In un periodo grosso modo centrato sui 70-80 milioni di anni fa, a largo di quella che sarebbe un giorno diventata l’odierna California, la deriva ininterrotta delle placche tettoniche di Kula e Fallon cominciò a spingerle al di sotto della faglia continentale Nord Americana. Il che avrebbe generato terribili sommovimenti sismici, assieme al fenomeno orogenetico di Laramide, una serie di mutamenti paesaggistici, con conseguente sollevamento di svariate catene montuose tra il South Dakota, il Wyoming, il Canada ed il Messico settentrionale. In quello che avrebbe in seguito preso il nome di Colorado, tuttavia, la situazione era “lievemente” diversa: giacché tra l’area sopra menzionata e i massicci dell’Appalachia, all’epoca era presente un vasto specchio d’acqua lineare, la cui estensione verticale presentava collegamenti col Pacifico ad entrambe le remote estremità. Qui sotto, in un fondale sostanzialmente costituito da molti millenni di accumulo sedimentario, il passaggio delle generazioni aveva dato luogo alla creazione di conglomerati di solida arenaria e pietra calcarea, la cui posizione iniziò a mutare in tempi relativamente rapidi. Ora le lastre, disposte orizzontalmente, venivano sollevate, formando pinne o lastre monolitiche simili a barriere sottomarine. Al termine del periodo Cretaceo, con il progredire del mutamento climatico terrestre, il mare di Laramie iniziò quindi a prosciugarsi. Già mentre piccole lagune d’acqua salata rimanevano tra i territori progressivamente inariditi, le originali pietre sommerse venivano esposte al vento e la furia ininterrotta degli elementi. Un poco alla volta, superfici un tempo uniformi assumevano forme surreali e tormentate, letterali sculture surrealiste di una sconosciuta religione della Natura. Per cui fu quasi automatica, e tanto semanticamente corretta, la scelta della scrittrice e poetessa Helen Hunt Jackson, che nel 1893 definì in un articolo del Colorado Transcript quest’area inconfondibile con l’appellativo de il Giardino degli Dei, ovvero in lingua inglese: Garden of the Gods.
Esistono del resto almeno due leggende sull’origine di tale appellativo, usato per sostituire il precedente e anonimo Red Rock Corral, che lo collegano ad altrettante contingenze accidentali. La prima, una conversazione tra una coppia di prospettori minerali, il primo dei quali avrebbe esclamato: “Che posto memorabile! Sarebbe perfetto per venirci a bere birra.” Al che il suo compagno: “Davvero, un luogo adatto perché a farlo siano gli Dei in persona.” Mentre secondo il racconto alternativo, il toponimo sarebbe stato inventato da un altro praticante della stessa professione, che qui aveva incontrato due servitori dei coloni di origini afroamericane, i cui nomi erano Giove e Giunone. Essendo i quali addetti a curare il buono stato di un appezzamento agricolo, al loro incontro col suddetto avrebbe dato origine al soprannome di queste terre…
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Può un doppio stendardo compromettere l’aerodinamica del succiacapre africano?
Sul frinir della sera al compimento di un chiassoso meriggio africano, nel biodiverso Senegal e parte d’Etiopia, l’ideale scrutatore dei cieli può essere abbastanza fortunato da scorgere l’inconfondibile forma tripartita. Come un triangolo perfettamente regolare, flessuoso e mai invariabile, l’ombreggiata comunione di creature volanti; screziate di un marrone a strisce bianche, il becco piccolo, gli occhi tondi e scuri. IL becco, uno soltanto; giacche i corrispondenti vertici di ciascun fluttuante triangolo, uccelliformi meramente nell’aspetto, seguono da presso quello che costituisce alfine il “corpo” principale. Essendo questi ultimi delle corpose piume, e nulla più. Fluttuanti e liberi ornamenti, nulla più. Oh, Caprimulgide di un tipo vessillario, che scientificamente fu chiamato C. longipennis! (con sempiterno e furi luogo ironica reazione degli anglofoni, per l’assonanza del latino al termine evocante l’organo della metà maschile) Quale torturante, accidentato e del tutto imprevedibile tragitto evolutivo, ci ha portato all’esistenza esagerata di un simile “tratto” fenotipico? L’eccezione che conferma alcuna regola, giacché mai figura l’evidente o necessaria esistenza, di un simile bagaglio destinato ad alterare i flussi dell’aria che sovrasta i territori del Mondo. Guardatelo, come si muove, d’altronde: con la doppia piuma alare che figura in dimensioni pari o superiori ai 20 cm del resto dell’uccello, per di più essendo questi orpelli collocati al termine di lunghe aste, proprio come l’ornamento identitario da cui prendono il nome. Ma non c’è nazione cui egli voglia dare una rappresentanza, né particolari ideali politici o ideologici, bensì la singola e immancabile ambizione degli uccelli, far sapere al mondo che lui è qui, esiste e stoicamente riesce a fare quel che deve. Meritando al pari di chiunque altro di poter trovare, un giorno, la sua compagna.
