Nel gigantesco archivio di circa 40.000 tra immagini e video costituito da Joel Sartore, fotografo che collabora da oltre 25 anni con la prestigiosa rivista del National Geographic, spiccano taluni ritratti monografici di animali a rischio d’estinzione, ripresi su fondo nero e illuminati ad arte per massimizzarne le notevoli caratteristiche estetiche inerenti. Un’insieme notevole all’interno del quale, tra tutti, può colpire l’immaginazione questo piccolo di un primate ricoperto da una folta pelliccia, che non sfigurerebbe su quadrupedi caprini o altri animali d’alta quota, nonostante il suo effettivo habitat di provenienza siano le foreste pluviali situate nelle pianure costiere del Perù. Dove trascorrerebbe idealmente le sue pacifiche giornate assieme alla madre e un gruppo di fino 25-30 esemplari allo stato brado, se non fosse per una popolazione complessiva ormai stimata attorno ai 1.000 individui, benché sia stata ancor più piccola negli anni antecedenti a un significativo sforzo internazionale di conservazione. Lagothrix flavicauda è il suo nome, benché sia molto più comune definirla scimmia lanosa o “lagotrice” dalla coda gialla, per distinguerla dal suo cugino molto più diffuso, la L. lagothricha o scimmia lanosa comune. A cui manca un aggettivo cromatico per l’ampia varietà di colori che può assumere il suo manto, nell’ampio areale di appartenenza capace di estendersi dalla Colombia all’Ecuador, la Bolivia, il Brasile ed il Venezuela. Nonostante la pressione sul suo habitat, l’abbondanza dei predatori e soprattutto una caccia ininterrotta praticata dalle numerose popolazioni indigene abbiano portato anch’essa ad uno stato di vulnerabilità biologica capace di minacciarne la discendenza. Il che costituisce da un certo punto di vista una significativa anomalia, quando si considera l’innato carisma e relativa oscurità di queste due specie, senz’altro tra le maggiormente carismatiche, nonché l’effettiva scimmia più imponente dell’intera zona neotropicale: fino a 50 cm di lunghezza, sia nelle femmine che nei maschi, sebbene i secondi risultino ancor più massicci con i loro 10 Kg massimi di peso (e una coppia di minacciosi canini utili all’autodifesa). Non che tale massa corporea comprometta in alcuna valida maniera l’innata agilità di queste rappresentanti a pieno titolo della famiglia degli Atelidi, condivisa con le aluatte e scimmie ragno che condividono il loro stesso bioma d’appartenenza, grazie alla notevole presenza ed abilità d’impiego del cosiddetto quinto arto, una massiccia e muscolosa coda prensile capace di esercitare facilmente la forza pari a quella di un pollice opponibile umano. E che ricoperta dallo stesso pelo caratteristico che ricopre ogni parte del corpo dell’animale, fatta eccezione per il muso e le mani, finisce per assomigliare alla tozza proboscide di un elefantino di peluche. Una di quelle metafore di cui difficilmente avremmo potuto verificare l’appropriatezza, senza l’eccezionale risoluzione delle moderne foto e videocamere digitali…
sudamerica
Le più grandi piattaforme vegetali che galleggiano nei laghi dell’Amazzonia
Così divenne uno stato di fatto, nel prolungarsi delle interminabili giornate, che ogni domanda fosse posta al grande oracolo di Lilynet. E le risposte più difficili, ormai una cosa da nulla, si palesassero dinanzi a chi era stato abituato a vivere nell’incertezza. Lilynet, una grande rete interconnessa di pannelli, capaci di fluttuare lievi sopra il mare dell’ignoranza. Nati progressivamente dal diffondersi di un singolo seme, in grado di riuscire a replicar se stesso molte incalcolabili migliaia di volte. E quanti conflitti, quanta sofferenza, quanta distruzione, nell’incedere continuo delle circostanze, sono stati dedicati alla prosperità di questo seme, sommamente dedito all’acquisizione del suo percepito “spazio di sopravvivenza”. Poiché Lilynet è modulare, adattabile e omnicomprensiva. Ma non tollera la deviazione dal fondamentale canone che governa la considera la base di ogni accordo non stretto, qualsiasi configurazione incerta dei fattori interconnessi. Ogni ramo deve avere una ragione. Ciascun gambo in fibra vegetale, assolvere allo scopo di veicolare il grande flusso delle informazioni, mediante l’energia linfatica ricolma del potere della sua scienza. Perché un simile sistema, in natura come in ambito creato dagli umani, può sussistere soltanto grazie all’impiego di circostanze favorevoli alla sua continuità ininterrotta; che potrebbe e tanto spesso necessità della possente luce della grande stella al centro del nostro cielo. Sole, vita, luce incontrastata di una verità importante: che ogni singola creatura dello stagno, dev’essere passata al vaglio dalle spietatissime sub-routine di Lilynet. E quasi mai, gli riesce di superare un così complicato esame.
