“VERDE, una lucertola VERDE? Quattro zampe, una testa, una o zero code, a seconda che abbia incontrato o meno un predatore. Ma se tutto volge al meglio, ricrescerà…” Nel piccolo parco giochi nella periferia di Tijuana, il bambino era accovacciato in terra, a lato della panchina, mentre con una lente d’ingrandimento scrutava attento tra l’erba: “Nonno, no. Nonno, non. Hai. Capito. Una lucertola che STRISCIA.” L’anziano gentiluomo col cappello e il gran paio di baffi balzò agilmente in piedi: “Una BISCIA? DOVE?” Lui, che aveva insegnato biologia all’università per oltre 30 anni e ben sapeva che in quell’assolata penisola vivevano oltre 100 specie di serpenti velenosi. “Ascolta figliolo. Se c’è un serpente, sarà meglio spostarci un po’ più in là. Non è facile identificare i rettili, lo sai!” Un fruscìo tra l’erba, in quel momento, sottolineò la sua affermazione, mentre un cardinale rosso, uccello passerino dalla riconoscibile cresta aerodinamica, si posava delicatamente tra l’erba. Strano, pensò in quel momento il vecchio professore. Perché mai l’uccello non scappa dal serpente? Possibile che… “E poi, non è nemmeno verde, te l’ho detto. È una piccola cosina rosa, tutta fatta ad anelli…” Non fece in tempo a finire la frase, che la nebulosa descrizione parve improvvisamente prendere vita. Dall’erba rada spuntò fuori una saettante forma lunga all’incirca 25 cm, sottile come una cannuccia. Eppure, nonostante la forma, essa non pareva affatto muoversi sinuosamente. Bensì correva dritta dritta verso l’obiettivo, come un minuscolo emulo di Speey Gonzales. Al secondo sguardo, la ragione apparve più che mai chiara: l’essere si stava aiutando con le zampe davanti. “Oooh, lo sai cos’è quella? Una biporus, oppure una canaliculutus. O ancora, uno splendido esemplare di triductylus. Sbrigati, conta le dita!” Tempo che il nipote dell’uomo puntasse di nuovo la sua lente verso la creaturina, questa aveva già raggiunto l’area sabbiosa vicino allo scivolo e le altalene. Con un piccolo sbuffo di polvere, quindi, la sua testa era sparita. Il passero dal piumaggio vivace lanciò un pigolìo irato, quindi si alzò rapidamente in volo. Effettuando una vertiginosa picchiata, più simile alla parte finale di un balzo, serrò il suo becco dove, fino a pochi istanti prima, si trovava la coda del misterioso animale. Ma tutto quello che riuscì a prendere fu l’aria. Della strana lucertola non rimaneva che il ricordo.
Scaglie, ne abbiamo. Un lungo corpo dalle proporzioni serpentiformi. E una testa dal muso arrotondato, quasi perfettamente simile alla coda. Tanto che gli antichi erano soliti chiamare i suoi simili mediterranei Amphisbaenia dal nome di una creatura mitologica che si diceva fosse nata spontaneamente a partire dal sangue di Medusa, mentre la sua testa mozzata veniva trasportata dall’eroe Perseo sul cavallo alato, volando sopra il deserto della Libia. Era questo il principio della generazione spontanea, in cui numerosi filosofi dell’epoca greca e romana credevano fermamente: fai cadere del miele a terra, presto lo troverai coperto di formiche. Da dove vengono gli insetti? Nessuna parte. Essi sono stati generati dall’aria stessa. E l’Amphisbaenia veniva chiamata, infatti, re delle formiche (di cui si nutriva) benché potesse assumere, a seconda del leggendario preso in considerazione, proporzioni tali da minacciare un’intera comunità umana. Nelle avventure del Witcher Geralt, cacciatore di demoni protagonista di una serie di romanzi e videogame, uno di questi esseri viene menzionato dal protagonista, come un pericoloso demone eliminato con successo nel corso dei suoi viaggi precedenti alla narrazione. E questa potrebbe essere considerata, vista provenienza del personaggio, come un’interpretazione di matrice slava, geograficamente ben lontana dalla penisola iberica dell’effettivo habitat di queste insolite creature. Mentre nel Messico all’altro capo del vasto Oceano, assai probabilmente le popolazioni precolombiane ne avrebbero dato un’interpretazione ben diversa della strisciante presenza dei prati. Questo perché l’aspetto stesso