Nonostante il persistente dubbio sulla serie di atipiche situazioni pregresse che hanno portato taluni succiacapre in giro per il mondo ad assumere siffatta configurazione somatica, possiamo facilmente trarre le evidenti conclusioni dal fatto che soltanto i maschi, ed unicamente nella stagione degli amori, sviluppino l’immenso strascico volante capace di renderli dei veri e piccoli pavoni volanti. Si tratta di selezione naturale attraverso l’ammirazione implicita della bellezza; poiché la partner potenziale ben conosce il modo in cui, a chiunque riesca di portare in giro tali ed ingombranti simboli di riconoscimento, non potrà di certo venir meno la forza. Un tratto genetico destinato, in modo imprescindibile, a trasmettersi alla sua prole notturna. Poiché nessuno capisce ed interpreta la genetica in maniera più efficace, di colei o coloro che ne ricevono il funzionamento come parte dell’eredità istintiva di cui sono i leggiadri depositari. Con il treno di eccellenti piume, e tutto il resto…
Un varano va veloce se vuol essere vorace predatore dei deserti australiani
Per la radicata impressione internettiana di essere una terra selvaggia popolata da feroci esseri avversi all’uomo ed alla sua sopravvivenza, il continente d’Oceania è caratterizzato da un ecosistema con precise regole e rapporti di forza, in cui l’introduzione di animali del Nord del mondo ha nel corso degli ultimi due secoli portato a significative alterazioni e problematiche per molte specie rappresentative della biodiversità locale. Questo perché nel distante regno dei marsupiali, dove il principale predatore fu per lungo tempo la minuta “tigre” tasmaniana, esseri come il dingo o il gatto domestico europeo diventarono in poche generazioni i letterali dominatori del territorio, capaci di aggredire e trangugiare senza sforzo pressoché qualsiasi essere endemico, con poche eccezioni. Ecco, dunque, l’eccezione. Un drago… Siete già a conoscenza del modo di porsi, l’aspetto e il tipico comportamento del Varanus giganteus? Una lucertola di un tipo familiare da moltissimi punti di vista, tranne il reticolo variopinto della sua livrea e le dimensioni. Due metri e mezzo di lunghezza, fino a 20 Kg di peso; abbastanza da farne il quarto esponente in ordine di proporzioni della sua categoria nei giorni odierni. Ed un degno rappresentante dello stesso genere dei mostri di Komodo, ovvero un gruppo di creature che da queste parti viene definito per antonomasia, fin dall’epoca delle colonie, goanna (da iguana) mentre la particolare iterazione in questione prende l’appellativo in lingua aborigena di perentie. Laddove al di là del possesso di quattro zampe, una lunga coda e scaglie che ricoprono la sua epidermide, particolarmente difficile risulterebbe trovare un punto di contatto con il pacifico erbivoro arboricolo facente parte del bioma del Nuovo Mondo, a partire dal comportamento. Che lungi dall’essere quello del tipico essere a sangue freddo, incline a interi pomeriggi di riposo sotto il sole diurno, vede il fervente predatore muoversi tra simili pause mentre saetta da una duna all’altra, con la capacità di raggiungere la velocità impressionante di 40 Km/h, di gran lunga sufficiente a farne il rettile più rapido al mondo. Abbastanza da inseguire qualsiasi piccolo mammifero, uccelli distratti o altre vittime d’occasione che dovessero venire identificate dai suoi occhi attenti. Diventando i bersagli elettivi di un morso non soltanto rapido, bensì dotato di notevoli presupposti d’infezione batterica ed anche un blando veleno, nella maniera notata scientificamente per la prima volta nel 2005, in un articolo di ricercatori dell’Università di Melbourne. Non che la vittima media abbia il modo e l’occasione di rammaricarsi per questo, vista l’innata propensione del perentie a scorporarne pressoché immediatamente le singole parti, rapidamente trasformate in validi bocconi energizzanti capaci d’alimentare il suo dispendioso stile di vita. Un approccio essenzialmente inquieto, ma non privo di una cruda efficienza alla sopravvivenza…
