Occhi rossi da orsacchiotto, code che saettano tra gli eucalipti. La solenne precarietà di un gremlin che sa volare

Vagando silenziosamente nelle lunghe notti australiane, uomini e donne del Servizio Forestale puntano tra i rami torce dalla luminosità sproporzionata. Fari nella tenebra, potenti come armi, che arrecano disturbo al popolo delle creature con un’unica finalità gentile. Giacché in questa dimensione, la conoscenza può costituire una risorsa, utile a influenzare le spregiudicate scelte della collettività ignorante. E per ciascun paio di minuti spilli incandescenti, timide presenze sovrastanti, un albero può essere salvato. E nel raggio di una quindicina di metri, un’altra mezza dozzina o più dei necessari condomini vegetali. Per il bene di coloro che risiedono all’interno… Esperti di petauri che leggete queste righe, avidi conoscitori del più celebre “topo volante” nel secondo continente più meridionale al mondo, certamente avrete visto assieme a quel minuscolo e striato marsupiale, l’opossum, il bassarisco, il pademelon e il wombat. Ma potreste non conoscere… Costui. Cugino dalle dimensioni massime pari a un gatto domestico, tanto da essere chiamato Greater Glider (Planatore Maggiore) o membro del genere Petauroides proprio perché simile in modo superficiale al volante falangeride, sebbene strettamente imparentato ad un diverso tipo di abitanti. Gli Emibelideini, una sottofamiglia degli Pseudocheiridi, esseri notturni con artigli opponibili dalla coda lunga ma non prensile, il cui volto stranamente espressivo viene talvolta paragonato a quello dei Lemuri africani. Originali persino tra questi, gli odierni protagonisti possono del resto trarre beneficio dal possesso di un patagium, o superficie membranosa che si estende dalle zampe posteriori ai gomiti di quelle anteriori, permettendogli quando lo vogliono di fare un passo verso il vuoto dalla piattaforma dei più alti rami. Per volare agevolmente lungo dei tragitti sostanziali, in grado di raggiungere anche i 100 metri di distanza in condizioni ottimali. Potendo compiere complesse traiettorie o addirittura disegnare angoli a 90 gradi ricercando un punto d’atterraggio sicuro. Utile approccio per cercare di salvarsi quando minacciato da eventuali predatori, tra cui spiccano la civetta reale ed il barbagianni fuligginoso, soprattutto dato il contegno normalmente lento e poco agile di questo pacifico guardiano della canopia. Il cui pericolo vigente di maggior portata, allo stato attuale delle circostanze, resta molto prevedibilmente la riduzione dell’habitat dovuta allo sfruttamento non sostenibile dei territori dell’Australia Orientale. Situazione che, del resto, condivide con molti dei suoi cugini e coabitanti degli ombrosi distretti battuti dai venti della vastità oceanica che lo divide dagli animali del Vecchio e Nuovo Mondo…

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Verdi sguardi per draconiche famiglie intente a sorvegliare le alte chiome di Guadalcanal