della loro versione dell’animale risultava essere radicalmente differente, guarda caso, per presenza di un bel paio di zampe. E chi avrebbe mai potuto negare che queste fossero, in qualche maniera più che mai inaspettata, sufficienti a dargli un’aria carina? Le lucertole verme, qualche volta chiamate anche lucertole talpa, sono in effetti delle forti scavatrici, che usano i loro forti artigli per ricavare nel terreno profondi tunnel verticali. Quindi, silenziosamente, spariscono all’ombra della terra, molto al di fuori della portata dei predatori. Esse non sono, però, pacifiche: in questo le interpretazioni classiche potrebbero definirsi corrette. Formiche, uova di formiche, scarafaggi, termiti e larve di vario tipo… Qualsiasi cosa dovesse malauguratamente pararsi di fronte alle graziose fauci dell’insolito camminatore, ed a quegli occhietti a malapena in grado di distinguere il movimento, sarebbe stata diabolicamente fagocitata. Questa è la forza, del resto, degli animali fossòri che trascorrono la propria vita nel sottosuolo: trarre il massimo da una limitata varietà di fonti di cibo. Ma una domanda, inevitabilmente, resta preponderante. Che fine hanno fatto le sue zampe di dietro?
predatori
La serena esistenza della lucertola cane
Che cosa definisce il perfetto animale domestico? Secondo alcuni, il carattere. Dovrebbe trattarsi di una creatura amichevole, espansiva, capace d’interfacciarsi benevolmente con gli umani. Sotto questo punto di vista, una normale lucertola tegu (Tupinambis) avrebbe qualche problema a superare l’esame. Per quanto generalmente più intelligenti di un’iguana o una barbuta, questi scagliosi quadrupedi provenienti dall’Argentina rimangono pur sempre dei rettili, poco propensi a comprendere i gesti, riconoscere i volti, distinguere tra il cibo e il padrone (con conseguenze niente affatto trascurabili, vista la dentatura). A meno che… Ascolta: c’è sempre da fare una scelta. Il cane è perfetto, ma richiede compagnia e dedizione. Il gatto è indipendente, ma ti lascerebbe bruciare dentro una casa in fiamme. E c’è una cosa, soprattutto, che i padroni Ice, studentessa e Scott, programmatore, hanno sempre apprezzato nel loro beniamino, una T. rufescens di nome MacGyver, come il celebre eroe della Tv: le dimensioni. Con i suoi 8 Kg di peso per un metro virgola tre di lunghezza, nessuno potrebbe mettere in dubbio che sia: “Abbastanza piccola da prendere in braccio, abbastanza grande da abbracciare.” E sarebbe parecchio difficile, d’altra parte, resistere a quel dolce musetto dalle ampie guance, così deliziosamente simili a quelle di un grosso criceto… Delizioso criceto, hmmm (non lasciate girare il criceto in casa nell’ora del lizard-show). Ma la storia di questo piccolo drago rossastro adottato in Florida risulta essere piuttosto interessante sotto diversi altri punti di vista, a partire dal suo acquisto all’età di sole tre settimane nel 2012, quando ancora era abbastanza piccola da entrare nel palmo di una mano. Ice racconta nella sua intervista alla rivista Broadly di come il fidanzato avesse voluto, in origine, una lucertola in grado di diventare ancora più grande, ma i due si siano in fine accordati per la tegu proprio perché altrimenti, lei non sarebbe mai riuscita a sollevarla in caso di necessità. Quindi, vista la loro appartenenza all’odierna generazione tecnologica, fecero la cosa che ormai tutti tendono a fare, quando si acquista uno strano animale: riprenderlo quotidianamente, pubblicando le immagini su YouTube. La finalità originale, piuttosto pratica e sensata: confrontare la crescita e quindi il benessere di MacGyver rispetto a quelle dei suoi consimili adottati nelle case del resto del mondo. Ben presto, tuttavia, iniziò a succedere qualcosa d’inaspettato: migliaia di commenti, provenienti dagli angoli più diversi del web, dimostravano senz’ombra di dubbio che il loro cucciolo era diventato virale. Alcuni video superarono il milione di visualizzazioni. A quel punto, che fare? Se non fornire il tegu di pagina Facebook, profilo Instagram… Era nata una nuova celebrità.