E perché una simile teoria non resti solamente tale, ecco a voi una breve trattazione esplicativa, gentilmente offerta al pubblico di Internet dalla Tv britannica, per pubblicizzare l’ennesima serie di magnifici documentari con la voce del grande Attenborough: “il tiranno degli abissi” hanno deciso di chiamarlo. E per quanto possa essere opinabile tale collocazione nelle oscure profondità acquatiche (qui si arriva al massimo di 7-8 metri sotto la superficie) non credo nessuno possa anche soltanto pensare di criticare la seconda parte di quel titolo, che vorrebbe anche essere un soprannome. Dedicato alla Victoria amazonica, niente meno, quella che costituisce la più notevole e imponente ninfea dell’intero pianeta Terra, con un’areale distribuito principalmente tra i confini del Brasile ed altri paesi limitrofi dell’America Meridionale. La cui indole inerente implica una forza di autoaffermazione, ed il principio d’annientamento verso qualsiasi possibile rivale, da far l’invidia delle casate nobili al centro della serie di romanzi del Trono di Spade. Una dote… Significativa, quando si prende atto dei circa 3 metri occupati da ciascuna foglia e 40 cm di fiore, di una pianta che non soltanto necessità di ampi spazi, ma vere e proprie piazze limpide di acqua stabile nascoste tra le schiere d’alberi nel sottobosco. Grazie all’impiego di una serie assai particolari di accorgimenti. Non ultimo, un sistema riproduttivo particolarmente insolito e funzionale…
Anomalia orografica dell’enorme cumulo di abiti nel deserto dell’Atacama
Lui umile impiegato, lei casalinga. Tre figli. Nella vita quotidiana degli Anderson, la soluzione semplice della questione tessile di ogni famiglia. Per cui Benjamin, figlio maggiore, ricevette abiti nuovi ogni qual volta se ne presentava la necessità, indossandoli per tutto il corso della prima, seconda e terza elementare. Finché il bisogno condiviso a distanza di tempo dal più giovane Owen, non avrebbe portato i loro genitori ad acquistare una mera parte del suo vestiario, facendo affidamento sul principio secondo cui quello che andava bene per il fratello maggiore, poteva ancora servire al suo scopo nella vita del secondo. Gli avanzi, nel frattempo, troppo vecchi o rovinati, venivano dati in beneficienza. Ma sarebbe stato il più giovane abitante della casa, il fratellino Joseph, a pescare la pagliuzza meno conveniente in questa ruota ricorrente del Fato, potendo usare soltanto i golf natalizi, t-shirt della squadra del cuore, calzoni o giacche che entrambi i suoi fratelli, anni prima, avevano già portato. Egli non avrebbe mai potuto scegliere secondo la sua preferenza… Né mettere piede all’interno di un negozio d’abbigliamento. Così che, stanco infine di dover sottostare alla tirannica imposizione, iniziò a costituire un grande cumulo in giardino con le cose che non voleva. Anno dopo anno, il cumulo cresceva finché un giorno, esso diventò più alto della recinzione ai confini casa. Fu soltanto allora che la gente iniziò a notarlo e puntare il dito. “Irresponsabile! Non pensi all’ambiente? Sei come un paese in via di sviluppo del continente Sudamericano!”
Strano come la vita imiti… La vita ma su scala maggiore, evidenziando i corsi e ricorsi della Storia in questi strani giorni contemporanei; per cui l’unica ragione per produrre qualsiasi cosa, nell’imprescindibile realtà dei fatti, è trasformarla in occasione di profitto individuale e comunitario, preferibilmente a vantaggio di un’ampia quantità di persone. Pensate, per esempio, alla fiorente industria della moda rapida, per cui quello che compriamo al fine d’indossarlo dura appena 6 o 12 mesi, prima di essere del tutto soverchiato da nuove versioni degli stessi identici indumenti. Cos’è dopo tutto una scarpa, cosa un paio di jeans oppure una felpa con il cappuccio, se una trascurabile serie di presupposti, fatti convergere nella vincente commistione di necessità e virtù. La seconda intesa come il merito del tutto soggettivo di avere per il semplice gusto di avere, ovvero avere quello che permette di sentirsi in qualche modo superiori, o maggiormente benestanti, della moltitudine che circonda nell’umano progredire dei giorni. Perciò non vi è alcun dubbio, in merito all’identità dei tre fratelli: Benjamin è il primo mondo o l’attuale “blocco” al vertice della piramide, inteso come Europa Occidentale, Stati Uniti, le grandi città Australiane ed una piccola (relativamente?) parte d’Asia. Owen è la Russia, la Cina rurale, l’Indonesia… E Joseph, naturalmente, l’Africa ed il Sudamerica, volendo generalizzare. Per cui l’esatta posizione di quel cumulo, in effetti replicato in vari luoghi all’interno di tali due masse continentali, possiamo oggi ricondurla ad un notevole altipiano noto come Alto Hospicio, poco distante dalla città costiera di Iquique, nella parte settentrionale del paese. Dove le montagne un tempo aride che fanno da sfondo ad ogni inquadratura paesaggistica verso l’entroterra di quel paese, si colorano del più improbabile arcobaleno variopinto e fuori luogo, acceso, imprevedibile, spesso sbiadito dalla forza instancabile del Sole. Ma mai infranto o disgregato totalmente, in primo luogo perché qui non piove quasi mai. E secondariamente, perché c’è un grande ricambio dei suoi singoli elementi costituenti. Ciascuno derivante da una differente storia pregressa di produzione, acquisto, invecchiamento ed infine umile beneficienza. Per il più valido e apprezzato beneficio delle moltitudini… Eccome.