Non è tipico in un appartenente alla classe dei rettili la presenza di una serie di caratteristiche somatiche, una linea della bocca ed un contegno oculare, tale da sembrare il possessore di una vera e propria espressione. Curiosa, concentrata, non del tutto priva di una certa intensità inerente. Al punto che scrutando dal basso in alto uno di questi membri dell’antica società dinosauresca, parrebbe quasi impossibile trovarsi a immaginare in esso un senso lato di empatia o persino il timido barlume di un’emozione. Eppure ciò potrebbe essersi verificato, già ben prima della loro classificazione scientifica avvenuta solamente nel XIX secolo, per questi membri del bioma situato sul confine più remoto della pianeta emerso. Frammentato e discontinuo, a suo modo, data la corrispondenza coi ritagli d’arcipelago facenti parte del famigerato nascondiglio, a dire di uno dei suoi primi esploratori, del leggendario oro dell’antico Re Salomone. Ipotesi remota nel 1568, così come il tentativo quasi tre secoli dopo da parte del naturalista John Edward Gray di proporre come nome per l’animale largamente noto ai nativi, in quanto presenza silenziosa o piatto beneamato dell’ora di cena, il binomio latino Corucia zebrata, o “brillante” analogo con strisce in alternanza del più rappresentativo equino africano. Associazione non così palese per tali lucertole, anche per la poca visibilità di suddetta livrea, a cui gli anglofoni si sarebbero trovati a preferire la definizione di scinco dalla coda di scimmia, data la natura prensile e notevolmente muscolosa del quinto arto posseduto dalla strana creatura. Rappresentante di maggiori dimensioni esistente, per l’appunto, della vasta a diversificata famiglia degli Scincidae, lucertole con zampe corte e scaglie sovrapposte simili ad un’armatura medievale. Notevole coi suoi 81 cm di lunghezza inclusa la coda, paragonabili ad una piccola iguana, con cui condivide lo stile di vita erbivoro ed alcune delle abitudini quotidiane. Fatta eccezione per quella, straordinariamente atipica, di formare gruppi di famiglie estese scientificamente identificate come cerchie o circuli formati da membri di ambo i sessi che convivono condividendo il territorio, ma soprattutto proteggendosi a vicenda e salvaguardando i piccoli dall’eventuale minaccia dei predatori. E guai anche ai membri della loro stessa specie, appartenenti ad unità diverse, che dovessero trovarsi sconfinare nel reame di uno di questi affiatati clan. Dimostrando un’indole feroce che in linea di principio, non saresti incline ad aspettarti da presenze tanto placide e predisposte come ogni lucertola alla conservazione residuale delle energie…

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Gli eterei e zannuti guardiani dei branchi, che nascono grigi, poi diventano bianchi

“Te l’avevo detto che avremmo dovuto prendere la Toyota bianca!” Il veicolo dal moto ondulatorio, una vecchia Land Rover rossa che sembrava oggettivamente aver visto tempi migliori, arrancava faticosamente lungo il sentiero fangoso, la cosa più prossima a una strada presente all’interno del vasto parco naturale di Etosha, nella parte nord-occidentale della Namibia. La coppia di turisti, terminata la fase tranquilla della visita lungamente pianificata, aveva commesso l’errore di attardarsi nella parte conclusiva del pomeriggio, per assistere al popolare spettacolo delle sagome di giraffe (nessun baobab, ahimé!) che si stagliano contro il sole in prossimità dell’ora del tramonto. Ed ora nelle tenebre incipienti, guidati innanzi dall’unica luce dei fari polverosi, stavano iniziando a preoccuparsi. “Ricordi che ci ha detto la guida? Il parco è aperto soltanto nelle ore diurne. Siamo tecnicamente… Fuorilegge.” Distogliendo momentaneamente la sguardo dalla striscia sottile che tanto dolorosamente stavano percorrendo, lui stava per rispondere alla moglie. Ponderando l’espressione di quest’ultima, pensò all’ultimo momento di tacere, concentrandosi piuttosto sulla guida. Ora dopo una rapida curva a sinistra, il rettilineo si estendeva all’infinto, permettendo di spingere un po’ più a fondo il pedale dell’acceleratore. Dopo l’ennesimo dosso, gli sembrò però di scorgere qualcosa all’orizzonte. “Lo vedi anche tu? Se non fosse impossibile, direi quasi…” La pallida presenza, accogliendo in se la tenue luce lunare, appariva come una sorta di statua catarifrangente. Quattro zampe vaste come colonne ed un corpo massiccio dell’altezza di circa 3 metri e 50. Due bandiere ai margini del suo profilo, che parevano agitarsi nel vento. E soprattutto quella mano senza dita e intenta a protendersi, protendersi in maniera stranamente ipnotica, un fascio di muscoli simile un serpente. Due cose avvennero allo stesso momento. “Fre…Frenaa!” Gridò lei. Mentre il bagliore dei fari, rimbalzando sulla pallida creatura, fece comparire all’improvviso una dozzina di forme simili. Era la morte pallida in vacanza, trasfigurata nella forma di pacifici giganti. Era un gruppo di zannuti egualmente ritardatari, di ritorno presso i luoghi della propria notte onirica del tutto avulsa dalle residenze avìte.
Unico è il colore che in un libro per bambini viene, tanto spesso, utilizzato al fine di evocare le caratteristiche delle creature vagamente familiari. Giallo come la giraffa. Nero come il bufalo. Oh, maculato leopardo! E tutto grigio alla maniera del più tipico… Padrone di proboscide dominante. Se è così, d’altronde, perché in Africa ci sono membri di questa grande famiglia, che appaiono rossicci, arancioni, color ocra o addirittura nei casi più notevoli, bianchi come l’osso delle matriarche nelle fosse dove i membri anziani vanno a salutare i loro insigni predecessori? La risposta è contenuta chiaramente nell’intrinseca natura della terra stessa. Non intesa come pianeta, stavolta, bensì l’accumulo di strati e sedimenti che costoro impiegano, come il più semplice vestito contro il rischio dell’arsura e i parassiti che all’interno di essa, moltiplicano le proprie schiere fino a permeare l’aria dei paesi a ridosso dell’Equatore…