Ovviamente, tutto questo successo era più che mai motivato. In primo luogo per l’educazione che i due sono riusciti a dare al loro lucertolone, letteralmente priva di precedenti nell’intera storia documentata dell’erpetofilia. Non solo essa, infatti, si lascia coccolare come un cane o un gatto, ma risponde al suo nome scrutando direttamente negli occhi i padroni, riuscendo a comprendere talvolta quello che vogliono da lui. In un video Scott gli porge del salmone direttamente dalla mano, quindi, una volta finito il cibo, mette le sue dita intrise del forte olezzo direttamente di fronte al muso dell’animale, mostrando come questi si astenga dal prestare la benché minima attenzione. Nella chiara realizzazione di uno dei più ripetuti stereotipi dell’addomesticazione, lo scaglioso non morderebbe mai la mano che lo nutre. Si tratta di un risultato paragonabile a quello del domatore che mette la testa nella bocca del leone, e per essere chiari, altrettanto distante dai naturali istinti dell’animale. La ragione di questo successo è altamente specifica, nonché derivante dalla quantità di tempo che i padroni sono riusciti a trascorrere col loro MacGyver, dalla nascita fino al raggiungimento di un simile stato di grazia umano-animale. Importante notare è che Scott, in uno dei suoi exploit più famosi, spiega chiaramente come l’acquisto di un tegu non sia per lui consigliabile a un “amante dei rettili” quanto piuttosto a “chi cerca un amico” per il semplice fatto che la quantità di attenzioni, il tempo e l’affetto necessario per costruire un rapporto con simili mostriciattoli non ne lascerebbe abbastanza da dedicare alle proprie altre lucertole o serpenti. L’ospite proveniente dal Sud America crescerebbe dunque semi-selvatico e scontroso, finendo per diventare soprattutto un problema. Ma questa non è l’unica ragione per cui l’acquisto di un simile pet sia poco adatto alla maggior parte delle famiglie…
Il morso del topo che avvelena i serpenti
Gli strani casi della vita hanno la tendenza a verificarsi nei momenti e modi più inaspettati, modificando le aspettative e gli esiti di un intero semestre. Così accadde, nell’ottobre del 2016, che nel principale liceo del distretto scolastico di Fort Cherry, nello stato della Pennsylvania, gli studenti e i professori iniziarono a lamentare uno strano odore. Riconoscendolo subito come quello di una muffa o infiltrazione d’acqua, la sovrintendente locale ordinò la chiusura temporanea dell’istituto, per procedere a una perizia che aprisse la strada a seri interventi di manutenzione. Ma l’azienda specializzata, contattata in quell’occasione, non rilevò alcun reale segno del problema. Passando quindi alla seconda causa più probabile, fu chiamato uno sterminatore, che disseminò l’edificio di trappole per roditori. Trascorsi diversi giorni, tuttavia, fu necessario venire a patti con la realtà: nemmeno un infiltrato abusivo era stato preso. A quel punto le aule furono svuotate. Gli scaffali della biblioteca spostati da una parte. Furono esplorati armadi, cantine, condotti di scarico e d’areazione. Finché ad un certo punto, illuminando con la torcia un pertugio particolarmente remoto, non venne scoperta l’effettiva fonte dell’indesiderato aroma: la saliva presente in un nido creato tra la polvere e le sterpaglie. L’inconfondibile casa dell’unico mammifero velenoso del Nord America.
