Un gruppo di diverse canoe locali aveva intrapreso la traversata con l’idea di raccogliere minerali preziosi presenti all’interno di una vecchia miniera. Impresa per cui i nativi, trascorsa una mezza giornata impugnando vanghe e picconi, erano risaliti a bordo apparentemente soddisfatti per intraprendere il viaggio di ritorno. Ma nel corso della traversata, qualcosa aveva attaccato la piccola spedizione facendola ribaltare ed a quanto pare, costando la vita alla maggior parte dei suoi compagni. Che tipo di essere, esattamente?
“Aveva occhi di brace, alla stessa maniera del Demonio del vostro sacro Libro. Ma quattro zampe simili a quelle di un puma. E una lunga coda uncinata, splendente come se fosse fatta… Di rame. La testa ricoperta di scaglie e una schiena pelosa, protetta da una schiera di fitti aculei…” Qui il gesuita aggrottò la fronte, perché aveva ormai compreso che il mostro non apparteneva ad alcuna categoria di animali precedentemente nota. Per questo alzò la mano, con fare clericalmente pacato. “Ed avete detto che questa creatura poteva parlare?” Ricadendo momentaneamente nell’uso della propria incomprensibile lingua, il Chippewa mimò una frase in particolare, cambiando voce ed agitando le mani alla maniera di affilati artigli: “Figli dell’uomo, avete rubato i giocattoli della mia prole. Follia ricada su di voi e possiate annegare nelle acque di questo lago. Così vi maledice… Mishipeshu, causa di ogni disastro acquatico e marino!”
criptidi
Centodieci punte di coltello nella bocca del più longevo assassino del Burundi
Variegate sono le leggende che si affollano nella coscienza collettiva dei contesti urbani, in un labirinto di mistiche apparizioni, oggetti fuori dal comune, voci provenienti dal sottile velo che divide il regno del tangibile dall’illusione. Ma basta trasferire la tua lente scrutatrice in un ambiente dove la semplice sopravvivenza è meno garantita, per trovare un filo conduttore ininterrotto che si estende dai primordi della civilizzazione fino alle disquisizioni di taverne o centri del villaggio dei giorni odierni: l’idea che la natura è Pericolosa e le creature che in essa sussistono, possono sostituire a pieno titolo i recessi dei tuoi incubi più orribili ed al tempo stesso terrificanti. Come l’esperienza tanto spesso vissuta, stando ai resoconti registrati ed alcune comprovate prove documentali, dal tipico pescatore del bacino idrografico circostante il lago più lungo al mondo. Che avvicinandosi in maniera cadenzata a quello che sembrava essere da ogni punto di vista rilevante un isolotto formato da terra e fango, ha rilevato prima l’evidente progressione di una serie di scaglie ripetute sopra il “dorso” del compatto rilievo. Quindi, ha visto poderose fauci spalancarsi all’improvviso su di un lato, sufficientemente ampie da riuscire a trangugiare la sua testa, spalle e pure il remo usato come ultimo strumento di protezione. Ed è allora che ha iniziato a correre. O perire.
Quanto è grande, esattamente, il più significativo dei coccodrilli nilotici, che in media viene giudicato il secondo rettile più imponente al mondo? Accantonando a questo punto la risposta che potreste aspettarvi, sulla falsariga di “Lo zoo di [X] ne ha tenuto un esemplare in grado di raggiungere [X] Kg nel corso della sua lunga vita” possiamo ritornare tra le opache acque del fiume Ruzizi nel piccolo paese africano del Burundi, rinomato tra le altre cose come la dimora della singola cosa più vicina a Godzilla mai vissuta in epoca contemporanea agli umani, fatta eccezione possibilmente per esemplari ignoti appartenenti alla distante schiatta del coccodrillo marino australiano. Un mostro in grado di raggiungere o persino superare i 6 metri di lunghezza. Ed i 900 Kg di peso. E sia chiaro, nel contempo, che quelle citate non costituiscono neppure le cifre più notevoli connesse alla complessa vicenda della sua vita. Essendo il caso di Gustave (questo il nome) direttamente collegato al potenziale verificarsi di una quantità variabile tra le 60 e le 300 morti umane. Dovute al rapido e purtroppo inevitabile incontro con la colossale, impressionante capace di scattare in avanti, con velocità paragonabile a una trappola di tipo assolutamente letale…
L’insetto drago che riemerge dalla fiamma primordiale dell’esistenza
Prima dell’introduzione del metodo scientifico, in assenza di strumenti tangibili e mentali per classificare il mondo, il principale metodo per farlo proveniva dalla disciplina trasversale della filosofia. Speculazioni elaborate da persone molto intelligenti, che operavano mediante i metodi spesso in conflitto della logica e il sentito dire. Uno degli argomenti entro i quali, tuttavia, i due pilastri di questa tipologia di conoscenza si trovavano a convergere poteva essere individuato nel rapporto sempre tormentato tra uomo e natura. E la maniera in cui taluni esseri viventi, soprattutto quando appartenenti a magnitudini di scala sensibilmente inferiori alla nostra, tendevano a fare la loro comparsa nelle circostanze e nei momenti più inaspettati. Lascia della melassa a terra, dicevano i presocratici, ed ivi nasceranno in modo totalmente spontaneo delle formiche. Sacrifica dei tori e dalle loro carcasse nasceranno le api. Ma fu Aristotele in particolare, nella sua Τῶν περὶ τὰ ζῷα ἱστοριῶν (Storia