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Il gruppo dei topossum si arricchisce di una nuova specie, fantasma equilibrista dei paesaggi andini

La vita ad alta quota tende a presentare delle regole precise, in merito ad isolamento termico, capacità di migrazioni stagionali, furtività per evitare l’attenzione di volatili e degli altri predatori. È perciò piuttosto sorprendente che nel corso di una spedizione verificatasi esattamente sette anni fa, la ricercatrice del Cal Poly di San Louis Obispo, Silvia Pavan e i suoi colleghi siano riusciti a catturare una creatura simile ad un’altitudine di 2663 metri, dove l’aria inizia ad essere rarefatta e le risorse ecologiche a disposizione presentano una distribuzione estremamente precisa. Lassù tra le montagne del Parque Nacional del Río Abiseo, Peru dove un certo tipo di vegetazione cresce rigogliosa, con l’occorrenza globalmente rara di foreste nebulose in grado di captare l’aria proveniente dall’Oceano Pacifico, rilasciando lentamente rivoli che riforniscono il flusso idrico dei fiumi sottostanti. E sopra questi rami, adesso lo sappiamo, si aggirano dei piccoli animali onnivori che sembrano dei topi, ma non lo sono. Che appartengono all’infraclasse dei marsupiali, ma non posseggono alcun tipo di tasca per contenere i propri nuovi nati. Il che costituisce, inerentemente, un indizio in merito al grado prossimo di parentela, con una creatura decisamente più comune nell’immaginario collettivo, il bizzarro eppure familiare opossum statunitense della Virginia. Di un didelfide si tratta, effettivamente, ed in particolare di una versione sensibilmente più piccola di tale gruppo di animali, con l’olotipo della nuova specie misurante appena una lunghezza di 10,7 centimetri esclusa la coda di altri 16, ed un peso complessivo di 21 grammi. Esponente dell’ampiamente noto genere dei Marmosa, diffuso dall’America Centrale fino a Perù, Brasile e Bolivia, con numerose specie distinte dalla notevole capacità di adattamento ma più limitata inclinazione alla conquista di territori. Ancorché gli opossum, di regola, siano poco inclini all’attraversamento dell’equatore, non sarebbe poi così difficile immaginare un adattamento perfettamente riuscito di simili creature al territorio messicano o ancora più a nord. Ma per meglio definire ciò che rende unico l’oggetto dello studio pubblicato dalla Dott.sa Pavan, successivamente ad un lungo periodo di comparazione genetica e morfologica durato fino a giugno di quest’anno, sarà opportuno a questo punto presentare le caratteristiche inerenti di questa interessante genìa arboricola di terre lontane…

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