Come un Alien nella nave spaziale, vorace e aggressivo, ma piccolissimo (14 cm max) e molto, molto più prolifico della più temibile creatura della fantascienza cinematografica. Che sembra a tutti gli effetti un topo, benché appartenga piuttosto alla classificazione degli Insectivora e non presenti, in funzione di questo, i caratteristici denti incisivi fatti per sminuzzare. Sostituiti da 32 minuscole zanne quasi perfettamente identiche, ideali per ghermire le prede ed intrise di una tossina, la kallikreina, in quantità sufficiente per uccidere un gatto o un cane. Il toporagno settentrionale dalla coda corta (Blarina brevicauda) è una vera e propria curiosità biologica, poiché si tratta dell’unico appartenente alla sua famiglia che sembra in grado di rendere giustizia alla prima parte del nome italiano, risultando effettivamente in grado di paralizzare e ghermire prede molto più grandi di lui. Nonostante l’aspetto inoffensivo e grazioso, si tratta di un ferocissimo predatore, che pur preferendo inerentemente gli insetti, non disdegna di catturare vermi, talpe, salamandre e topi. Può inoltre stordire con il suo morso le lumache, che quindi intrappola a tempo indeterminato nella sua tana, in qualità di spuntino da consumare nei periodi di magra. Il Brevicauda, nel frattempo, soprattutto in funzione della sua dimensione particolarmente ridotta, costituisce a sua volta una preda d’innumerevoli altre creature, quali canidi, mustelidi, uccelli rapaci, corvi… E ovviamente, serpenti. Per i quali tuttavia, come testimoniato dal breve segmento di documentario riportato qui sopra, non va sempre bene. Saremmo portati a pensare, effettivamente, che il rettile oblungo possieda l’assoluta posizione di predomino nel confronto con una creatura apparentemente inerme come un minuscolo toporagno. Ma la realtà è che il sussurratore del frutto dell’Eden, pur potendo contare sull’attacco fulmineo ed il morso immediatamente letale, qualora dovesse mancare tale assalto, sarà letteralmente inerme contro la furia del suo nemico. Un serpente non è per niente agile ed inoltre, non può strisciare all’indietro. Tutto quello che deve fare Mr. Shrew, dunque, è girargli attorno e mordergli la coda, lasciando che la sua saliva penetri nella ferita. A quel punto, gradualmente, il mostro scaglioso resterà paralizzato. E il toporagno inizierà a mangiarselo vivo.
Per quanto concerne invece la navigazione e ricerca di cibo, un’attività che occupa la maggior parte delle sue ore serali e notturne in funzione del metabolismo iperveloce, Brevicauda sfrutta un altro artificio che lo distingue in maniera significativa dai suoi parenti più prossimi. Si potrebbe effettivamente pensare che esso, in qualità di animale sotterraneo dalla vista molto poco sviluppata, possieda almeno un ottimo olfatto. Mentre in effetti, il suo naso non è particolarmente efficiente. A differenza dell’udito, per non parlare dell’acutezza del suo verso, simile ad un click ripetuto a intervalli regolari. Capite a cosa stiamo arrivando? Questo è un animale che trova la strada grazie allo strumento dell’ecolocazione, in maniera non dissimile dai pipistrelli. Ora iniziate a capire, davvero, la vertiginosa profondità della sua stranezza…
2 cm per 25 metri: l’abitante della ragnatela più grande al mondo
Mostri, dei veri e propri mostri. Si arrampicano sopra le cose, alla ricerca di cibo. Piccoli e operosi, perennemente attivi, gli occhi grandi quanto o addirittura più dello stesso cervello. Le manine simili a quelle di una scimmia, ma ancora più piccole, per afferrare tutto e conseguentemente, mangiare tutto. C’è un vero e proprio gremlin col dito medio particolarmente lungo, per meglio insinuarlo nei buchi degli alberi e ghermire le formiche. C’è n’è un altro che agisce in gruppo, spazzolando totalmente un territorio tra i 10 e 14 ettari comunitari. Agiscono di giorno. In altri casi, si muovono la notte. Pur non essendo delle