degli animali) del IV sec. a. C. a descrivere per primo la presenza della vita là dove chiunque, fino a quel momento, aveva creduto che ogni cosa mobile fosse consumata e incenerita in pochissime frazioni di secondo. Fuoco, fiamme, distruzione, annientamento: dove, se non lì? All’interno delle forge rinomate dell’isola mediterranea di Cipro, ove colossali quantità di rame venivano sottoposte a liquefazione, prima della mescita nei recipienti ove lo stagno l’aspettava per poter formare l’essenziale lega eponima dell’Età del Bronzo. E gli addetti ai lavori, ma anche i viaggiatori e semplici conoscitori dell’ambiente locale, raccontavano con enfasi dell’ennesimo ritorno fastidioso ma del tutto inevitabile di sciami del pirausta (πυραύστης) una presenza svolazzante, delle dimensioni approssimative di un moscone, che all’accensione delle fiamme vive sopra un certo grado di temperatura compariva per ronzare attorno agli utilizzatori di questi ultimi. E quando, al termine della giornata, di tutto ciò restavano soltanto dei carboni ardenti, ad essi faceva ritorno e periva silenziosamente, prima del tramonto. Ancora una volta, dunque, un insetto ma dotato di caratteristiche del tutto mitologiche che parevano accomunarlo alla salamandra. Usato estensivamente in drammaturgia e retorica nel corso dei secoli, talvolta come sinonimo della falena che arde nel tentativo vano di trascendere la sua mortalità, l’animale misterioso viene nuovamente discusso da figure latine del calibro di Seneca, Plinio il vecchio ed Eliano di Preneste, uno studioso del sofista Pausania. Che nel suo trattato De animalium natura, del II sec. d.C. discute con approccio metodico dei diversi contesti da cui giungono a palesarsi gli esseri viventi: le montagne, il mare, l’aria stessa. Ed infine il fuoco, mediante un tipo di processo in merito a cui lui era pronto ad ammettere la propria ignoranza. Altri studiosi, nel corso della storia medievale e moderna, non avrebbero scelto lo stesso sentiero…
Di mostri preistorici che insistentemente ruggiscono nei remoti fiumi australiani
“I grandi imperi durano raramente più di 250 anni” è un detto storiografico, empiricamente verificabile, che trova riscontro nella vicenda pregressa di una grande maggioranza dei paesi di questo mondo. Ed è in effetti risaputo che prima del sopraggiungere di una quarta o quinta generazione di regnanti, nazioni che hanno espanso oltre i confini il proprio territorio tendono generalmente a vacillare, per il palesarsi di problemi economici, conflitti interni, guerra coi propri vicini. Aprendo in questo modo l’uscio all’annichilimento dei propri sistemi di valori, filosofici e credenze ereditate dalle istituzioni continuative nel tempo. Ma quanto possono davvero risalire, simili tesori, addietro nel pregresso di una singola ed ininterrotta civilizzazione? Dipende. Nella caverna di Challicum vicino alla città di Ararat nella parte occidentale dello stato australiano di Victoria, campeggia il dipinto realizzato da mani umane di una singolare creatura. La cui storia viene ancora ripetuta quasi quotidianamente a molti bambini aborigeni, così come avveniva all’epoca in cui pigmenti naturali vennero impiegati per ritrarla sulla nuda roccia da un artista ignoto. Nato, vissuto, e ritornato alle iperboree regioni del Sogno, approssimativamente 60 millenni prima della data odierna. Comprendete la scala cronologica di cui stiamo parlando? Gli eventi narrati nell’Esodo del Vecchio Testamento sono stati datati al 1447 a.C. La costruzione del tempio di Re Salomone, al 968 a.C. Mentre nel momento in cui le genti di Wimmera impugnavano per la prima volta pezzi di carbone e studiavano le proporzioni degli animali, esseri del Pleistocene ancora camminavano sulla Terra.
Quando i primi paleontologi occidentali giunsero nelle colonie nel corso di tutto il XVIII secolo, le ossa ritrovate degli antichi carnivori risalenti a tale epoca furono mostrate ai nativi di diverse comunità tribali dislocate sul territorio. Ed ogni volta, non mancava un saggio che puntando il dito pronunciava l’ancestrale parola originaria della lingua dei Wemba-Wemba: Bunyip. Mostro, nume tutelare, vendicatore, occulta ed ostile presenza fluviale. Un criptide nella misura in cui gli europei a loro volta si fecero suggestionare finendo per avvistarlo più volte, nel corso dei lunghi anni a venire e fino all’insorgere dell’Era contemporanea. Ma accomunare tale essere a creazioni immaginifiche come il plesiosauro di Lochness o l’ominide del Minnesota sarebbe come limitare la nostra percezione del Demonio cristiano unicamente alle vicende folkloristiche sull’incontro di un gallo nero al crocevia di un villaggio medievale. Laddove tale bestia, menzionata nel corpus mitologico d’innumerevoli tribù del continente, appartiene all’antichissimo e complesso sistema di credenze noto come Età del Sogno. Un tempo collegato alla creazione dell’umanità ma privo di una data temporale esatta. E proprio per questo visitabile dagli sciamani, lontano dalle ore limitanti della veglia o tramite l’uso di sostanze stimolati adeguate. Ritornando tanto spesso con l’ammonimento, da rivolgere soprattutto a donne e bambini del villaggio: “State sempre attenti, quando vi recate per pescare al fiume/lago/torrente/billabong dei nostri antenati…”