L’insetto drago che riemerge dalla fiamma primordiale dell’esistenza
Prima dell’introduzione del metodo scientifico, in assenza di strumenti tangibili e mentali per classificare il mondo, il principale metodo per farlo proveniva dalla disciplina trasversale della filosofia. Speculazioni elaborate da persone molto intelligenti, che operavano mediante i metodi spesso in conflitto della logica e il sentito dire. Uno degli argomenti entro i quali, tuttavia, i due pilastri di questa tipologia di conoscenza si trovavano a convergere poteva essere individuato nel rapporto sempre tormentato tra uomo e natura. E la maniera in cui taluni esseri viventi, soprattutto quando appartenenti a magnitudini di scala sensibilmente inferiori alla nostra, tendevano a fare la loro comparsa nelle circostanze e nei momenti più inaspettati. Lascia della melassa a terra, dicevano i presocratici, ed ivi nasceranno in modo totalmente spontaneo delle formiche. Sacrifica dei tori e dalle loro carcasse nasceranno le api. Ma fu Aristotele in particolare, nella sua Τῶν περὶ τὰ ζῷα ἱστοριῶν (Storia degli animali) del IV sec. a. C. a descrivere per primo la presenza della vita là dove chiunque, fino a quel momento, aveva creduto che ogni cosa mobile fosse consumata e incenerita in pochissime frazioni di secondo. Fuoco, fiamme, distruzione, annientamento: dove, se non lì? All’interno delle forge rinomate dell’isola mediterranea di Cipro, ove colossali quantità di rame venivano sottoposte a liquefazione, prima della mescita nei recipienti ove lo stagno l’aspettava per poter formare l’essenziale lega eponima dell’Età del Bronzo. E gli addetti ai lavori, ma anche i viaggiatori e semplici conoscitori dell’ambiente locale, raccontavano con enfasi dell’ennesimo ritorno fastidioso ma del tutto inevitabile di sciami del pirausta (πυραύστης) una presenza svolazzante, delle dimensioni approssimative di un moscone, che all’accensione delle fiamme vive sopra un certo grado di temperatura compariva per ronzare attorno agli utilizzatori di questi ultimi. E quando, al termine della giornata, di tutto ciò restavano soltanto dei carboni ardenti, ad essi faceva ritorno e periva silenziosamente, prima del tramonto. Ancora una volta, dunque, un insetto ma dotato di caratteristiche del tutto mitologiche che parevano accomunarlo alla salamandra. Usato estensivamente in drammaturgia e retorica nel corso dei secoli, talvolta come sinonimo della falena che arde nel tentativo vano di trascendere la sua mortalità, l’animale misterioso viene nuovamente discusso da figure latine del calibro di Seneca, Plinio il vecchio ed Eliano di Preneste, uno studioso del sofista Pausania. Che nel suo trattato De animalium natura, del II sec. d.C. discute con approccio metodico dei diversi contesti da cui giungono a palesarsi gli esseri viventi: le montagne, il mare, l’aria stessa. Ed infine il fuoco, mediante un tipo di processo in merito a cui lui era pronto ad ammettere la propria ignoranza. Altri studiosi, nel corso della storia medievale e moderna, non avrebbero scelto lo stesso sentiero…