creature a tutti gli effetti onnivore, vista la loro preferenza endemica per frutti e radici, non c’è un solo lemure in tutto il Madagascar che disdegnerebbe di fagocitare un ragno ogni tanto, possibilmente completo della sua casa e tutto quello che vi si era impigliato. Non c’è troppo da meravigliarsi, quindi, se nel parco naturale di Ranomafana esiste la marcata tendenza evolutiva ad occupare nicchie ambientali del tutto nuove. Anche questo è un aspetto che deriva dalla biodiversità. Parlare del ragno della corteccia di Darwin, oggi, significa inevitabilmente approcciarsi agli svariati studi sull’argomento di Matjaz Gregoric, Matjaz Kuntner e colleghi, biologi di diverse istituzioni universitarie slovene, che nel 2009 hanno descritto scientificamente per primi un qualcosa che in effetti, era sempre stato lì, sospeso sopra i fiumi e i laghetti della quarta isola più grande al mondo. Scegliendo incidentalmente, in occasione del 150° anniversario dalla pubblicazione de L’origine delle specie da parte del naturalista più grande di tutti i tempi, di dare alla nuova creatura il suo nome già noto. Il Caerostris darwini, dunque, è questo ragno della lunghezza di 2 cm per la femmina, appena mezzo per il maschio, appartenente alla famiglia degli Araneidae, ovvero la stessa di tutti gli altri tessitori di tipiche ragnatele dalla forma circolare, detti per l’appunto nei paesi anglosassoni “orb spider” (ragni del cerchio). Che percorrendo gli alterni rami dell’albero della vita, sono giunti in questi luoghi in una profusione di forme e colori straordinariamente vari. Inclusi quelli appartenenti a questo specifico genus, classificati per la prima volta dallo svedese Tamerlan Thorell, nel 1868. Eppure persino tra questi, la nuova aggiunta al catalogo risulta molto sorprendente. Si potrebbe persino affermare che il suo stile e metodo di caccia risulti tra i più efficaci e incredibili al mondo.
Tutto inizia con un’esemplare, generalmente la femmina, che attende pazientemente una giornata di vento a favore. Quindi ella si dispone su un ramo sufficientemente alto e distante dalla chioma centrale, in bilico sopra l’acqua, iniziando a liberare le lunghe fibre della sua personale interpretazione ultra-appiccicosa della seta. È una visione quasi surreale, con le propaggini leggerissime, ma straordinariamente resistenti, che iniziano ad estendersi verso il campo aperto, fluttuando leggere nell’aria. Mentre i fili continuano ad allungarsi, quindi, ella li avvolge con le zampe anteriori, manipolandoli per creare un qualcosa di singolo e quasi permanente, piuttosto che numerose ragnatele incomplete. Trascorso un tempo medio, inevitabilmente, la sua creazione raggiunge l’altra sponda tra i 10 ed i 25 metri di distanza, attaccandosi spontaneamente ad un albero, il più possibile alto quanto il suo. A quel punto, recisa ed assicurata adeguatamente la propria estremità, il ragno inizia la sua lunga camminata. Una delle particolarità del darwini tra tutti gli orb spider è il modo in cui esso integra il suo primo filo ancora al resto della ragnatela, che non lo finirà per averlo in mezzo, ma piuttosto penderà verticalmente al di sotto di essa, prima di essere adeguatamente assicurata con altri fili quasi altrettanto lunghi. Questo ha lo scopo, ritengono Gregoric et al, di incrementare l’area disponibile per la cattura, favorendo l’eventuale banchetto nel caso del passaggio di uno sciamo o altro tipo di nugolo, potenzialmente ronzante. Ma la vera scoperta sarebbe giunta soltanto successivamente quando gli scienziati, per prelevare un campione, toccarono la ragnatela. Soltanto per scoprire che essa in effetti, era talmente solida da poter intrappolare persino un uccello o un piccolo pipistrello. Proprio così: essa era, a parità di spessore, il singolo composto biologico più forte del mondo. Superiore, da determinati punti di vista, persino alle proverbiali doti del kevlar o dell’acciaio…