Bargiglio pendulo e in cima la cresta, odo augelli far festa
Si legge nella descrizione enciclopedica: “Il soprannome del genere Cephalopterus, comunemente detto umbrellabird, deriva dalla sua caratteristica predominante, l’ornamento piumato che ricade sopra l’aspetto di un ombrello”. Oh Certo, molto caratteristico e senz’altro caratterizzante! Se non fosse per l’ENORME borsa attaccata sotto il becco, che ricade verso il basso per una lunghezza almeno doppia rispetto all’intero corpo dell’animale. Ricoperta di piume erettili capaci di allargarsi come i pannelli solari di un telescopio in orbita terrestre. Quando “lui” la gonfia, per emettere il suo verso. Un sibilo basso e ripetuto, come la nota dimostrativa di un flauto proveniente da una terra lungamente dimenticato. Non per niente appare cupo quanto la mezzanotte di un periodo di luna nuova. E stranamente dignitoso, così appollaiato sopra i rami dei più alti alberi della foresta sudamericana. Una tipologia di uccello, a ben pensarci, che sembrerebbe aver risolto l’annosa questione di poter disporre di una serie di tratti esteriormente riconoscibili ed affascinanti, mentre mantiene nel contempo un certo grado di mimetismo. Poiché non è particolarmente facile notare, in mezzo alle liane, linee verticali discendenti come queste, soprattutto quando resta immobile nel tentativo di sviare l’attenzione dei suoi nemici. Di cui ne esistono parecchi, molto prevedibilmente, inclusi rapaci, scimmie e serpenti. Mentre non si hanno particolari notizie di cattura sistematica da parte degli umani, nemmeno in comunità indigene di questi ambienti per lo più tribali. Strano, ma vero: possibile che sia connesso ad una simile creatura un qualche tipo di valore scaramantico o sovrannaturale? Dopo tutto, stiamo parlando del più imponente passeriforme del suo continente d’appartenenza, con fino a 55 cm di lunghezza nella specie originaria dell’Amazzonia, e fino a 75 cm di apertura alare. Abbastanza da rendere il decollo tutt’altro che fulmineo. Ed esponendolo a svariate tecniche di eventuale cattura. Resta logico pensare, d’altra parte, che nessuno possa essere naturalmente incline a cucinare una creatura che è curiosa, intelligente e percettiva almeno quanto un corvo, ma in aggiunta ad essa riesce ad essere dotata di una serie di caratteristiche visive così straordinariamente fuori dal percorso maggiormente prevedibile delle circostanze.
L’uccello fu incontrato e descritto per la prima volta in modo chiaramente riconoscibile durante una delle spedizioni ad inizio secolo di Sir Alfred Wallace, uno dei compagni e colleghi del grande Charles Darwin, che tuttavia non ebbe modo di riportare un esemplare del cupo volatile fino in Inghilterra. Una disquisizione maggiormente approfondita sarebbe stata donata, quindi, al mondo accademico, dal naturalista francese Sir Geoffroy Saint-Hilaire nel 1809, che si trovò di fronte ad un dilemma potenzialmente in grado di scuotere le fondamenta stessa della recente teoria dell’evoluzione. Poiché in quale modo risultava essere vantaggioso il possesso di un così ingombrante caruncolo, soltanto parzialmente retrattile durante il volo, a una creatura per lo più frugivora ed insettivora, che si ritrovava di conseguenza a trascinarlo e urtarlo contro ogni possibile tipologia d’ostacolo nel corso della propria giornata? Verso una risposta che d’altronde ad oggi conosciamo ed istintivamente collochiamo al centro dell’intera questione, ovvero che non tutto quello che creature simili ereditano dai loro predecessori è finalizzato a fornire specifici vantaggi operativi, quanto piuttosto al fine di perseguire, e realizzare, un singolare quanto inimitabile concetto di bellezza. Già, quella che permette a un membro della coppia riproduttiva di emergere tra le schiere dei propri simili, venendo in questo modo giudicato degno dalla partner della propria più gloriosa stagione. In situazioni sociali come quelle dei lek, o incontri comunitari da parte degli uccelli, tipicamente organizzati da tutte e tre le specie rientranti all’interno di un così singolare genere, durante cui gli aspiranti fornitori di materiale genetico tendono a mettersi in mostra arruffando l’appendice affascinante, mentre emettono soavi sibili perfettamente udibili fino a 500 metri di distanza. Niente male, davvero, per una creatura che gli escursionisti ornitologici tendono a individuare con estrema facilità anche senza l’uso di una guida locale, semplicemente al seguito delle onde sonore che sorpassano le mura del rifugio ai margini della foresta ombrosa. Un luogo dove tutto sembra possibile, persino la realizzazione dei sogni che non sapevamo di aver fatto…